Tra Catalogna e startup, come avanza la decentralizzazione

Il referendum catalano è uno dei segnali della tensione verso la decentralizzazione, che passa in varie parti del mondo a diversi livelli, anche quello startup

Pubblicato il 02 Ott 2017

Sulle colonne di Startupbusiness abbiamo in passato scritto di referendum e di startup , e anche di nuovi sistemi organizzativi decentralizzati, e della crisi storica degli stati nazione , argomenti sempre più di attualità come dimostrano gli avvenimenti catalani di questi giorni. Il fenomeno è innescato, fra 20 giorni anche le regioni italiane di Lombardia e Veneto chiameranno i cittadini a votare su in referendum a sostengo di una maggiore autonomia (va sottolineato che il referendum di Lombardia e Veneto è, diversamente da quello catalano, legato a una norma chiaramente prevista dalla costituzione italiana all’articolo 116 e quindi perfettamente legale), sono tutti segnali che si allineano nel solco della tensione verso la decentralizzazione e quindi, potremmo anche dire, nella direzione del ribaltamento del concetto che contrappone i centri alle periferie, concetto che va rivisto profondamente e illuminato da una nuova percezione.

Siamo abituati, per esempio, a pensare alle nostre città come entità che hanno un centro ben preciso e attorno a esso le periferie, è un modo di pensare radicato, a volte perfino rafforzato da decisioni politiche non sempre lungimiranti, ma che è destinato a essere superato perché la decentralizzazione si declina in modelli multicentrici e quindi specifici territori possono essere centro e periferia allo stesso tempo. Tutto dipende da quali sono i valori che si utilizzano per definire tale dicotomia. È sempre più il punto di vista dell’osservatore che determina la centralità o la periferia, un esempio di questa mutabilità percettiva arriva da un recente articolo pubblicato dal New York Times e ripreso dal Telegraph  che teorizza il carattere periferico del ruolo di Milano quale città parte del circuito dell’industria della moda definendo il suo ruolo appunto periferico. Ecco che il Quadrilatero della moda, centralissimo nella sua percezione urbana, diventa periferico nella percezione culturale (ovviamente nell’articolo gli stilisti italiani si ribellano a questa tesi, tra loro anche Antonio Marras, direttore artistico di Kenzo, che cita una famosa frase in cui Andy Wharol affermava che le migliori e più belle idee arrivano dalle periferie).

Il concetto di centro e di periferia è quindi arbitrario, certo la conformazione urbana delle città aiuta ad alimentarlo nella sua declinazione più classica ma anche dal punto di vista urbano si costruiscono tessuti sempre più a rete, gli aeroporti per esempio, periferici rispetto al centro delle città, divengono centrali per una grande quantità di persone e attività economiche e soprattutto il tessuto industriale che si sviluppa nelle periferie bucoliche strutturalmente lontane dai centri urbani e cresce con sostanza e applicando modelli organizzativi arditi, compresa l’attenzione di stampo industriale verso le startup come dimostrano per esempio e in modo assai concreto aziende come quelle che partecipano al Premio Marzotto in veste di partner industriali: Santex Rimar Group di Trissino, Vicenza; Santa Margherita vini di Fossalta di Portogruaro, Venezia; Zambon farmaceutica di Bresso, Milano; Illy caffè di Trieste; Selle Royal di Pozzoleone, Vicenza.

Ecco quindi che le startup giocano il loro ruolo in questo processo di ridefinizione degli schemi e lo fanno sempre di più anche in modo strutturato, e anche in questo caso sono i francesi a mostrare maggiore lungimiranza con il lancio del progetto Startup Banlieue   e https://startupbanlieue.com che ha lo scopo di dare impulso a coloro che pur stando in periferia hanno idee e competenze e di individuare 100 imprenditori da sostenere e formare e trasformare in esempi e ambasciatori del valore che emerge dalle periferie. Anche a Milano l’incubatore di innovazione sociale del Comune, FabriQ, ha sede nella estrema periferia e precisamente nel quartiere di Quarto Oggiaro, scelta che a distanza di anni, il progetto nasce nel 2014, conferma di essere tutt’altro che infelice, ma seme che deve poter generare ulteriori piante e creare un indotto capace di rafforzare e contribuire alla gentrificazione di quelle che siamo abituati a considerare come le periferie del mondo ma che sono tali solo se si continua a vederle con un occhio poco innovativo.

@emilabirascid

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