Startup del life science, come prepararsi all’investimento?

Le caratteristiche delle startup del life science e le accortezze su brevetti e informazioni segrete da considerare in preparazione del fundraising

Pubblicato il 09 Lug 2017

Le startup del life science hanno caratteristiche peculiari.

In primo luogo queste startup sono “IP intensive”, nel senso che gran parte del valore che esse sono in grado di creare trae origine da una scoperta o da un’invenzione che tali imprese sono in grado di sfruttare in modo esclusivo (in quanto brevettata) o comunque in modo tale da conservare un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti (tramite lo sfruttamento del know-how in regime di segreto).

Altra caratteristica che rende le startup in questione particolari rispetto ad altre risiede nel fatto che il loro mercato di riferimento è altamente regolamentato, sicché tutte le fasi di ideazione, sviluppo, lancio e commercializzazione dei prodotti e dei servizi devono essere svolte entro limiti normativi e con specifiche modalità.

Queste circostanze fanno sì che, nel momento in cui una startup si affaccia sul mercato dei capitali alla ricerca di investitori, deve avere tutte le carte in regola dal punto di vista della proprietà intellettuale e deve avere consapevolezza e sensibilità dell’importanza dell’aspetto regolamentare.

Proprietà intellettuale e informazioni segrete

Per quanto concerne la proprietà intellettuale, oltre alla – ovvia – opportunità di procedere precocemente, e non appena possibile, con il deposito di eventuali brevetti riguardanti le tecnologie create e sviluppate dalla startup e utilizzate nel suo business, vi sono due aspetti sui quali i neo imprenditori hanno generalmente poca sensibilità e dimestichezza:

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  • la possibilità di sfruttare alcune invenzioni in regime di segreto, e la correlativa necessità di proteggere le informazioni ad esse relative;
  • la gestione delle invenzioni create dai fondatori e dai dipendenti dell’impresa

La tutela delle informazioni segrete è, in Italia, tra le più avanzate ed efficaci d’Europa. La nostra normativa prevede infatti che sono tutelate le informazioni aziendali, e le esperienze tecnico-industriali e commerciali che: (a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme, o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili agli esperti e operatori del settore; (b) abbiano valore economico in quanto segrete; e (c) siano sottoposte a misure ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete. Ricorrendo tali requisiti, il legittimo detentore delle informazioni segrete ha il diritto di vietare ai terzi di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali informazioni, salvo il caso esse siano conseguite in modo indipendente dal terzo.

Nel life science il segreto è generalmente utile in combinazione con le invenzioni protette da brevetto. Per esempio, si può decidere di brevettare – e quindi divulgare al pubblico – la composizione di un prodotto farmaceutico, conservando invece il segreto sul relativo processo produttivo nell’ottica di mantenere la superiorità tecnica nei confronti dei concorrenti anche quando il brevetto sarà scaduto, e di rendere più difficoltoso l’entrata sul mercato degli omologhi farmaci generici o biosimilari.

Nell’ottica di presentarsi bene agli investitori, è pertanto opportuno che la startup effettui prima un esercizio di mappatura del proprio know-how per comprendere innanzitutto se, e per quale parte di esso, ricorrano i requisiti sopra indicati, e quindi se il know-how sia effettivamente proteggibile come segreto aziendale. La società dovrà poi assicurarsi che il know-how segreto sia costantemente protetto con misure adeguate, di tipo fisico, logico e contrattuale.

Il ruolo delle informazioni segrete all’interno della catena del valore delle imprese è destinato ad aumentare nei prossimi anni, e in particolare dalla metà del 2018, dopo che sarà stata recepita la direttiva n. 943/2016, che assicura una tutela e una protezione uniformi dei segreti commerciali nell’intero territorio dell’Unione Europea.

Domanda di brevetto: a nome di chi va depositata?

