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Sharing Mobility, cos’è e quali sono le sue caratteristiche

Cosa si intende davvero per sharing mobility? Qual è il significato di questa locuzione? Ecco una definizione e le 5 caratteristiche principali che permettono di definire i servizi di questo innovativo settore della mobilità

Pubblicato il 20 Dic 2021

Con i termini sharing mobility si fa riferimento a un nuovo concetto di mobilità che ruota intorno alla condivisione dei mezzi per spostarsi da un luogo ad un altro o all’interno dei centri abitati. Si tratta di un modello innovativo di mobilità che rientra nello spettro più ampio della sharing economy: le persone tendono a usare sempre meno la propria auto, anche per esigenze green, ma si rivolgono a piattaforme per il noleggio di biciclette, scooter, monopattini, auto stesse, per il noleggio a ore del mezzo. Oppure mettono a disposizione il proprio mezzo per un uso condiviso o si servono di mezzi in condivisione messi a disposizione dale aziende.

Il fenomeno può essere osservato sia dal lato utente, come nuovo comportamento sociale, un nuovo lifestyle, che risponde a esigenze di sostenibilità e vivibilità delle città;  sia dal lato business, in quanto la sharing mobility si è potuta diffondere grazie alla nascita di tante imprese che offrono tale servizio attraverso piattaforme.

In particolare, l’esplodere del potenziale della sharing economy è legato alla nascita e diffusione di piattaforme digitali per l’erogazione e l’ottimizzazione del servizio stesso.

Diverse forme di sharing mobility

Attualmente si contano diverse forme di sharing mobility, in relazione al veicolo o alla modalità: carpooling, carsharing, bikesharing, micro-mobilità, ride hailing.

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Carsharing – Per “car sharing” si intende il noleggio di un’auto di proprietà di terze parti, generalmente di breve termine e in contesti urbani. La stessa auto viene messa a disposizione a più conducenti che la utilizzano per un tempo limitato. (es. Lynk, Car2go, Enjoy o DriveNow)

Carpooling – di “car pooling” presuppone che la condivisione del viaggio non preveda un guadagno per il conducente ma solo una condivisione dei costi, ovvero un’attività di trasporto di cortesia (es. Blablacar); si sta diffondendo molto anche il car pooling aziendale (es. JoJob e Up2Go)

Ridesharing – Si riferisce in generale all’attività di condivisione di passaggi in auto, anche al fine di produrre un guadagno (in questo caso definito ride sharing on demand)

Ride hailing – Forma particolare di ride sharing. E’ un vero e proprio servizio commerciale attivato nelle grandi città, un mix tra servizio di noleggio con conducente e taxi e consiste nel geolocalizzare i driver attraverso una app, prenotarlo e pagarlo (es. Uber o Lyft). E’ contestato da molti che non lo ritengono un servizio di ‘sharing’ ma un servizio commerciale alla pari dei taxi.

Micromobilità – Si riferisce ai servizi di condivisione di biciclette, scouter, monopattini che funziona soprattutto nelle grandi città ed è offerto da diverse piattaforme. Oggi rappresentano in Italia una quota importante della sharing mobility.

Sharing Mobility in Italia

In Italia, la sharing mobility è stata introdotta concettualmente per la prima volta nell’ordinamento giuridico nazionale già nel 1998 (cioè quando ancora i termini sharing mobility non esistevano) con il Decreto del Ministro dell’Ambiente del 27 marzo 1998, dove appaiono i termini di “servizi di uso collettivo ottimale delle autovetture” e “forme di multiproprietà delle autovetture destinate ad essere utilizzate da più persone”: si trattava già del carpooling e del carsharing.
Per tutti gli anni 2000, queste due forme di mobilità condivisa, insieme al bikesharing, sono state promosse e finanziate attraverso l’intervento pubblico, con l’obiettivo di scoraggiare l’uso dell’auto privata e limitare l’inquinamento atmosferico nelle città. Con la modernizzazione impressa dalle piattaforme digitali e l’ingresso nel mercato di operatori privati il quadro è cambiato radicalmente.
Il Primo rapporto nazionale (2016) su “Sharing mobility in Italia: numeri, fatti e potenzialità“, molto ben realizzato dall’Osservatorio nazionale sulla sharing mobility,  offriva una fotografia molto completa del settore, definendo anche le diverse tipologie di “sharing” che rientrano nella categoria generale e sui quali c’è spesso confusione. Per i puristi della materia lo sharing è essenzialmente una condivisione tra pari, cioè peer-to-peer (P2P), non tra un’attività commerciale e l’utente privato. Oggi questo concetto dello sharing tra pari è tramontato, perché lo sviluppo della condivisione poggia su servizi organizzati e digitali che devono monetizzare.
tabella su evoluzione sharing mobility
fonte:report nazionale sharing mobility
Nel corso del tempo, la mobilità condivisa ha avuto una crescita progressiva nel nostro Paese, anche se è un fenomeno che riguarda soprattutto il nord e  le città ed è incentivato da molti motivi: è una pratica green, che permette di risparmiare e di favorire una riduzione della congestione del traffico cittadino. Il 2020, che ha fermato il mondo con la pandemia, non è stato certo l’ideale per misurare l’incremento, ma è certamente lo stesso boom dei monopattini condivisi che testimonia come si tratti oramai di una realtà che non ha nessuna intenzione di retrocedere. E perchè mai, poi?
Come vediamo nella tabella che segue, nel nostro Paese sono attualmente circa 85mila i veicoli condivisi. Nel 2020 9 veicoli in condivisione su 10 sono veicoli di micromobilità, 9 noleggi su 10 sono realizzati con questi veicoli, 4 KM su 10
sono percorsi con questi veicoli (fonte: 5° rapporto nazionale sulla sharing mobility).

