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Startup nel Mezzogiorno, tante risorse ma l’ecosistema deve strutturarsi

Tanti sono gli incentivi e ancora pochi gli investimenti, per fare crescere l’ecosistema startup nel Mezzogiorno serve un maggiore ruolo dei privati e la creazione di strutture con le giuste competenze

Pubblicato il 29 Ago 2021

Il Mezzogiorno sta sempre più diventando terreno fertile per le startup e nel primo semestre 2021 c’è stata un’accelerazione ma serve un cambio di passo nel modo in cui l’ecosistema è organizzato e un maggiore coinvolgimento di entità private sia finanziarie sia industriali che conoscono le dinamiche legate alla creazione e al sostegno di startup.

Secondo il report del Mise relativo al secondo trimestre dell’anno si manifestano trend già presenti anche nel primo trimestre: è la Campania la regione del Sud del Paese con i dati migliori e sale sul podio al terzo posto come presenza numerica di startup innovative: se ne contano circa 1205 (8,9% del totale nazionale). Al secondo posto il Centro con il Lazio (1.586, 11,7%) e al primo il Nord con la Lombardia (3.627, pari al 26,7%).

Per quanto riguarda invece gli incubatori e acceleratori, a detta del Report 2020 della Social Innovation Monitor (Sim) coordinato dal Politecnico di Torino, la situazione appare meno felice: nel 2020 vi è un aumento del numero di incubatori italiani rispetto all’anno precedente – passati da 197 a 212 (in crescita dell’8%) – ma quasi tutti con sede al Nord o al Centro. Il 57% degli incubatori si trova in Italia settentrionale: in Lombardia il 26% del totale, seguita da Emilia-Romagna con il 13%, e Lazio con il 9%, dunque quasi l’80% delle startup incubate si trova in Italia settentrionale. In totale nelle regioni del Sud sono presenti 40 incubatori. La Regione con la più bassa densità di incubatori per chilometro quadrato è la Calabria (uno ogni 7611 chilometri quadrati) che è anche la regione con il numero minore di incubatori rispetto agli abitanti, mentre in Campania vi è un incubatore ogni 571mila abitanti.

In merito agli investimenti in Venture Capital, secondo il report di AIFI, nel 2020 il 60% del numero di operazioni ha riguardato aziende localizzate nel Nord del Paese (74% nel 2019), seguito dalle regioni del Sud e Isole con il 23% (10% l’anno precedente), mentre il Centro ha pesato per il 17% (16% nel 2019). In termini di ammontare, invece, il Nord ha attratto il 74% delle risorse complessivamente investite in Italia (78% nel 2019), seguito dalle regioni del Centro con il 21% (14% l’anno precedente), mentre la quota di risorse destinate al Sud Italia si è attestata al 5% (8% nel 2019). Anche in questo caso, a livello regionale, si conferma il primato della Lombardia, dove è stato realizzato il 37% del numero totale di operazioni portate a termine in Italia nel corso del 2020, seguita da Campania (9%) e Lazio (8%). In termini di ammontare, la Lombardia si è posizionata al primo posto, con il 44% delle risorse complessivamente investite, seguita da Emilia-Romagna (10%) e Toscana (poco meno del 10%).

È evidente che i diversi decreti del 2020/2021 – dettati anche dall’emergenza pandemica – tentino di rialzare le stime dell’innovazione al Sud attraverso una serie di incentivi, quali, in primis, il restyling operato con il decreto Rilancio e la Manovra 2021 che ha portato a 55 anni il limite di età per accedere all’incentivo Resto al Sud; poi il cosiddetto Bonus Sud, che riguarda la fruizione del credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, nei Comuni del sisma del Centro-Italia e nelle zone economiche speciali (ZES) da utilizzare a partire dal 31 marzo 2021; a seguire il First Round di Invitalia, il progetto per incubatori, acceleratori e hub; il Bando Mise che con Decreto direttoriale 23 giugno 2020 emesso per la realizzazione di programmi di investimento diretti a consentire la trasformazione tecnologica e digitale dell’impresa con dotazione finanziaria complessiva di 265 milioni di euro, infine la Nuova Sabatini che prevede il Credito d’Imposta Mezzogiorno, ovvero per quelle aziende con sede al Sud che acquistano beni strumentali nuovi recuperando dal 25% al 45% di Credito sull’acquisto.

Tra tutte le regioni meridionali la Campania è quella che dimostra di essere la più innovativa in un territorio dove i numeri parlano chiaro: non si investe ma si incentiva. Proprio la regione Campania fornirebbe la spiegazione a quest’ultimo fenomeno.