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Passando al tema del rapporto tra i fondatori e i dipendenti dell’impresa con la proprietà intellettuale, bisogna innanzitutto segnalare che i neo-imprenditori tendono con una certa frequenza a depositare a proprio nome le domande di brevetto e di marchio inerenti, rispettivamente, alle invenzioni e ai marchi di pertinenza del business. Il principale motivo alla base di questo modus operandi consiste nel fatto che spesso quando la anzidette domande vengono depositate, la società tramite la quale l’attività di impresa verrà esercitata non esiste ancora; la costituzione dell’ente viene posticipata quanto più possibile per evitare le spese ad essa relative, nonché i costi connessi alla gestione burocratica della società. Tuttavia, questa prassi può rivelarsi un punto problematico nel momento in cui la società si presenta agli investitori: perché essa può utilizzare diritti di proprietà intellettuale che non le appartengono, quasi sempre in virtù di una licenza tacita o implicita, e cioè senza neppure aver formalizzato per iscritto con i fondatori tale diritto d’uso; oppure perché i diritti di proprietà intellettuale vengono a un certo punto ceduti dai fondatori alla società a titolo gratuito o a prezzo simbolico, e quindi mediante un contratto affetto da nullità ai sensi del nostro diritto civile. Come regola, bisognerebbe procedere con la costituzione della società nel momento in cui matura l’esigenza di depositare domande di brevetti o di marchi, in modo tale che tali depositi possano essere effettuati direttamente dall’ente a proprio nome.

Il rapporto della società con i dipendenti va invece regolato in modo tale da evitare che essi possano avanzare pretese, soprattutto di carattere economico, in merito all’attività inventiva svolta a favore della società. A tal fine, la regola da seguire è di prevedere che i lavoratori che sono destinati a svolgere attività inventiva (es. ricerca e sviluppo) siano a tal fine specificamente retribuiti dal datore di lavoro. Ciò non solo garantisce che tutti i diritti sulle invenzioni del lavoratore spettino all’impresa, ma anche che il dipendente non maturi alcun diritto a percepire compensi aggiuntivi rispetto alla retribuzione pattuita nel contratto di lavoro. Diversamente, e cioè in mancanza del nesso tra attività inventiva e specifica retribuzione, in caso di ottenimento di brevetto o di sfruttamento dell’invenzione in regime di segreto da parte del datore di lavoro, il dipendente matura il diritto alla percezione di un equo premio, che in alcuni casi può essere anche assai significativo in termini economici.

Dal punto di vista regolamentare, sin dalle prime fasi di sviluppo del prodotto l’imprenditore deve iniziare a domandarsi quali caratteristiche esso abbia, o sia destinato ad avere, per consentire la classificazione e quindi l’identificazione della normativa ad esso applicabile. Nel life science, le categorie dei prodotti maggiormente rilevanti e soprattutto complesse dal punto di vista regolamentare sono quelle dei farmaci e dei dispositivi medici. Apparentemente  facilmente distinguibili sia tra loro che rispetto a prodotti non rientranti in queste categorie (es. cosmetici o software), queste categorie hanno tuttavia linee di confine non sempre ben delineate: ad esempio, un prodotto nato come dispositivo medico può sconfinare nel campo farmaceutico (se nel corso dello sviluppo la sua azione farmacologica prevale su quella meccanica), così come un prodotto che inizialmente non è destinato a rientrare tra i dispositivi medici, a seguito dell’introduzione di alcune specifiche caratteristiche  diventa classificabile come tale (es. in corso di sviluppo a una applicazione che doveva solo monitorare alcuni segni vitali viene aggiunto un algoritmo di interpretazione di tali segni che consente di rilevare eventuali anomalie).

In altri termini, la startup deve avere sempre un approccio critico e mai definitivo al prodotto in corso di sviluppo, e non solo prestare la massima attenzione al momento della sua originaria classificazione, ma anche essere disposta a metterla in discussione ogni volta che prevede di modificare o aggiungere nuove funzionalità. In questo modo la società potrà intraprendere in modo tempestivo il percorso regolamentare di volta in volta necessario per lanciare il prodotto sul mercato (sperimentazioni cliniche, autorizzazione all’immissione in commercio, certificazione ai fini della marcatura CE, etc.) e sarà preparata a sostenere adeguatamente eventuali due diligence da parte di potenziali investitori.

Contributor: Marco Blei – Elisa Stefanini, Studio Legale Portolano Cavallo

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