Fondi pubblici: ITAtech-Sofinnova, telenovela all’italiana

Non si è ancora chiarita la questione dei fondi pubblici per startup di ITAtech che potrebbero andare alla francese Sofinnova, lasciando a bocca asciutta i gestori italiani

Pubblicato il 30 Dic 2017

Tra le questioni di fine anno che riguardano il mondo del digitale, degli investimenti in capitale di rischio e delle startup di cui vi abbiamo raccontato nell’editoriale e come accennato anche nell’articolo sul ruolo dei fondi pubblici, vi è una faccenda ancora non definitivamente chiarita e risolta: quella della relazione tra ITAtech e Sofinnova.

Il pomo è legato al fatto che ITAtech sarebbe pronta a investire nel fondo francese Sofinnova, cosa che a molti non piace sia per via dei precedenti che hanno visto il Fondo italiano di investimento (Fii) investire in Sofinnova senza che vi siano stati ritorni significativi per le startup italiane, sia per via del fatto che a concorrere per gestire parte dei 200milioni di euro di ITAtech vi sono anche altre realtà italiane, tra cui per esempio AurorA-TT (di cui abbiamo scritto qui enfatizzando come questa realtà ha già attive oltre 20 collaborazioni con centri di ricerca e università) nell’ambito lifescience insieme, secondo indiscrezioni, a Panakes e Principia.

EconomyUp aveva raccontato nel dettaglio tutti gli avvenimenti che hanno portato alla crescita di attenzione vero la relazione tra i fondi pubblici italiani e Sofinnova (da questo articolo è possibile ricostruire tutta la cronaca).

Se per parte sua quindi Sofinnova ha confermato la volontà di aprire un ufficio operativo a Milano e quindi di guardare con maggiore attenzione alle startup italiane sulle quali investire, resta però ancora non chiarita la questione degli altri team di gestione che si sono proposti e per i quali, pare, la due diligence non sia ancora partita, mentre per Sofinnova i giochi sono già fatti, o quasi. ITAtech è finanziato da Cassa depositi e prestiti (Cdp) e da Fondo europeo investimenti (European investement fund, Eif), ciascuno contribuisce con 100 milioni di euro, ed è proprio il secondo che ha il compito di selezionare i partner.

La relazione tra di due enti è essa stessa ancora da chiarire del tutto proprio perché Eif si sta muovendo poco sull’analisi delle proposte italiane anche se Leone Pattofatto, presidente di Cdp Equity, ha recentemente dichiarato che le operazioni sono tutte trasparenti come riporta appunto l’articolo di EconomyUp.

A non essere però convinti che tutto sia gestito in modo trasparente e chiaro, cosa che invece dovrebbe essere cristallina visto che si tratta di fondi pubblici, sono però coloro che aspettano di ricevere da ITAtech il medesimo trattamento riservato a Sofinnova in termini di attenzione e di avvio delle procedure di due diligence.

Ciò che servirebbe è una chiara presa di posizione da parte di Cdp, magari per bocca del suo presidente Claudio Costamagna, in modo da sgombrare il campo sia dal pomo legato alla destinazione francese dei fondi italiani, sia da quello legato alla valutazione degli altri management team che si sono proposti. Ciò avrebbe come conseguenza da un lato la crescita della trasparenza sui criteri e le procedure di assegnazione dei fondi e sul fatto che la relazione tra Cdp e Eif è pienamente concorde e soprattutto metterebbe la parola fine alla deriva nazionalistica che ha caratterizzato questa sorta di telenovela iniziata con i soldi dati dal Fii a Sofinnova che per la gran parte sono stati investiti in aziende francesi. Un tema non da poco visto che mentre in Italia continuiamo a viaggiare su investimenti che non riescono a superare i 200 milioni di euro l’anno, in Francia stanno correndo verso cifre che sono oltre 10 volte più corpose (come riporta il report di Atomico che abbiamo citato qui).

È fondamentale quindi che i finanziamenti pubblici vengano destinati anche a veicoli di investimento italiani perché solo così si può contribuire a dare nuova energia al settore del VC nazionale (qui un’analisi sul tema) che è oggi di fatto un’industria sussidiata, ciò ovviamente senza chiudere le porte a risorse e competenze internazionali che sono più che benvenute in un sistema come quello italiano dove una maggiore disponibilità di denari e anche di concorrenza farebbe certamente bene e senza naturalmente chiudersi su posizioni autarchiche che quando si parla di innovazione e imprese innovative suonano decisamente anacronistiche.

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