Antonio Prigiobbo, Ceo di Nastartup (di cui scrivemmo qui), ha messo in campo una realtà di imprenditori e talenti per sviluppare piattaforme differenti e leggere al Sud. Il suo è un acceleratore civico che mette insieme i network promuovendo tutti i soggetti come VC, incubatori, acceleratori, startup, startup studio, affinché cresca la cultura innovativa al Sud e aumentino le connessioni. L’iniziativa nasce nel 2014 dando un forte volano alla crescita territoriale.

“Al Sud hanno provato a mettere degli strumenti per le startup le pubbliche amministrazioni, in quanto il settore privato è completamente assente – dice Prigiobbo a Startupbuisiness – Quindi da una parte di positivo c’è che la PA se ne sia occupata, dall’altro è negativo perché la Pubblica amministrazione tutto sa fare tranne che l’imprenditore. In Italia c’è un grosso gap di cui si fa ancora molta confusione: si parla di incubatori, ma in pochi sanno che nascono prima delle startup. Mi spiego: in Italia gli incubatori nascono all’incirca negli anni ’70 come aree industriali, ovvero si cerca di capire i territori che vocazione finanziaria ed economica abbiano, trovando quindi delle arie che finanzino le filiere; qui nascono come strumenti gli incubatori che sono a servizio di queste aree industriali. Ovvero prevedevano servizi per quei comparti e quindi per esempio, c’era il settore aerospaziale? Faceva da incubatore per questo e quindi per far nascere imprese a supporto di quel settore. Ora, le imprese che nascevano da questi incubatori erano più di assistenza come networking sul territorio. Qual è il problema? Che molti di questi a oggi non si sono evoluti. E dunque si sono sentiti essere chiamati all’improvviso incubatori di imprese, non essendo incubatori di startup come intendiamo noi: pensare a come far nascere le imprese che vogliano innovare. Ecco che al Sud viviamo questo gap industriale, quindi gli incubatori sparsi nel territorio sono assistenziali perché legati meramente al comparto produttivo. E si sono visti – diciamo – rilanciati finanziariamente ma avendo una visione antica. Ecco perché se vedi la Regione Campania ha sette incubatori, ma nessuno di questi è certificato perché incubatori di aree di distretti. Ciò vale anche per altri in tutta Italia, però qual è la differenza? Mentre nel resto d’Italia gruppi imprenditoriali sono scesi in campo e hanno creato degli incubatori per fare business, al Sud si rimane con questo tipo di incubatori antichi”.

Il problema quindi appare essere quello che benché vi sia disponibilità di strumenti di finanziamento e supporto di carattere pubblico se manca l’iniziativa privata che conosce le dinamiche dell’ecosistema startup lo sviluppo ne risulta difficile: “Al Sud abbiamo pochi operatori privati e quasi assenti quei privati che fanno strumenti di crescita di impresa, come gli acceleratori – aggiunge il fondatore di Nastartup – Perché non ci sono abbastanza acceleratori al Sud? Perché mancano soggetti privati per crearli. La carenza che ha il Sud, e la Campania in particolare, è che non hanno creato dei fondi per gli investitori, inoltre manca la fase degli investimenti intermedi, ovvero quella che va dai 50mila ai 200mila euro, o meglio, tra i 200mila e i 500mila euro. Ora, per quanto nel resto d’Italia ci sono dei club deal – e al Sud non ce ne sono tanti – serve anche il piccolo investitore, ovvero quello che mette, 10 mila, 20mila, 50mila, 100mila euro – ed è il privato. Questo, ha sì degli incentivi statali, però può investire anche da qualsiasi altra parte, ecco che qui manca la cultura dell’investitore. Soprattutto dei piani regionali di facilitazione di investimento. Se tu PA crei un moltiplicatore di finanziamento, ecco che quello è attratto a fare più investimenti dove sei tu PA. La ricchezza maggiore che abbiamo al Sud sono le variazioni di proposte, ovvero la varietà, la tipologia di incubatori, che spesso però non sono legate al mondo finanziario. Per esempio, gli unici bandi che fa uscire la Regione, sono bandi che facilitano strumenti che lei ha finanziato, quindi in questo caso le università. Ci sono tanti incentivi per il Sud. Quindi in Italia ci sono i soldi e al Sud ce ne sono di più, però manca la mentalità e professionalità per gestirli, perché le istituzioni non hanno creato gli strumenti adatti” (Photo by Tom Podmore on Unsplash ).

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