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FRM, vantaggi e sfide del vertical farming

Dal garage a Trentino Sviluppo, ecco la startup che sta rivoluzionando l’agricoltura verticale con il suo impianto innovativo e brevettato

Pubblicato il 21 Feb 2022

Come è successo per tante startup tecnologiche nate in un garage, anche FRM non è da meno: è nata in un magazzino, a Vigonza, dove un trio di amici crea il primo prototipo di quello che diventerà il suo impianto di vertical farming high tech. Siamo alla fine del 2019, prima della pandemia, ma già in tempi di rivoluzione verde: molte persone prestano maggiore attenzione a tanti aspetti della sostenibilità, compresa quella alimentare, che non significa solo ‘non sprecare’ o ‘non mangiare carne’, ma sapere cosa si sta mangiando.
Per niente facile da scoprire, le etichette, al momento, non sono ancora così ‘parlanti’.

Il tema della sostenibilità alimentare per i due amici Andrea Guglielmi e Stefano Boaretto, ingegneri ICT, si traduce in un’idea: creare un sistema software di tracciabilità alimentare. “Non troppo complesso da realizzare da un punto di vista informatico. – confida Andrea – Ma ci siamo subito scontrati con l’impossibilità per agricoltori e allevatori di adottare il sistema e fornire le informazioni che si chiedevano”.

In sostanza, spiega Andrea Guglielmi, esistono dei buchi informativi lungo la filiera, che impediscono un tracciamento completo di quello che ci arriva sul piatto.
“Quindi abbiamo deciso di cambiare prospettiva, di fare noi un prodotto agricolo di cui potessimo controllare completamente il processo di coltivazione e produzione”. – dice Andrea Guglielmi (a sinistra nella foto di copertina).

vertical farm

Il team dei fondatori a questo punto si allarga, il terzo pilastro è Davide Meneghello, biotecnologo, una figura che non poteva mancare. L’idea prende forma intorno al concetto di vertical farming, un innovativo sistema di coltivazione che sta trovando grande attenzione per le sue caratteristiche di sostenibilità: non sfrutta il suolo, consuma una frazione dell’acqua che serve per l’agricoltura tradizionale, la puoi fare praticamente ovunque e anche le emissioni di CO2 si riducono, hai un controllo massimo della coltivazione e ti permette di eliminare una serie di inconvenienti e l’uso di molta chimica.

“Si parla di agricoltura ma è prevalentemente un’attività tech, nel senso che le competenze e le attività che vengono affrontate sono spesso di tipo ingegneristico e informatico. – sottolinea Guglielmi, attualmente CTO della società – Le problematiche che dobbiamo affrontare quotidianamente sono di natura tecnica e ingegneristica: idraulica, meccanica, elettronica, elettricità. È una forma di coltivazione che è più vicina ai giardini verticali che all’agricoltura tradizionale. Anche se l’input e l’output sono dei vegetali, in tutto quello che sta in mezzo c’è davvero molta tecnologia”.

Eureka!

Nel suo primo momento ‘Eureka!’ il team si orienta quindi alla produzione di prodotti vegetali e parte fisicamente alla ricerca degli impianti. “Abbiamo fatto diversi giri in Europa per scoprire chi li facesse, la nostra idea era di comprarlo, ne avevamo quasi trovato uno a Bristol in UK, ma poi ci siamo resi conto che era davvero troppo prototipale. Avevamo appurato che lo stato dell’arte rispetto agli impianti di una vertical farm era davvero poco evoluto, e a quel punto, da bravi ingegneri, abbiamo deciso di farcelo da soli”. – ricorda Andrea.

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E così cominciano a farlo proprio in quei magazzini di Vigonza cui si accennava all’inizio, creando tutto da zero: vasche, impianto idraulico, elettrico, sistema di controllo, ogni aspetto della vertical farm. È proprio questo dover costruire tutto ‘from scratch’ che permette a FRM di raggiungere un’altra consapevolezza, il secondo momento ‘Eureka!’: vendere gli impianti di vertical farming.

“Ci siamo resi conto che la tipologia di impianto e la tecnologia che siamo riusciti a sviluppare aveva un grande valore nel mercato, così il nostro core business è diventato produrre impianti”.

