Bain&Company e le startup: report e investimenti di R204

I giovani sanno cosa significa fare startup, manca ancora la visione strutturale, dice Bain&Company. Report (scaricabile) e investimenti del fondo R204 Partners

Pubblicato il 29 Ott 2016

“Non possiamo continuare a contare migliaia di startup che si iscrivono al registro, perché così non creiamo valore, ma rischiamo di dare luogo a una bolla e di fare passare il concetto di impresa innovativa come un ripiego e non come un’iniziativa mossa dal desiderio di creare qualcosa capace di crescere, di dare forma alle idee, di avere impatto positivo”, Roberto Prioreschi, director di Bain & Company Italy  non nasconde il suo scetticismo verso il modello che si è scelto di utilizzare in Italia nel tentativo, fino a ora vano, di sostenere le startup innovative.

Prioreschi spiega a Startupbusiness che come mostrano i risultati della ricerca ‘Agenda Bain per i giovani 2016. Startup in Italia, la via dell’innovazione’ (presentata proprio nei giorni scorsi), l’approccio al concetto di imprenditorialità non è puramente economico, la voce principale è infatti la ricerca di soddisfazioni personali.  E la disponibilità ad assumersi maggiori responsabilità è ben presente in chi fa questa scelta, così come sono molti i giovani disposti a rinunciare al posto fisso per avere una carriera con maggiori soddisfazioni.

Scarica report-agenda-bain-per-i-giovani-2016

Le startup non possono diventare un ammortizzatore sociale e oggetto di investimenti a pioggia come avviene oggi da parte delle istituzioni, perché così non si genera il valore né economico, né industriale, né sociale. La ricerca di Bain & Company ha intervistato oltre mille giovani di cui più della metà con meno di 24 anni e oltre il 70% studenti, la gran parte dei quali in ingegneria ed economia, e ha inserito nel campione anche una percentuale di giovani italiani che vivono all’estero. È emerso che il concetto di imprenditorialità è soprattutto associato con lo sviluppare un’ idea e trasformarla in opportunità di business e che i principali fattori chiave per il successo sono l’impegno e il sacrificio e il coraggio di osare. Emerge così che i giovani hanno ben chiaro che cosa significhi fare l’imprenditore e che per diventarlo bisogna volerlo, non basta il refrain ‘siccome il lavoro non c’è bisogna inventarlo’.

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“Ciò che purtroppo accade – aggiunge Prioreschi – è che l’ecosistema italiano delle aziende innovative non riesce a esprimere il suo potenziale e questo è anche dovuto alla mancanza di una visione strutturale oltre che alla mancanza di fondi. Anche ammettendo che il decreto sulle startup funzionasse, sarebbe comunque poco efficace perché non vi è nulla oltre a quello, non vi sono ulteriori stimoli per favorire investimenti e quindi non si cresce”. Così anche nella ricerca il principale fattore avverso che trattengono dall’intraprendere appare essere proprio quello della mancanza di fondi. “Dobbiamo costruire un ecosistema che sia allineato con quello degli altri Paesi dell’Unione europea – aggiunge il manager – , serve un progetto ampio che sostenga la crescita globale delle nuove aziende made in Italy, in ciò la finanza gioca un ruolo importante ma non è l’unico come dimostrano Berlino, che non è certo nota per essere piazza finanziaria ma è in cima alle classifiche come migliore posto in Europa dove fare startup, e perfino Tel Aviv , che ha indubbiamente una situazione geopolitica meno stabile della nostra, ma ottiene risultati assai migliori di Milano o di Roma”. Sempre la ricerca fa un confronto tra Italia ed Europa da cui emerge che da noi ci sono startup con ottime idee in percentuale maggiore rispetto alla media continentale, ma che su tutte le altre voci: obiettivi di crescita internazionale, età media, percentuale di fondatori stranieri, percentuale di dipendenti stranieri, siamo in ritardo. L’Italia riguadagna qualche punto rispetto alla media europea quando si tratta di contare le startup che vanno avanti con autofinanziamento, il che non è necessariamente da considerare come elemento positivo. Tra gli altri elementi che la ricerca mette in luce vi sono alcuni esempi di deal interessanti che hanno visto protagoniste startup italiane a conferma dell’alto livello degli imprenditori che partono dal nostro Paese, ma c’è anche il fatto che in percentuale sul Pil l’Italia ha investito nel 2015 otto volte meno che la media europea a sostegno delle imprese che fanno innovazione. Bain & Company rileva che per il 2017 vi è una certa fiducia, grazie ai deal del 2016, ma che restano vere le principali problematiche come le difficoltà di exit e il sistema burocratico fiscale. In un grafico la ricerca evidenzia come nel Regno Uniti vi siano state nel 2015 532 acquisizioni di startup, 166 in Germania, 129 in Francia, 76 in Olanda, 62 in Spagna, 57 in Svezia, 49 in Irlanda e 41 in Italia e come la raccolta di capitale, sempre nel 2015 sommando le Ipo e i Venture capital, passi dagli 11,1 miliardi di euro del Regno Unito ai circa 400 milioni dell’Italia (Germania 6,6 miliardi, Francia 3,1 miliardi, Spagna 1,8 miliardi).

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Bain & Company ha una carta in più da mettere sul tavolo insieme alla sua ricerca e al suo business che è quello di aiutare le imprese a crescere. È la carta che rientra nella filosofia del ‘put your money where your mouth is’, quindi del dimostrare con azioni concrete ciò che si sostiene, e lo fa con il suo fondo di investimento che si chiama R204 Partners, nato circa un anno fa, il 19 ottobre del 2015, con una dotazione di 5,5 milioni di euro che fino a oggi ha fatto cinque investimenti di taglio medio pari a circa 250mila euro. “Abbiamo fino a oggi investito circa il 25% del totale del fondo – spiega Prioreschi – e lo abbiamo fatto in aziende che sono per noi interessanti sia come imprese innovative in quanto tali sia come organizzazioni capaci di sviluppare servizi e tecnologie interessanti per noi e per i nostri clienti. Ciò perché quando effettuiamo una operazione non ci limitiamo a fare il socio finanziario, ma portiamo supporto industriale, di mercato, di conoscenza alla startup”. Fino a oggi R204 Partners ha investito in Qurami, EaDrone, SweetGuest, EasyFeel e nella nuova startup di Carlo Gualandri, tra i protagonisti dello sviluppo di internet in Italia con Matrix e Virgilio e fondatore di startup di successo nell’ambito dell’online gaming, che si chiama Soldo e che è prossima al debutto ufficiale con il suo servizio che consente ad aziende e famiglie di tracciare in modo efficace, puntuale e costante le spese di ogni componente del gruppo. “Se altri facessero come noi attivando un fondo specifico – conclude Prioreschi – riusciremmo ad accrescere la portata degli investimenti e anche quella del sostegno alla relazione tra imprese e startup, in verità qualcuno lo sta facendo, noi per esempio collaboriamo con Enel in tal senso, in particolare con le attività che fanno capo ad Ernesto Ciorra. Oggi serve un maggiore slancio in questo senso”.

Emil Abirascid

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