Food tech in Italia, diventiamo il miglior hub mondiale

Diventare il punto di riferimento mondiale per il settore è un’ambizione che il nostro Paese può e deve coltivare. Il food tech in Italia può andare lontano

Pubblicato il 20 Ott 2016

Ed ecco il magna magna delle startup. No, non ci sono scandali o simili da raccontare ma il fatto che l’Italia si sta proponendo come il Paese da dove è più efficace fare partire startup del foodtech. È ancora prematuro concedersi entusiasmi, siamo ancora alla fase embrionale ma i segnali che arrivano sono significativi e se non si inventano leggi o leggine apposite (come fatto per le startup, il crowdfunding, la sharing economy ecc), se non ci si infilano istituzioni pubbliche locali e centrali alla ricerca di solo un po’ di visibilità e se non ci si infarcisce il tutto con vagoni di retorica, forse riusciamo a dare al nostro Paese un ruolo chiaro, netto e globale nel panorama internazionale della nuova generazione di imprese.

Quando si parla di ruolo internazionale si intende la costituzione di un hub di competenze, risorse, strutture, vere e funzionanti capaci di attirare sia startup sia corporation da tutto il globo con innovazioni e interessate a innovazioni nell’ambito, specificamente, del foodtech. Ambito che va dalla produzione alla distribuzione, passando quindi dall’agrotech al food delivery fino ad arrivare, volendo, al social eating.

Un primo passo in questa direzione fu fatto lo scorso anno in concomitanza con l’Expo di Milano, dedicato proprio al cibo, quando il padiglione Usa, insieme con Microsoft e con il supporto di Copernico diede vita al foodtech accelerator, un primo esperimento che coinvolse startup da varie parti del mondo. Un esperimento che ha compiuto la sua parabola in parallelo all’esposizione universale e che ha fatto un po’ da apripista a quelli che possono essere progetti che hanno anche la capacità potenziale di consolidarsi ed evolversi nel tempo.

A credere nella efficacia di questa direzione è Startupbootcamp che ha superato la fase di lancio e ha selezionato le prime venti startup potenzialmente interessanti per il suo primo programma di accelerazione a tema foodtech che fa base a Roma. Proprio questa settimana si sono svolte le giornate di selezione (ne parlammo quando fu lanciata la call) con 20 startup provenienti da Grecia, Indonesia, Regno Unito, Italia, Svezia, Germania, Spagna, Colombia, India, Irlanda, Turchia, Polonia, Stati Uniti (l’elenco completo con i nomi e le innovazioni che propongono è disponibile sul sito di Startupbootcamp a questa pagina.)

Un altro acceleratore internazionale è prossimo ad annunciare un simile programma, questa volta si tratta di un acceleratore che ha sede negli Usa e che già ha avvito programmi di accelerazione verticali dedicati a specifici temi in varie città del mondo, anche in Europa, e che punta molto sulla collaborazione delle corporation oltre che sui fondi di venture capital e anche qui si preparano alcune novità che saranno annunciate ufficialmente nei primi mesi del 2017 con la nascita di nuovi VC di respiro europeo specificamente dedicati al foodtech (appena possibile Startupbusiness informerà i suoi lettori sia del progetto del nuovo acceleratore che conta già un partner importante e avrà sede a Milano, sia sui dettagli dei nuovi fondi che al momento sono in fase di definizione dei loro asset sia finanziari sia strutturali). Tra i soggetti coinvolti in questo progetto anche Deloitte Italia che ha proprio questa settimana presentato Pantry Trainer, progetto pensato per ridurre lo spreco alimentare coinvolgendo sia i consumatori sia le aziende della filiera agroalimentare, va sottolineato che Pantry Trainer, che ha il suo cuore tecnologico in una app, è frutto dell’innovazione di un programma di open innovation interno che Deloitte Italia ha condotto presso le persone che lavorano nelle diverse divisioni del gruppo e che ha visto prevalere il progetto ideato da Carlo Alberto Minasi consulente della practice Strategy.

food tech in italia
Proprio a Milano nei giorni scorsi è partito anche un altro progetto, questa volta di impronta pubblica e più orientato alla creazione di cultura e consapevolezza verso la necessità di vedere il cibo in modo nuovo, che alla creazione d’impresa ma che assume valenza significativa nel contesto che vede il nostro Paese farsi notare quale piattaforma internazionale per lo sviluppo di tecnologie legate al cibo. Si tratta del progetto Open Agri (qui la descrizione dal sito del Comune di Milano) che ha ricevuto circa sei milioni di finanziamento dall’Unione europea e che si propone di avvicinare i cittadini ai nuovi concetti di produzione come l’agricoltura acquaponica e di fornire strutture anche per le startup che vorranno sperimentare le loro tecnologie. Oltre al Comune di Milano nel progetto Open Agri sono coinvolti tra gli altri Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Milano, Fondazione Politecnico di Milano, Fondazione Parco Tecnologico Padano, Future Food Institute.

Fare dell’Italia piattaforma globale per i progetti di foodtech è strada da perseguire in modo quasi doveroso sia per la tradizione che il nostro Paese ha nel mondo in questo ambito, sia per l’alta qualità delle idee, delle competenze e della sensibilità che imprese e startup di genesi nazionale hanno nei confronti di questo fondamentale settore e che con l’avvio di sinergie e contaminazioni di respiro globale può solo crescere ed espandersi in modo esponenziale sia quantitativamente sia qualitativamente. Inoltre è fondamentale portare questi progetti, sia che siano di iniziativa nazionale sia internazionale, al successo perché possono diventare veicolo per attirare risorse, anche finanziarie, verso l’ecosistema tutto delle startup italiane, e perché costruendo una reputazione vincente attorno al foodtech sarà poi più facile replicarla anche in altri settori in cui il nostro Paese spicca come il fashiontech, il designtech, il motortech, il biotech/healthtech, per esempio.

Emil Abirascid

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