In pratica, hanno anche smarcato la concorrenza, trovando l’oceano blu: mentre tutte le altre aziende del vertical farming vendono ’piantine’, loro vendono la tecnologia per la produzione.

Tech 4 Good

FRM diventa azienda che produce sistemi di coltivazione aeroponica in verticale da installare in qualsiasi tipo di edificio e struttura. Un sistema brevettato.

“Attualmente in questo mercato ogni player ha un sistema proprietario e non lo dà a nessuno perché il suo modello di business è vendere il prodotto finale, di fatto chi vuole entrare in questo mercato deve inventarsi il suo impianto; noi abbiamo deciso di cambiare approccio, cioè far beneficiare più aziende possibile della nostra tecnologia già testata, affinché si diffonda il vertical farming, che riteniamo una grande chance per il futuro dell’agricoltura e del mangiare sano”. – spiega ancora Andrea.

Questo approccio si sposa completamente con la filosofia che anima questa società, insediata attualmente a Rovereto, insediata negli spazi “Be Factory” in Progetto Manifattura, dentro il polo tecnologico di Trentino Sviluppo. La filosofia della sostenibilità e della tutela ambientale.

La società crede fermamente nella ‘rivoluzione agricola’, in particolare quella da loro stessi proposta di vertical farming ‘aeroponica’: una coltivazione che non sfrutta il suolo e nemmeno l’acqua, perché le radici sospese vengono nebulizzate con minime quantità di acqua e nutrienti. Un processo circolare ed estremamente efficace, sano, che consente di ottenere molti cicli produttivi all’anno.
Una tecnologia in grado di soddisfare molte sfide globali e raggiungere i goal dell’Agenda 2030 UN, come quelle ambientali legate alla produzione di cibo ma anche alle esigenze alimentari di un pianeta la cui popolazione aumenta.

Ma non solo.

Molecular farming

piantine vertical farming
Sotto il profilo della produzione FRM attualmente si concentra sulle piantine per l’industria farmaceutica, e in questo settore particolare sta affrontando il tema del ‘molecular farming’, una nuova area delle biotecnologie, che utilizza le piante per la produzione di vaccini e biofarmaci.

“In generale, nel vertical farming la produzione di piante per l’industria farmaceutica non è molto diversa da quella di piante edibili, cambia la destinazione di quel prodotto. – spiega Davide Meneghello, il biotecnologo della società (a destra nella foto di copertina) – Tuttavia può essere molto differente l’impatto di questa attività. Spesso le piante utilizzate nella farmaceutica o anche nella cosmesi arrivano dal Sud America o dai Paesi asiatici, quindi sia in termini ambientali sia di etica delle produzioni c’è un gran punto di domanda. Una tecnologia come la nostra permette di avvicinare la produzione e di controllarla completamente. Inoltre, favorisce la possibilità di sondare, appunto sotto il massimo controllo, in un ambiente chiuso e protetto, temi che in agricoltura tradizionale sono o vietati, come gli ogm, o molto difficili da applicare, come le modifiche transienti ed il molecular farming, processo che induce le piante a produrre loro ciò che serve a noi, nella medicina o nella diagnostica. La farmaceutica lo fa da anni in grandi laboratori, utilizzando bioreattori per la coltura cellulare che hanno dei costi enormi, portare questa tecnologia al livello di una pianta, che è di suo un laboratorio chimico, è qualcosa che permette di abbattere i costi di molecole ad alto impatto, dai vaccini agli anticorpi monoclonali”.

L’impatto ambientale del vertical farming

“Ci sono una serie di obiettivi di impatto molto diretti”, dice Davide Meneghello.

