editoriale

Theranos, caso unico o storia esemplare?

La condanna per Elizabeth Holmes segna la fine della parabola dell’imprenditrice e della startup più controversa della storia della Silicon Valley

Pubblicato il 04 Gen 2022

La parabola di Elizabeth Holmes si è compiuta. La fondatrice e Ceo di Theranos ha ricevuto la sua sentenza dal tribunale californiano di San Josè e ora rischia fino a 20 anni di reclusione. Le cronache della sua storia sono ovunque in questi giorni (e presto diventeranno anche un film), a partire dalla cronologia degli avvenimenti che inizia nel 2003 quando l’allora 19enne studentessa di Stanford decise di mollare tutto per dare vita alla startup ispirata dalla sua paura per gli aghi – ricordiamo che Theranos prometteva di avere sviluppato un sistema di diagnosi capace di tracciare fino a 200 analisi da una semplice goccia di sangue del paziente – , fino ad arrivare a questi primi giorni di gennaio 2022 quando è stata giudicata colpevole di quattro delle undici accuse che le sono state mosse a valle di un processo durato quasi 4 mesi e che è stato rimandato più volte negli anni scorsi prima per via della pandemia, poi per consentire all’ex imprenditrice di portare a termine la gravidanza del suo primo figlio che è nato a luglio del 2021. Cronache che passano naturalmente anche per l’inchiesta che nell’ottobre del 2015 il Wall Street Journal ha condotto su Theranos scoprendo che la gran parte di ciò che dichiarava era falso, che la tecnologia era in grado di eseguire solo 12 dei 200 test e che quindi tutto ciò che era stato raccontato al mercato, ai pazienti, agli investitori, ai partner industriali era falso.

Prima dell’inchiesta Theranos valeva 9 miliardi di dollari e la Holmes era considerata una imprenditrice prodigio, la nuova Steve Jobs ed ella un po’ si atteggiava a tale ruolo vestendo con maglie nere a girocollo che ricordavano molto quelle preferite dall’illuminato fondatore della Apple. I media impazzivano per la giovane imprenditrice che era stata capace di raccogliere quasi un miliardo di dollari in finanziamenti da gente come, tra i tanti, Larry Ellison di Oracle e il magnate dei media Rupert Murdoch, nomi che davano ulteriore lustro alla startup che fu capace di portare nel board personaggi come l’ex segretario di stato Usa Henry Kissinger, e che quindi l’hanno messa anche in condizione di siglare accordi industriali e finanziari con giganti come Walgreens and Safeway. Insomma una scaleup a tutti gli effetti con tecnologia innovativa e proprietaria, con capacità di scalare rapidamente, con partnership industriali e finanziarie di primo livello, la quintessenza della startup. Peccato fosse tutta una truffa.

La storia di Theranos è quindi finita nel peggiore dei modi e così anche quella personale di Elizabeth Holmes, e pure quella dell’allora suo braccio destro e partner di vita Ramesh Balwani accusato dei medesimi crimini e il cui processo inizierà a breve, si trova ad affrontare un futuro tutt’altro che luminoso. Ma questa storia che implicazioni ha? In che modo avrà conseguenze sul concetto stesso di impresa che fa innovazione, sulle dinamiche della Silicon Valley, sul concetto stesso di startup? Già si sono fatti avanti, e c’era da aspettarselo, i pomposi commentatori che mai mancano in queste occasioni, due di loro – secondo quanto riporta un articolo apparso sul sito della CNN – Margaret O’Mara, storica dell’industria tecnologica e docente all’Università di Washington e George Demos, ex legale della SEC (la Securities and Exchange Commission, in pratica l’equivalente USA della Consob italiana che vigila sulla Borsa valori) e oggi professore aggiunto alla UC Davis School of Law, si sono subito lanciati nel denigrare il modello della Silicon Valley estendendo tali strali anche a chi la celebra e a chi usa i prodotti delle aziende che lì operano enfatizzando come si tratta di una cultura che celebra e incoraggia persone troppo giovani e prive di esperienze e come la sentenza di questo processo rappresenta una significativa vittoria per il governo USA e si traduce in un forte segnale per la Silicon Valley che non può permettersi di mascherare le frodi con l’innovazione. Un tantino esagerati.

Il perno della faccenda qui è delicato però, è fondamentale infatti comprendere quando un’azienda, una startup, fallisce perché ha compiuto passi falsi, ha sbagliato a organizzarsi e a pianificare ma lo fa in buona fede, sapendo che il fallimento è parte del rischio che si prende quando si fa innovazione e, di contro, stabilire se, come nel caso di Theranos, si tenta di mascherare un fallimento, si mente e si compie una vera e propria frode. Quindi il fallimento è parte del processo di creazione di una startup che fa innovazione, diventa frode quando chi è al corrente della capacità di tale innovazione di divenire realtà non lo dice chiaramente al mercato, agli investitori, agli stakeholder. Non è quindi il fallimento il problema, non è quindi credere in giovani imprenditori il problema, ma è la menzogna e questo vale in Silicon Valley come ovunque come insegnano, per esempio, anche le storie dell’italiana Bio-On  e della tedesca Wirecard . Così come, naturalmente, sarebbe estremamente sbagliato imputare il guaio di Theranos alla giovane età di Holmes o al fatto che sia una donna, ciò benché, in un estremo quanto maldestro tentativo di difesa, sia stata lei stessa in tribunale ad affermare di essere stata vittima di un rapporto distorto con Balwani, di vent’anni più anziano di lei, il quale, afferma la ex Ceo, controllava di fatto la sua vita.

È quindi fondamentale tenere presente che il caso di Theranos è unico e particolare, vuoi perché per anni la fondatrice è riuscita a convincere investitori e grandi nomi dell’industria e della finanza della bontà del suo progetto, vuoi perché ha certamente giocato un ruolo l’euforia della esposizione mediatica che ha contribuito a distorcere la realtà dell’ambiziosa imprenditrice, vuoi perché dopo avere costruito un castello di carta di siffatta dimensione è assai difficile ammettere di essersi sbagliati anche se, ovviamente, era la cosa da fare da subito. È quindi eccessivo attaccare il modello della Silicon Valley o il concetto stesso di startup partendo da questo caso, appare alquanto poco lungimirante guardare al rumoroso albero che cade di questo fallimento spettacolare e non curarsi della silenziosa foresta che cresce fatta di aziende che innovano in modo sano e ardito e ottengono risultati eccezionali contribuendo a rendere il mondo un posto migliore. Del resto è uno scenario che abbiamo già vissuto quando vi fu la prima ondata delle startup, la bolla delle dot-com che implose lasciando a bocca asciutta tanti investitori e anche allora si corse ad accusare i giovani imprenditori privi di esperienza, i business plan scritti sui tovaglioli dei ristoranti sufficienti per raccogliere milioni di dollari, da quella esperienza abbiamo imparato, abbiamo fatto aggiustamenti e il fenomeno delle startup è diventato 10, 100, 1000 volte più forte e così accadrà anche questa volta, impareremo qualche lezione, attueremo qualche nuova strategia per proteggerci da mentitori e truffatori, ma di certo l’innovazione d’impresa con tutto il suo fascino, tutto il suo rischio, tutte le sue promesse e tutta la sua capacità di concretizzarle, ne uscirà ancora più forte. (Photo by Stephen Rheeder on Unsplash )

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