Rilanciare l’Italia delle startup con l’ICOsistema

ICOsistema come nuovo inizio. Per rilanciare l’Italia delle startup serve una forte scossa sul piano imprenditoriale, finanziario, statale e culturale.

Pubblicato il 13 Dic 2017

Mi permetto di creare un neologismo: ICOsistema. Esso deriva dall’unione della sigla ICO, che sta per Initial coin offering ed è la nuova modalità che molte startup stanno usando per autofinanziarsi usando le cryptomonete (ne abbiamo parlato qui), e della parola ecosistema, che applicata al mondo delle startup indica l’insieme di chi fa nuova impresa, di chi la finanzia, di chi la sostiene a vari livelli. E fino a qui l’accademia, ma perché ICOsistema? Per associare, o meglio fondere, il concetto della nuova partenza con quello dell’ecosistema. È ciò che servirebbe oggi, ripartire con un nuovo approccio, con magari anche qualche nuovo strumento o quantomeno con una revisione profonda degli strumenti esistenti per dare rinnovato entusiasmo e spinta all’ecosistema italiano delle startup.

Fino a oggi abbiamo più volte scritto su queste colonne le ragioni per le quali il nostro ecosistema, soprattutto in termini di volumi di investimenti, è ancora piccolo rispetto a quelli più avanzati, lo abbiamo anche ribadito recentemente qui chiedendo però anche commenti e osservazioni ai lettori. Alcuni commenti sono arrivati, soprattutto da esponenti del mondo degli investitori che propongono nuove chiavi di lettura per spiegare come e perché l’ecosistema italiano vive questa sua particolare condizione.

Uno di questi investitori, un business angel, mi ha detto che i soldi ci sono ma che mancano le cose buone su cui investire. Serve valutare a che soglia si attesta il livello di prudenza dell’investitore, se la sua propensione al rischio, che in un venture capital o in un business angel dovrebbe essere piuttosto elevata, è limitata va da se che più difficilmente troverà cose buone su cui investire, ma ciò che va certamente rilevato è il punto di vista di questo investitore e quindi l’opportunità relativa che si traduce nel definire strumenti e azioni capaci di aiutarlo a individuare cose che siano il più possibile aderenti ai suoi desiderata facendo quindi un’azione di ‘brokeraggio’ al fine di ridurre la sua percezione del rischio e accompagnarlo così alla chiusura dell’investimento. Perché ogni investimento in più aiuta l’ecosistema a crescere. Queste attività di brokeraggio possono essere considerare come un elemento da introdurre con maggiore convinzione nell’ecosistema, affiancando quelle che già fanno incubatori e acceleratori, al fine di aumentare la portata e la frequenza degli investimenti visto che, confermano appunto gli investitori, i soldi ci sono.

Un altro investitore, questa volta operativo in un fondo più grande, osserva invece che è fondamentale il fattore tempo. “Tutti si aspettano risultati troppo velocemente – dice – per esempio per valutare l’innalzamento al 30% degli incentivi ai privati che investono in startup ci vorrà tempo” e fa il confronto con gli schemi di incentivazione britannici Eis e Seis che sono partiti rispettivamente nel 1994 e nel 2012. Secondo questo investitore i tempi per le valutazioni sono quindi lunghi. Egli infatti prevede che per vedere gli schemi varati del 2012 alla prova bisognerà attendere il 2022, e magari nel 2025 si potrà iniziare a fare un primo bilancio per decretare se lo schema si è rivelato un successo o un fallimento. Il rischio maggiore, considerate tali prospettive, spiega sempre l’investitore, è quello di non avere la pazienza di attendere e cambiare repentinamente corso, ciò che bisogna fare è lavorare con prospettive verso il 2030 e su diversi piani: riduzione del digital divide, diffusione della banda larga e su quella che l’investitore considera la leva più importante: la formazione intesa come scuola e università, ma anche formazione della forza lavoro, partendo dalla Pubblica Amministrazione.

Questi commenti e osservazioni di grande rilievo giungono a completare un quadro che richiede indubbiamente una spinta, un’accelerazione. Se è vero che dobbiamo considerare tempi più lunghi, che dobbiamo considerare che non sempre gli investitori trovano terreno fertile su cui investire, non possiamo però nemmeno fare a meno di continuare a considerare che anche l’impianto normativo possa e debba essere maggiormente efficace e che definire per decreto ciò che è innovativo da ciò che non lo è continua a essere una distorsione anacronistica anche nell’ottica di una visione che deve essere sempre più internazionale.

Ecco, quindi, perché ICOsistema, perché serve un rilancio non solo economico, finanziario, imprenditoriale ma anche e soprattutto culturale, serve un momento di rottura e di sblocco, un momento che sia allo stesso tempo di maturazione, come se si trattasse della quotazione in Borsa di un’azienda (IPO), momento che corrisponde anche a un nuovo inizio, proprio come avviene con le ICO. Un momento che può avvenire solo se si verificano due condizioni: la presa di coscienza e conoscenza di ciò che non va e di ciò che è migliorabile, e la volontà precisa e determinata di portare anche l’ecosistema delle startup italiane a un livello almeno pari a quello delle altre economie europee.  Va bene se per avere risultati significativi serviranno 10 o più anni ma ciò che però deve accadere nel frattempo è che si verifichino segnali tendenziali positivi che contribuiscano a fare crescere la fiducia e l’interesse e che quindi facciano progressivamente crescere il valore dell’ICOsistema, magari già partendo dal 2018.

@emilabirascid

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