Analytics per startup: il founder è colui che sa di non sapere

Nei dati c’è molto da scoprire, ma gli analytics per startup bisogna saperli affrontare con un po’ di filosofia. Parola di Pierluigi Casolari, per la rubrica Da Ceo a Ceo

Pubblicato il 24 Ott 2019

Pierluigi Casolari

Socrate ci ha insegnato che la premessa di ogni conoscenza è il sapere di non sapere. Eric Ries, nel suo “Lean Startup” conferma questa tesi. Il founder è colui che sa di non sapere.

In verità il tema degli analytics per startup è molto più complesso. Come riportano Alistair Croll and Benjamin Yoskovitz nel bellissimo: “Lean Analytics”, il sottosegretario alla difesa americano Donald Rumsfeld aveva una visione più articolata di Socrate. Il rapporto tra il sapere e il non sapere è quadruplice:

  • C’è quello che sappiamo di sapere. Ovvero i fatti e le assumption che diamo per scontate.
  • C’è quello che sappiamo di non sapere. Ovvero sono le evidenze che vogliamo trovare relative alla nuova opportunità di business che stiamo creando
  • C’è quello che non sappiamo di sapere. Sono le sensazioni vaghe, che ci mettono dubbi o sospetti verso quello che sappiamo
  • C’è quello che non sappiamo di non sapere. Ovvero tutto quello che può accadere quando siamo aperti al nuovo e non abbiamo ancora deciso che direzione prendere

Ad ognuna delle quattro fasi corrispondono momenti di vita di una startup.

Assumption

“Quel che sappiamo di sapere” costituisce “il regno delle assumption” – i fatti che diamo per scontati e che rendono possibile la nostra ipotesi di business. Tutte le startup poggiano i piedi su fatti – apparentemente – incontestabili e misurabili. Gli utenti usano lo smartphone, le aziende investono in marketing. Le persone comprano online. Le aziende hanno bisogno di clienti. Ciascuna startup si basa su alcune specifiche assumption. Quando ho fondato CheckBonus nel 2012, un’assumption era che gli utenti usavano il cellulare per trovare occasioni per risparmiare su spesa e shopping

Le assumption forniscono un contesto di fatti sensato da cui partire. I fatti tuttavia possono rivelarsi diversi da come ci aspettavano. E le assumption di per se’ non validano l’idea di business. Rendono l’ipotesi di business sensata.

L’ipotesi di business

“Quel che sappiamo di non sapere” rappresenta invece quello che Eric Ries definisce il “leap of faith”, ovvero il salto di fede. L’ipotesi sfidante intorno a cui si vuole costruire un nuovo business.

Ogni startup “deve” crescere intorno ad un’ipotesi non ancora validata e dimostrarne appunto la validità. L’ipotesi alla base di Facebook era che le persone volessero intrattenere relazioni sociali all’interno di un social network. Le startup possono avere più ipotesi da dimostrare, ma di queste una è sempre più sfidante delle altre. Rimanendo in Italia, l’ipotesi più coraggiosa alla base di Satispay era che gli utenti avrebbero usato lo smartphone per pagare nei punti vendita.

KPI

Quel che sappiamo di non sapere è socraticamente il cuore della startup. Definire un set di KPI per verificare la validità dell’ipotesi è fondamentale. Alistair Croll and Benjamin Yoskovitz suggeriscono di tirare una riga sulla sabbia e fare delle ipotesi sui numeri che ci si aspetta di generare per capire se l’ipotesi è stata validata o meno.

Il potere dell’intuizione

“Quel che non sappiamo di sapere” rappresenta il momento intuitivo che è parte integrante della costruzione di una nuova impresa. Che siamo sulla strada giusta o sbagliata a volte lo sentiamo prima ancora vederlo nei numeri. La nostra “pancia” di imprenditori ci parla. E facciamo male a non ascoltarla. Croll e Yoskovitz ci tengono infatti a fare una distinzione importanza tra “data driven” e “data informed”. Ci sono situazioni in cui i numeri sono importanti, li dobbiamo conoscere ma non sono tutto.

Oltre, ai big, ci sono gli small data. Il founder deve sapere utilizzare anche il proprio istinto.

Il regno delle opportunità

“Quel che non sappiamo di non sapere” rappresenta invece il regno delle opportunità. Il possibile “Oceano Blu”. Immaginate di essere immersi negli analytics del vostro business. Siete nettamente indietro rispetto agli obiettivi e cosi state cercando nei dati qualche risposta. Ma non sapete cosa state cercando. Non conoscete nemmeno la domanda. Figuriamoci la risposta. Poi ad un certo punto emerge un’evidenza: gli utenti di un certo segmento hanno una frequenza di visita altissima, oppure i clienti di una certa nazionalità spendono tre volte in più degli altri. Una sezione del sito e’ la più utilizzata di tutte le altre messe insieme. “Quel che non sappiamo di non sapere” è fondamentale per la nascita delle idee e/o per le fasi di pivot. Ho avuto questa sensazione decine di volte. E recentemente mi è servita per sviluppare un importante pivot per la startup che guido: YoAgents. Due anni fa, avevamo molti clienti ma i risultati erano drammaticamente scarsi. Con l’eccezione di 2/3 clienti. Esplorando le metriche, i dati e il database ha un certo punto è emerso qualcosa. Non lo stavano cercando. Eravamo in modalità esplorativa. I clienti di successo avevano una caratteristica comune: erano legati al welfare aziendale. Nel corso delle settimane successive accumulammo tutti i dati possibili sull’argomento e portammo al board la proposta di rivedere il focus del progetto, cambiando mercato. La proposta fu accolta positivamente e i risultati di li a poco migliorarono drasticamente.

Pierluigi Casolari – Startupper, Imprenditore seriale, CEO di YoAgents

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