Space junk, chiusa la 1° missione D-Orbit, ecco com’è andata

La startup italiana aerospaziale conclude la sua prima missione in orbita, con un insuccesso e tanti traguardi raggiunti, ecco il report

Pubblicato il 08 Nov 2017

Vi avevamo anticipato della prima missione spaziale di D-Orbit , la startup italiana aerospaziale che ha sviluppato un sistema per il cosiddetto ‘decomissioning’, il rientro programmato e guidato dei satelliti che permetterebbe di risolvere (almeno in futuro) il problema ‘space junk’ o ‘space debris’, spazzatura spaziale. Oggi vi raccontiamo come la prima missione, denominata D-SAT è andata, cosa è successo e cosa ciò significa.

“Nonostante le numerose difficoltà incontrate e barriere abbattute durante i due anni in cui abbiamo costruito il nostro primo satellite, D-SAT, i risultati raggiunti sono stati strabilianti. Certo avrei voluto funzionasse tutto al primo colpo e che D-SAT fosse tornato a casa – spiega a Startupbusiness Luca Rossettini fondatore e ceo della startup che da piccolo sognava di fare l’astronauta – . Quanto abbiamo ottenuto con questa missione è però una serie di record unici che ha mostrato le competenze e le capacità di un’azienda che cresce e lo fa in modo strutturato e di qualità. I traguardi tecnologici raggiunti non sono passati inosservati, e hanno reso possibile la stipula di nuovi importanti contratti soprattutto nel settore NewSpace. D-Orbit è nata proponendo sistemi di decommissioning, un trasporto per satelliti dall’orbita verso terra. Oggi siamo l’unica azienda a offrire un vero e proprio sistema di trasporto e consegna in orbita per piccoli satelliti. Certo la strada è ancora lunga e in salita, ma come avete visto in D-Orbit abbiamo buoni muscoli e buone gambe”.

  • qui di seguito un video che spiega il problema dello ‘space debris’

Report della missione D-SAT

D-SAT ha completato la sua missione, dimostrando che D-Orbit Decommissioning Device (D3) è una tecnologia flight-proven pronta per essere integrata nella prossima generazione di satelliti. La missione è durata più di tre mesi, durante i quali il satellite ha dimostrato un’elevata affidabilità e una prestazione orbitale impeccabile. Tutti i sottosistemi, i sensori e gli attuatori a bordo del satellite hanno funzionato alla perfezione per tutta la durata della missione, e tutti e tre gli esperimenti, DeCAS, Atmosphere Analyzer e SatAlert, hanno prodotto importanti risultati scientifici.

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D-Orbit ha raggiunto la maggior parte degli obiettivi di missione: un’architettura di sistema ridondante, software critico, la costruzione del satellite stesso, una prestazione orbitale priva di difetti, e la dimostrazione di D3 nello spazio. L’obiettivo di un rientro diretto e controllato, tuttavia, non è stato raggiunto. Durante la fase finale della missione, D-SAT ha eseguito con successo un test orbitale di D3. Il satellite si è spostato in un’orbita ellittica con un’inclinazione differente, compatibile con le norme internazionali sulla mitigazione dei detriti orbitali. Tutti gli obiettivi riguardanti l’accensione e il funzionamento del motore sono stati raggiunti, e il cambio di parametri orbitali ha confermato che il motore ha prodotto la potenza che ci si aspettava. La squadra di D-Orbit è riuscita a riacquisire il segnale del satellite dopo la manovra e a raccogliere ulteriori dati da analizzare.

La causa del mancato rientro

Un’analisi preliminare suggerisce che la causa del mancato rientro è legata a un problema d’interfacciamento tra il D3 e il satellite. L’allineamento del motore con il centro di gravità del satellite è risultato fuori tolleranza. Sebbene fossero state introdotte delle strategie per mitigare questo scenario, ci era la consapevolezza di avere un margine ridotto considerando che il D3 installato a bordo era progettato per un satellite di un ordine di grandezza più grande di D-SAT.

“Come in ogni missione spaziale abbiamo dovuto accettare un compromesso che includeva un rischio calcolato, dato che il limitato volume del satellite non ci permetteva di installare un sistema di controllo del vettore di spinta per il motore. Lo stesso D3 installato in un satellite più grande offrirebbe un margine di tolleranza maggiore. L’adozione di un sistema di controllo del vettore di spinta rimuoverebbe completamente il problema di tolleranza”, spiega Rossettini, che aggiunge: “D-SAT ha stabilito diversi primati nell’industria, con la sua architettura completamente ridondante, un dispositivo pirotecnico conforme allo standard MIL-STD-1576, e un motore a propellente solido con un impulso totale di 800 Ns. I nostri operatori sono riusciti a mantenere il contatto con il satellite durante la fase di stabilizzazione pre-manovra, durante la quale il satellite ha ruotato sul suo asse a 780 giri per minuto. Infine, il satellite è sopravvissuto a una manovra orbitale caratterizzata da una notevole spinta per un satellite così piccolo, dissipando quindi i dubbi sull’eventuale impatto del nostro motore sui satelliti. Siamo orgogliosi del lavoro della nostra squadra, che al momento sta collezionando ulteriori dati. Stiamo preparando i prossimi passi, lavorando con passione per dare il nostro contributo alla storia dello spazio”.

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