Ma quali sono le caratteristiche della sharing mobility?

L’Osservatorio sulla sharing mobility individua 5 caratteristiche che identificano un servizio di mobilità condivisa:

1- condivisione di un servizio di mobilità
Un servizio di mobilità si può condividere tra più utenti  in due modi:
contemporaneamente, quando si è per esempio all’interno di un vagone della metropolitana ma  anche quando si fa parte di un equipaggio che si è formato con BlaBlacar;
in  successione,  come  accade  quando  si  preleva  un’automobile  di  un  qualunque  servizio  di  carsharing ma anche salendo su un taxi e su un’auto di Uber.
La  caratteristica della  condivisione  dei  servizi  di mobilità è  un  tratto  comune a  tutte le  forme di trasporto che non prevedano l’utilizzo di un veicolo di proprietà. Questo aspetto imprescindibile  riguarda tutti i servizi di trasporto che spesso sono chiamati anche collettivi, in comune o pubblici.
2- uso delle piattaforme digitali
Nella sharing mobility la tecnologia è un supporto indispensabile: siti internet, app per dispositivi mobile sono necessari per abilitare il modello di servizio collaborativo e renderlo utile, scalabile, originale. Le piattaforme digitali permettono di creare relazioni e scambi oltre i confini fisici, in modo più veloce ed efficace, abbattendo i costi di transizione.
3- disponibilità secondo le necessità, flessibilità d’uso, scalabilità
L’aspetto, se vogliamo,  critico dell’accesso  ai  servizi  di mobilità condivisa è  che l’insorgenza del bisogno allo spostamento (cioè la domanda di mobilità) non può essere istantaneamente soddisfatta come può esserlo invece con l’auto-produzione (si prende il proprio mezzo e si parte). Da ciò discende che è molto importante per il successo di un sistema di mobilità condivisa avvicinarsi quanto più possibile alla disponibilità, flessibilità, scalabilità del “fai da te”.

I  nuovi  servizi  di  sharing  mobility  tendono  a  ridurre  lo svantaggio  dei  sistemi  condivisi tradizionalmente  intesi,  riuscendo  ad  offrire  delle  opzioni  di  trasporto  in  cui  gli  utenti  possono contribuire a disegnarne i contorni in tanti modi diversi: in tempo reale con un impulso a partire dal proprio dispositivo, sulla base dei propri feedback, attraverso il fatto di “diventare” tanti Big Data che software ed algoritmi sempre più complessi contribuiscono ad analizzare.

4- interattività, community e collaborazione

La  piattaforma  digitale e i  differenti  canali utilizzati  nella  comunicazione  tra  operatori  di sharing mobility  ed  utenti  prevede  che  l’utente  non  solo  abbia  la  possibilità  di  fruire  ma  anche  di creare/modificare  il  prodotto/servizio  offerto.  Il  livello  interattivo  e  di  feed-back  è  variabile  da servizio  a  servizio  ma  è  comunque  sempre  presente.  I  servizi  di  sharing  mobility non  solo  sono fondati  sull’ascolto  del  consumatore  ma  sulla  capacità  e  possibilità  di coinvolgerlo  nella progettazione del prodotto o nell’erogazione del servizio. Gli utenti sono dei “prosumer”, termine usato per indicare che i consumatori non sono solo semplici attori passivi ma diventano veri e propri
consumatori consapevoli e, in molti casi, addirittura produttori.

Nelle esperienze della mobilità condivisa c’è spesso un’attenzione particolare all’inserimento di un elemento di socialità. Questo può essere non solo la collaborazione tra pari che genera di per sé un vero  “legame  sociale”  ma  anche  un  elemento  esperienziale  e  relazionale  aggiuntivo  al  fine  di arricchire le normali transazioni economiche tra persone.

5- sfruttamento della capacità residua

Sotto il profilo business è probabilmente la caratteristica più importante.

La  capacità  inutilizzata, concetto  noto al mondo industriale,  di una macchina, impianto o sistema, cioè il suo sotto-utilizzo, aggrava costi fissi e generali. Nel  settore  dei  trasporti  attuale,  il  cui  baricentro  è  tutt’ora  l’utilizzo  di  veicoli  di  proprietà,  è intrappolata una grande quantità di capacità inutilizzata, che pesa anche nella congestione stradale per esempio. Si pensi solamente alla quantità di auto ferme nei parcheggi, o al fatto che la maggior parte delle auto viaggi con un solo 1-2 passeggeri a bordo.

ndr – lo sfruttamento della capacità inutilizzata è alla base anche di servizi come Uber, che si rivolgono agli NCC nei momenti in cui non effettuano servizio prenotato con le forme tradizionali

Il rapporto sulla sharing mobility approfondisce anche il tema della sostenibilità ambientale, dei modelli di business e gli aspetti sociologici. Inoltre inquadra il fenomeno nel contesto italiano.

Uno dei dati emersi è la grandissima diffusione nel nostro Paese del bikesharing rispetto ad altri Paesi europei: a fine 2015 in Italia erano attivi circa 200 servizi di bikesharing, mentre in Francia, dove il fenomeno è molto diffuso sono appena 39. La prima città italiana a offrire in condivisione 120 biciclette è stata nel 2001 Ravenna.

Fenomeno monopattini

Nel 2020 il più importante fenomeno registrato in ambito sharing mobility è stato l’esplosione dei servizi di noleggio dei monopattini.

Arrivati in Italia sul finire del 2019, i servizi di monopattinisharing realizzano numeri senza precedenti nell’anno della pandemia, diventando in 12 mesi il servizio più diffuso in Italia, quello più presente nelle città del sud, quello con più veicoli operativi sulle
strade, nonché quello che realizza il
maggior numero di noleggi nel 2020.

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