Convertible note e altri strumenti alternativi di fundraising

Strumenti alternativi di fundraising: convertible note, convertible loan e strumenti finanziari partecipativi convertibili, quando e come utilizzarli.

Pubblicato il 12 Gen 2017

Sempre più spesso soci fondatori di startup costituite in Italia o potenziali investitori ci chiedono di assisterli a strutturare operazioni di investimento in startup italiane usando convertible note, uno strumento molto diffuso nel mercato venture capital americano, di cui nella maggior parte dei casi non si conoscono le caratteristiche né si sa se sia riconosciuto ed ammesso dal nostro sistema giuridico.

Che cosa si intende per convertible note?

Convertible note è uno strumento di finanziamento tipicamente usato negli Stati Uniti da startup in fase early stage perché nella pratica costituisce un modo semplice, veloce ed economico per raccogliere fondi. Più precisamente, è un titolo obbligazionario che la startup emette a favore di terzi finanziatori riconoscendo loro il diritto alla restituzione del capitale finanziato o il diritto alla conversione del titolo in azioni della startup al verificarsi di determinate circostanze.

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Una startup in Italia può emettere convertible note?

In Italia, lo strumento giuridico che presenta più affinità con le convertible note americane è rappresentato dalle obbligazioni convertibili, le quali, tuttavia, così come disciplinate dal nostro legislatore, non sembrano costituire un mezzo adeguato per realizzare investimenti da parte di soggetti privati in società che sono in una fase iniziale di crescita e sviluppo.

Tralasciando le formalità ed i costi che la procedura di emissione delle obbligazioni richiederebbe, va segnalato che le società a responsabilità limitata (“SRL”)  – le quali rappresentano la forma societaria solitamente scelta dalle startup italiane per operare – possono emettere obbligazioni a condizione che tali titoli siano sottoscritti solo da “investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali”, ossia da istituti bancari, società di investimento mobiliare, sicav, ecc.. Inoltre, tali obbligazioni sembrerebbe che possano essere convertite in equity solo se la SRL che le emette sia qualificata come startup innovativa.

Queste brevi considerazioni sono già sufficienti per sostenere che le obbligazioni convertibili rappresentano strumenti di investimento poco idonei per una startup italiana in fase early stage.

Esistono nel nostro ordinamento altri strumenti che potrebbero in qualche modo assolvere alle stesse funzioni delle convetible note americane?

Talvolta l’espressione convertible note è impropriamente usata in Italia per indicare mezzi alternativi di raccolta di capitale rappresentati dai cosiddetti convertible loan (finanziamenti convertibili) o dagli strumenti finanziari partecipativi convertibili.

Vediamo brevemente come funzionano questi mezzi e quando sarebbe consigliabile utilizzarli.

Nel caso in cui le parti di un’operazione di investimento non riescono ad accordarsi in merito alla valutazione della startup (cosiddetta valutazione pre-money), il ricorso ai convertible loan o agli strumenti finanziari partecipativi convertibili potrebbe aiutare a sbloccare la situazione ed agevolare l’investimento, posticipando la valutazione della startup, e quindi anche l’ingresso dell’investitore nella compagine sociale, ad un momento più maturo di crescita e sviluppo della startup stessa.

Convertible loan e strumenti finanziari partecipativi convertibili potrebbero agevolare la raccolta di capitale anche nei casi in cui i terzi finanziatori non siano particolarmente interessati ad acquisire posizioni di controllo nella startup o, viceversa, i soci fondatori, preferiscano, almeno in una fase iniziale di avviamento del business, non ampliare la compagine societaria condividendo la gestione e le decisioni operative con terze parti.

I convertibles loan sono finanziamenti eseguiti da investitori a favore della startup, che quest’ultima, decorso un certo termine, potrà restituire (anche parzialmente) insieme agli interessi maturati; e/o convertire in tutto o in parte in equity. In altre parole, sono contratti di finanziamento e non titoli obbligazionari, accompagnati da accordi privati che disciplinano il processo di conversione, stabilendone tempistiche e modalità di realizzazione.

Ad esempio, le parti possono negoziare e concordare che anche gli interessi maturati siano convertiti in equity, ovvero che la conversione avvenga in occasione dell’ingresso di nuovi investitori nel capitale sociale della startup, applicando un certo sconto alla valutazione pre-money definita con i nuovi investitori, ovvero stabilendo che la valutazione pre-money che non potrà eccedere una certa soglia.

In questo modo, il «rischio» dell’investimento eseguito dagli investitori in un momento in cui non era facile definire il valore della società verrebbe compensato con un successivo incremento della quota di capitale agli stessi spettante in fase di conversione del finanziamento eseguito.

I cosiddetti convertible loan hanno un impatto sul bilancio della startup in quanto sono contabilizzati come debito. Pertanto, il loro utilizzo va valutato con attenzione, tenuto conto della situazione economico-finanziaria della società beneficiaria.

Diversamente, gli strumenti finanziari partecipativi (“SFP”) convertibili sono strumenti ibridi, tecnicamente assimilabili a titoli di credito e contabilizzati come equity in quanto riconoscono a chi li sottoscrive il diritto ad una partecipazione agli utili, ma non alla restituzione dei fondi versati e possono essere convertiti in capitale entro un certo termine e/o al verificarsi di certe circostanze.

Tuttavia, solo startup aventi forma di società per azioni o startup innovative aventi forma di SRL possono emetterli. Lo statuto sociale della startup deve prevedere espressamente la possibilità di emissione e, nel caso in cui la startup decida di avvalersi di tale possibilità, l’assemblea dovrà adottare un regolamento che disciplini l’emissione degli stessi e ne definisca le principali caratteristiche (es. numero di SFP da emettere e valore nominale di ciascuno, nonché prezzo di emissione, ecc.), diventando parte integrante dello statuto sociale. Le parti interessate dovranno anche concordare in anticipo i termini di conversione (es. valutazione pre-money della startup, prezzo di conversione e percentuale di capitale da assegnare in sede di conversione, ecc.).

Di fatto, gli SFP sono ancora poco utilizzati, probabilmente in considerazione delle formalità e dei costi connessi alla loro emissione.

Con riferimento sia ai convertible loan che agli SFP convertibili, gli investitori potranno diventare soci della startup e godere dei benefici fiscali previsti dalla legge sulle startup innovative solo in caso di conversione degli stessi in equity. In entrambi i casi, i soci della startup dovranno deliberare un aumento di capitale funzionale alla conversione di tali strumenti per consentire l’ingresso dei finanziatori nella compagine sociale della startup.

Contributor: Antonia Verna

– Partner Portolano Cavallo, Studio Legale

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