Sexual harassment in SV, cosa imparare da questo scandalo

L’emergere del problema ‘sexual harassment’ offusca il ‘brand’ Silicon Valley. E’ il momento di mettere in atto azioni concrete per dare più voce alle donne

Pubblicato il 09 Lug 2017

La bolla è scoppiata. No, questa volta non si tratta della bolla finanziaria che in molti temono possa tornare a farci vivere gli infausti momenti dell’inizio del millennio. Questa volta è scoppiata la bolla che ha portato a galla come nella Silicon Valley, il paradiso terrestre degli startuppari, vi sia una certa diffusione di scandali a fondo sessuale, o meglio di sexual harassment, molestie sessuali, che nello schema tipico vedono personaggi in posizione di forza, per esempio investitori, avanzare richieste non proprio professionali verso personaggi in posizione di debolezza, tipicamente imprenditrici alla ricerca di fondi per la loro startup.

La bolla si è fatta mediatica nelle recenti settimane a causa soprattutto di due casi che hanno raggiungo popolarità per via dei personaggi coinvolti: Travis Kalanick, fondatore e oggi ex-Ceo di Uber e Dave McClure, volto pubblico di 500 Startups. Il fenomeno è però più vasto e, benché già altri casi fossero saliti agli onori della cronaca in passato come quelli con protagonisti Chris Sacca di Lowercase Capital, Justin Caldbeck di Binary Capital o quello che è diventato il più noto caso europeo così raccontato nel 2014 da TechCrunch (in verità in Europa nel 2016 ci fu un altro episodio che coinvolse il mondo delle startup e che divenne un caso di cronaca legato alle relazioni sessuali, fu quando la startup Ohlala specializzata in servizi di appuntamenti galanti a pagamento, inviò un nutrito gruppo di escort alla festa della conferenza Noah a cui partecipavano imprenditori e investitori di primo piano ma questa rimane come storia più di colore che di vere e proprie molestie sessuali anche se alcuni dei partecipanti all’evento si dichiararono fortemente imbarazzati dal comportamento delle belle ed eleganti signore).

Si tratta di casi che sono giunti alla fase in cui i protagonisti negativi hanno ammesso le loro colpe, hanno avanzato le loro scuse e in molti casi hanno dovuto abbandonare le loro carriere professionali. La fotografia ampia e articolata l’ha scattata lo scorso 30 giugno il New York Times che ha realizzato un ampio articolo dove ha raccolto le testimonianze di un paio di dozzine di donne che operano nel settore delle startup tecnologiche e che hanno subito molestie sessuali . L’articolo fa nomi e cognomi, racconta circostanze ed episodi, insomma è una vera e propria inchiesta che lascia certamente amarezza nel lettore ma che dimostra come anche nel paradiso terreno delle startup qualcosa che non funziona decisamente c’è.

Ci sono le molestie sessuali conclamate, ma ci sono anche le situazioni in cui la dinamica tra chi può offrire soldi o lavoro e chi li cerca sconfina in relazioni che sono poco chiare e che finiscono, benché in modo consenziente, nel generare rapporti poco sani come per esempio racconta con una certa dose di coraggio Perri Chase in questo suo post su Medium.

Fino a qui la cronaca di uno scenario che offusca non poco la credibilità non solo della Silicon Valley, ma di tutto il settore; certo non è una novità che le leve di potere possano portare a questo tipo di derive sociali, accade purtroppo anche in altri settori e contesti ma è questa una occasione imperdibile per aggiustare le cose e lo è perché, come abbiamo più volte scritto qui su Startupbusiness, la vera innovazione non è fare cose nuove ma è farle in modo nuovo, è comprendere come le dinamiche e i paradigmi cambiano. Una occasione che per essere colta richiede delle proposte e un paio già ci sono, benché basate su filosofie diverse. La prima è quella di Reid Hoffman, co-fondatore di Linkedin e oggi venture capital presso Greylock partners,  che ha scritto un post su Linkedin dal titolo ‘The human rights of women entrepreneurs’ in cui avanza alcune proposte: per esempio dice che qualsiasi molestia da parte di un investitore verso un imprenditore dovrebbe essere trattata alla stregua di quella di un datore di lavoro verso un suo impiegato o di un docente verso un suo allievo, che se qualcuno si trova a essere testimone di episodi del genere li deve rendere noti e che se emerge un comportamento del genere da parte di un venture capitalist bisognerebbe smetterla di fare affari con lui e che i Limited partner smettano di investire nel suo fondo.

Claudia Iannazzo

Le proposte di Hoffman non sono però sufficienti secondo Claudia Iannazzo, managing partner e co-fondatrice del venture capital basato a New York AlphaPrime Ventures, la quale, e secondo noi a ragione e in modo decisamente lucido, esprime fortemente la necessità di dare maggiore voce alle donne che, scrive, rappresentano oggi solo il 7% della quota dei partner dei venture capital e indica sette punti che andrebbero implementati: assumere più donne, definire degli obiettivi per equilibrare la differenza di genere e illustra in modo chiaro quali essi dovrebbero essere, amplificare la voce delle donne dando loro riverbero, organizzare cene con le donne General partner e gli investitori istituzionali, dare spazio alle donne nei panel agli eventi pubblici e negli articoli che appaiono sui giornali, supportare lo sviluppo professionale delle donne, qui il post di Claudia Iannazzo su Linkedin.

Le proposte dell’investitrice newyorkese sono precise e concrete e potrebbero rappresentare un primo passo per dare nuovi assetti ed equilibri all’intero settore, che come riporta Bloomberg Technology ne ha decisamente un gran bisogno,  l’approccio di Claudia Iannazzo appare più costruttivo rispetto a quello di Reid Hoffman che appare invece più punitivo, e secondo noi anche potenzialmente più efficace in questa fase. Sarebbe una bella conquista da parte del mondo delle startup tecnologiche quella di dimostrare come è possibile superare questi problemi, come è possibile farlo in modo nuovo e come è possibile definire un percorso che poi può essere replicato in tutti gli ambiti e settori. Inoltre nella mia esperienza le donne imprenditrici e le donne che lavorano nei fondi di venture capital si sono nella gran parte dei casi mostrate sempre di grande valore, un valore che, insieme ovviamente alla dignità, non può e non deve essere minacciato.

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