Tra startup e referendum

C’è un sottile filo conduttore che lega startup e referendum, come spiega in questo editoriale il direttore Emil Abirascid

Pubblicato il 03 Dic 2016

Questa settimana avrei voluto condividere con voi qualche riflessione sul referendum, non sul tema ‘sì’ o ‘no’, votate quello che volete, importante è che votiate, ma sullo strumento tecnico che abilita l’unica forma attualmente possibile di democrazia diretta. Chi segue Startupbusiness sa che il tema, quello dell’auspicabile avvento di nuovi modelli democratici resi possibili dalla disponibilità di nuove tecnologie, mi sta a cuore e che l’ho affrontato già in diverse occasioni scrivendo di modelli olocratici , di panarchia, di scientocrazia, decentralizzazione.

Avrei voluto riflettere con voi su come lo strumento referendario è impostato e impiegato, perché poi è facile dire che è colpa degli elettori dicendo che sono poco informati, quando invece bisogna anche riflettere su come tali strumenti sono utilizzati e proposti. Nel caso del referendum costituzionale del 4 dicembre per esempio è discutibile, da un punto di vista tecnico, la scelta di accorpare in un’unica domanda questioni tanto diverse: dall’abolizione delle Provincie (ma non dovevano già essere abolite?), al trasferimento dei poteri dalle Regioni, (ma solo quelle a statuto ordinario, eppure su questo quesito – accorpato appunto – votano anche i residenti in quelle a statuto speciale creando così una distorsione), all’apparato governativo centrale; dalla revisione del Senato che diventa non più direttamente elettivo, all’innalzamento della soglia necessaria per ricorrere a strumenti di democrazia diretta. Questa scelta impedisce di fatto di chiedere un parere ponderato ai cittadini perché la granularità dei quesiti non è contemplata e ciò pone lo strumento referendario così pensato nella condizione di essere quindi strumento che non vuole veramente chiedere la opinione dei cittadini, ma divenire leva per spostare masse elettorali in modo ideologico e partitico, in funzione di promesse elettorali, e a conferma di ciò siamo stati testimoni di una delle campagne elettorali più bieche, di basso livello e di poca dignità della storia di tutte le repubbliche come bene illustra Politico Europe che scrive come il vero vincitore di questo referendum è il ‘trumpismo’.

Per fare la democrazia diretta serve prima di tutto il rispetto per i cittadini, serve che i cittadini siano interrogati in modo corretto e serve che essi sappiano che il loro parere è importante e lo è solo se è ponderato e informato come già in passato è avvenuto anche in Italia: sul divorzio, sull’aborto, sul nucleare (benché li vi fu l’errore storico di farlo subito dopo il disastro di Chernobyl ), in quei casi la domanda era chiara, specifica. Il referendum del 4 dicembre è invece una pallida rappresentazione di quello che vorrebbe considerarsi come democrazia diretta ma che nei fatti lo è solo nominalmente.

Avrei voluto approfondire con voi queste riflessioni tecniche sul referendum, ma devo invece parlarvi del fatto che l’ecosistema delle startup in Italia continua a essere piccolo e periferico. I dati che ci giungono sia dall’Osservatorio Startup Hi-Tech della School of Management del Politecnico di Milano, sia dall’Associazione startup turismo sono poco confortanti. Noi qui a Startupbusiness continuiamo a essere ottimisti e positivi perché crediamo che la strada dello sviluppo di imprese che fanno innovazione sia quella maestra per creare il futuro dell’economia e della società e perché tutti i giorni incontriamo imprenditori che fanno cose di altissimo livello, con impegno, con slancio, con fiducia, con prospettiva, e questi sono gli elementi che rappresentano la vera anima dell’ecosistema. Ma i soldi servono e i soldi non ci sono, o meglio ce ne sono ancora pochi. Nei due articoli che abbiamo dedicato ai dati raccontiamo quali sono gli elementi di criticità e quali invece i segnali positivi sui quali bisogna costruire ulteriormente come per esempio la crescita di attenzione da parte del mondo industriale tradizionale verso le startup e l’arrivo dei primi investitori internazionali a sostegno di startup italiane; confrontiamo la situazione italiana con quella di altri Paesi simili al nostro per dare una idea più chiara del ritardo che dobbiamo recuperare; suggeriamo quali azioni sarebbe utile mettere in campo come per esempio concentrarsi maggiormente sulla qualità delle startup, creando una sorta di champions league delle startup italiane più interessanti, valide e promettenti, e meno sulla quantità come, quasi come una litania, continuano a ripetere da governo contando le ormai migliaia di startup dell’apposito registro di Stato, migliaia che però per la gran parte generano poco valore.

C’è un filo conduttore tra la prima e la seconda parte di questo articolo, ed è il filo che richiama a una maggiore consapevolezza verso le scelte strutturali, istituzionali e politiche; che richiama a un maggiore approfondimento dei temi prima che le decisioni vengano prese possibilmente in modo ponderato e analitico e non ideologico e partitico. È il filo che richiede una costante attenzione e capacità di revisione e modifica perché le cose del mondo stanno modificandosi sempre più rapidamente ed è essenziale essere pronti a cambiare rotta se i risultati non arrivano, a modificare l’approccio se si assiste a una perdita di competitività (bisogna per esempio abolire l’attuale legge sulle startup del tutto inutile e inefficace e costruire strumenti di sostegno effettivo a chi dimostra di creare valore), ad avere la capacità, l’umiltà, la velocità, l’apertura mentale di guardare avanti e di porsi nella condizione di fare leggi e norme non per accentramento del potere, non per salvaguardare rendite di posizione, non per piazzare qualche poltrona, non per riempirsi la bocca di numeri inutili, ma solo ed esclusivamente per aiutare il Paese ad accelerare nel suo processo di crescita verso il futuro e i dati ci dicono una cosa ben chiara: se questa accelerazione non avviene presto e in modo sostanziale l’Italia resterà ai margini di questo cambiamento e le imprese italiane di valore, che sono tantissime, al momento di fare il salto e crescere andranno all’estero, come è avvenuto fino a oggi.

Emil Abirascid

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