La Cina alla ricerca della strada per il futuro

Pubblicato il 02 Giu 2014

Non posso dire di aver visto la Cina dopo un viaggio di cinque giorni a Pechino. Ho sempre trovato ridicoli gli studenti americani che tornano dopo una o due settimane a Londra o Parigi avendo “visto l’Europa”. E le dimensioni geografiche della Cina, come unica nazione, sono persino più grandi di quella europea, con una popolazione più che doppia composta da una varietà etnica e di lingue che rivaleggia la differenza tra lingue e popoli europei.

Quando confronti i tuoi pregiudizi, basati sull’informazione facile trasmessa dai media tradizionali, non serve smentire su una serie amplia di esperienze: è sufficiente un contrasto anche rapido per potersi ricredere sui vari errori che guidano i tuoi ragionamenti pensando alla Cina.

Sono stato invitato a parlare alla conferenza CIFTIS—China International Fair on Trade In Services, Fiera Internazionale Cinese sul Commercio dei Servizi—ed ero molto eccitato e curioso per il mio primo viaggio in Cina. I preparativi hanno incluso, oltre a quelli soliti, non solo la richiesta di visto, necessario dall’Italia così come per la Russia per esempio, ma anche su richiesta degli organizzatori della conferenza per la preparazione del programma, la scelta del mio nome cinese. Ho risposto alla richiesta “un attimo!” e la mattina dopo mi sono precipitato a Chinatown a New York, chiedendo alla prima persona incontrata all’uscita della fermata della metropolitana di Canal Street “Quale dovrebbe essere il mio nome cinese?”, mostrandole una piccola presentazione sul telefono, con il mio nome occidentale, il significato del cognome e del nome, i miei valori e interessi. Ero fortunato: la signora che ho fermato e che stava promuovendo le attività di primo soccorso nelle aree colpite da terremoto di una fondazione buddista, era un’insegnante di cinese! Dopo un po’ di discussione su possibili alternative abbiamo stabilito un nome candidato e rientrato a casa nell’Upper West Side, ho potuto chiedere una seconda opinione al mio amico Jason a Taiwan. Naturalmente era del parere che questo primo candidato non fosse ottimale e me ne ha suggerito un altro, che poi ho confermato agli organizzatori: 欧文道 (Ōu Wén Dào). Puoi chiamarmi così, se vuoi!

Ho descritto in dettaglio questo piccolo passaggio perché rappresenta bene la sensazione di passaggio radicale e di novità quasi aliena che la Cina può rappresentare. Trovarsi in un Paese che usa non solo una lingua diversa ma anche una scrittura diversa crea una distanza notevole: cercare di decifrare parole straniere scritte con l’alfabeto latino è molto più facile che provare a ricordare il significato dei pochi ideogrammi imparati dagli amici o dalle app velocemente scaricate tra i dodicimila circa del totale. Ho chiesto a David Feng, che insegna un corso sui nuovi media in due università di Pechino, in un pomeriggio rovente di una canicola inaspettata di quaranta gradi nelle poche strade di un hutong preservate dalla modernità di oggi, quanti ideogrammi in media sapessero i neo-iscritti. Secondo la sua esperienza all’incirca quattromila, ma capita anche che ne sappiano anche solo la metà…

La prima impressione di Pechino a partire dall’aeroporto e dal treno espresso che lo collega al centro della città e alla rete metropolitana estesissima di costruzione recente è di una necessaria organizzazione. Le persone che controllano l’occupazione ordinata delle scale mobili sono necessarie perché l’alternativa all’inciampare di qualcuno spinto dalle folle oceaniche degli orari di punta è un caos disastroso e pericoloso.

L’economia e la politica, strettamente legati dalla presenza pervasiva del governo e del partito, i cui appoggi e la cui approvazione delle attività che acquisiscono una visibilità oltre una certa soglia è tuttora indispensabile, hanno una simile aura di organizzazione necessaria. Le distanti e interessate prescrizioni di altre nazioni sono lontane dai complessi problemi quotidiani di un miliardo e duecento milioni di persone.

Al CIFTIS per promuovere i propri servizi nel campo del turismo e ospitalità, design, salute e benessere e molti alti ancora, c’erano delegazioni dal Giappone, Corea, Gran Bretagna, Francia, Brasile, Uruguay, India, con circa 250mila visitatori. L’Italia non era presente.

Il mio intervento nella conferenza era sul ruolo di modelli di collaborazione innovativi e il ruolo della lingua e della cultura negli scambi internazionali. Sponsorizzato da GALA—Globalization and Localization Alliance—e utilizzando Dotsub come esempio, ho potuto poi parlare con molti partecipanti dal pubblico che si sono mostrati molto interessati a esplorare opportunità di collaborazione. Erano presenti diversi clienti e partner di Dotsub, come Adobe che utilizza la nostra piattaforma per la gestione in crowdsourcing dei 18mila video tutorial sui suoi prodotti su Adobe Television, oppure Lionbridge, una delle società leader al mondo di localizzazione che ha standardizzato l’utilizzo di Dotsub all’interno della propria iniziativa chiamata Global Marketing Ops.

Dalla prima generazione di società di produzione industriale e tecnologiche cinesi che sono spesso emerse a ragione di una protezione stretta del governo e di forniture garantite ad altre aziende statali, oggi a Pechino sta nascendo una scena di startup vibrante, che può fare leva su un ampio pool di talenti, un mercato interno enorme, una connessione stretta a quelli americani e capitali a rischio notevoli gestiti da fondi pronti a scommettere sulle idee. Parlando con Ellen Cheng che sta lavorando sul MVP (Minimum Viable Product) della sua startup, non ho potuto che sorridere ammirato quando lei mi ha detto che usciranno subito con le versioni per iPhone e Android del prodotto, ma che andranno sui mercati internazionali solo dopo una prima fase veloce di test sui primi dieci milioni di utenti che si saranno iscritti per usare il prodotto. Tencent, Alibaba, 360 e altri giganti dell’ecosistema internet cinese sono oggi arricchiti da migliaia di nuove soluzioni che non copiano più quelle occidentali ma mirano a essere protagonisti a livello mondiale.

Acqua, ambiente, energia, salute, educazione: ognuna di queste è una potenziale area di crisi che si sta acuendo in Cina e la pianificazione coordinata dal governo centrale indica un numero di strade relativamente ridotto da percorrere in cerca delle soluzioni. Quando quella giusta è tra queste, va tutto bene: il timore per il futuro di un sesto del pianeta e inevitabilmente anche del resto che di ciò non c’è però garanzia. Non è chiaro come nella trasformazione dell’economia e della politica cinese si potranno integrare gli approcci alla ricerca di una dinamica che sia, come si dice in Cina, armoniosa anche nel futuro.

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