“L’utilizzo del suolo, in primis: ce n’è sempre meno di utilizzabile, quindi spostare l’agricoltura in ambienti stratificati in verticale aumenta la capacità produttiva sulla stessa superficie. L’altro aspetto di vantaggio, per lo meno per noi che lavoriamo in aeroponica in alta pressione (e non idroponica) è il consumo di acqua, che per l’uso in agricoltura è davvero un problema, infatti è nell’Agenda 2030 come il consumo di suolo, noi con il nostro metodo utilizziamo fino all’ultima goccia. Tutto ciò che inseriamo di acqua nel processo diventa un vegetale, non rilascia nulla nell’ambiente, è un ciclo chiuso e questo permette di lavorare con una selezione di minerali che servono per alimentare le piante, ciò che nell’agricoltura si fa con i dannosissimi fertilizzanti. Purtroppo, lo sfruttamento delle terre per agricoltura impoverisce la terra stessa, perciò vengono poi usati i fertilizzanti, in quantità sempre maggiore, perché la terra è sempre più povera. Questo non va bene, naturalmente, anche se l’agricoltura tradizionale se ne sta dimenticando”.

Altri aspetti, come spiega Meneghello, riguardano l’eliminazione di fitofarmaci, malattie, erbe infestanti, tutti problemi legati al substrato terra. Poi c’è un altro vantaggio, la vicinanza della produzione.

“È conosciuto l’esempio di Aerofarms, nata già da 10 anni, diventata famosa per aver portato la produzione dove non poteva esserci, a Manhattan, eliminando l’impatto di tutta la catena del trasporto. Il vertical farming può fare questo, avvicinarsi fisicamente al consumatore, un chilometro zero, ma sano, – sottolinea Meneghello – perché ‘non è che ovunque e sempre’ il chilometro zero sia un vantaggio”.

Ci sono, poi, tipi di impatto meno immediati, ad esempio, anche se è vero che gli impianti consumano molta energia è anche vero che se si utilizzano fonti rinnovabili tutto cambia.
“Il fotovoltaico che alimenta la vertical farm non fa altro che trasferire quell’energia invece che in una rete in una massa vegetale. Una specie di batteria che ha destinazione alimentare anziché industriale” – spiega Davide.

Infine, ma non ultimo, l’aspetto della neutralità climatica, anzi della positività climatica. Perché le piante mangiano anidride carbonica, come noto, e di conseguenza una vertical farm potrebbe addirittura fungere da strumento per la cattura di carbonio in ambienti ad alte emissioni.

Ma alla fine, i prodotti della ‘fabbrica d’insalata’ sono buoni?

Gusto più marcato e intenso, che in coltivazione può essere controllato perché il gusto è modificato da situazioni di stress che in serra possono essere gestite; ma c’è anche una componente di ‘freschezza’. “Con il vertical farming è possibile portare al consumatore una pianta, un frutto, praticamente ancora vivi, non sono in giro da 20 giorni da un frigo a un bancone. Sono prodotti che non contengono nichel, metalli pesanti, che addirittura potrebbero essere biofortificati. La vera sfida per i prossimi anni del vertical farming sarà svilupparsi per raggiungere la produzione di massa e l’abbattimento dei costi che lo renda accessibile ai consumatori”.

Headquarter Rovereto

Nata ufficialmente nel 2020, la società sta crescendo dentro il polo tecnologico di Trentino Sviluppo, insediata negli spazi “Be Factory” in Progetto Manifattura. Qui, grazie anche ai 750 mila euro ottenuto tramite un bando “Smart and Start” di Invitalia, sta realizzando un nuovo prototipo di orto aeroponico con 270 vasche che conterranno 60 mila piante e si auto-sosterranno grazie al recupero dell’acqua di scarico e dell’impianto di climatizzazione.

Trentino Sviluppo ci ha aiutato tantissimo nell’organizzazione, nel network, c’è proprio un tipo di clima che favorisce in maniera importante le startup. Siamo seguiti e incentivati per l’innovazione che portiamo, c’è un sostegno concreto affinché la startup si realizzi. Per esempio, noi adesso siamo interessati a farci conoscere nel mercato del Medio Oriente, estremamente interessante per noi viste le sue caratteristiche, nei prossimi mesi faremo diverse attività, un evento ad Abu Dhabi e qui ci stanno dando tutto il supporto necessario per fare questo, ci creano collegamenti e appuntamenti. Non è stato facile entrare qui, un lavoro di selezione lungo in cui hanno preso visione di ogni aspetto della nostra società e del business plan. Infatti, dopo è stato una passeggiata anche ottenere un finanziamento Smart&Start!” – conclude Andrea Guglielmi.

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