Banche, la sfida più grande è la blockchain

Pubblicato il 11 Giu 2016

Le sfide al sistema bancario

Ci sono tre sfide che il sistema bancario e finanziario globale deve affrontare: la sfida tecnologica, la sfida normativa e la sfida dei tassi di interesse.

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La sfida normativa è quella che obbliga gli istituti bancari a strutturarsi con sempre maggiore liquidità al fine di tutelare i correntisti e quindi si traduce in una marginalità operativa sempre più stringente quando si tratta di erogare prestiti.

La sfida dei tassi è quella che in un regime di tassi bassissimi, se non addirittura negativi come quello attuale non solo diventa difficile creare valore finanziario ma, siccome in tale scenario la liquidità diventa un asset per i risparmiatori, anche le modalità di gestione del risparmio tradizionali risultano non più adeguate.

La sfida tecnologica è quella che vede l’intero settore essere al centro di un momento di profondo cambiamento con la crescita delle startup fintech che portano nuova linfa a un mercato dove gli operatori più tradizionali sono in affanno perché non riescono a interpretare il cambiamento, perché hanno strutture ancora troppo pesanti e costose, perché vivono il conflitto tra chi all’interno non vuole cambiare e l’esterno che invece corre veloce.

Tre sfide che per il sistema bancario europeo e italiano saranno determinanti, significheranno la vita o la morte per molti anche se, si sa, siamo ancora nel mezzo del perverso ciclo che dice che le banche non possono fallire perché se fallissero verrebbe a mancare la fiducia da parte di cittadini e imprese e la mancanza di fiducia potrebbe estendersi anche alle banche sane facendo così crollare inevitabilmente il sistema. Per questo è fondamentale che si identifichino modalità di valutazione delle banche molto chiare e comprensibili a tutti, e che allo stesso tempo si consenta a quegli istituti di credito non più sostenibili di fallire.

Sistemi e parametri per giudicare le banche

Si possono usare diversi sistemi e parametri, uno che è considerato tra i più affidabili è il Common equity tier 1 (Cet1) che definisce il tasso di solidità di una banca mettendo in rapporto il capitale a disposizione della banca stessa con le sue attività ponderate per il rischio. Tale parametro è calcolato quindi in percentuale e una banca per essere considerata solida deve attestarsi sopra il 10% (lo scorso gennaio il Corriere della Sera ha stilato la classifica delle banche italiane in base a Cet1) .

Insomma un parametro che può aiutare a capire meglio il momento critico che vede le banche italiane registrare crediti deteriorati e sofferenze per circa 360miliardi di euro ma che allo stesso tempo vede alcuni istituti mantenere una considerevole solidità, crescita e presenza internazionale, e altri essere sull’orlo del baratro e la cui esistenza, benché in agonia, è possibile solo grazie al fondo Atlante che già è intervenuto in più casi e che richiederebbe di essere esteso per cercare di rimediare a una situazione che si è creata sia per i cambiamenti del mercato ma anche per la poca lungimiranza di banchieri e l’inettitudine dei governi.

Se poi in questo scenario si inserisce anche l’incapacità delle politiche monetarie delle banche centrali di agire sull’andamento di tassi e inflazione che non reagiscono più come un tempo, in particolare l’inflazione che non cresce perché non crescono i consumi i quali a loro volta stentano per una serie di motivi tra cui spiccano i flussi migratori di persone e merci, l’invecchiamento dell’età media della popolazione e l’automazione sempre più spinta che sta modificando lo scenario del lavoro.

Come se tutto questo già non bastasse a rendere ulteriormente complesso lo scenario, profondo il cambiamento e stimolante la sfida,  ci sono, come detto, le tecnologie. Già cambiamenti di sostanza si sono visti con l’avvento di servizi come l’home banking e il mobile banking che hanno di fatto tolto gli utenti dall’esigenza di recarsi in banca fisicamente e permesso alle banche stesse di ridurre i costi di personale e di filiali fisiche, almeno in teoria, perché in Italia ci sono ancora circa 49 sportelli bancari ogni 100mila abitanti contro la media europea di 36.

L’evoluzione tecnologica e il suo impatto sul sistema bancario e finanziario non è però che all’inizio. Oggi le startup fintech sono concentrate soprattutto sulla gestione del risparmio e sui prestiti che sono due delle voci fondanti del business bancario ma anche sulla gestione dei pagamenti che intacca non solo le banche ma anche il business di altri attori come per esempio i circuiti di carte di credito.

Ma la vera rivoluzione è la blockchain.

Con i bitcoin la blockchain ha dimostrato che è possibile gestire un circuito valutario digitale e globale senza che vi sia la necessità di una banca centrale e questo modello è di per sé capace di scardinare le basi sulle quali poggiano i sistemi bancari, finanziari, monetari attuali.

deloitte
Grafico Deloitte


Sono proprio le banche, almeno quelle con maggiore lungimiranza, ad avere avviato un programma di sperimentazione basato su blockchain almeno secondo quanto afferma una recentissima ricerca pubblicata da Deloitte. L’indagine, intitolata ‘Out of the blocks: from hype to prototype” ha interrogato oltre tremila operatori in tutto il mondo per rilevare come la blockchain impatta sul settore bancario. Il 58% degli intervistati, quindi poco più della metà è certa che la blockchain rivoluzionerà l’intero settore nel profondo, il 37% considera la blockchain quale volano per nuove opportunità e modelli di business, il 13% la considera una seria minaccia.

Benché vi sia consapevolezza che la tecnologia blockchain diventerà predominante entro il 2020, secondo l’85% degli operatori che hanno risposto alle domande dell’indagine di Deloitte, attualmente solo il 29% delle banche ha avviato iniziative concrete di ricerca e sviluppo in questa direzione, mentre il 71% sta ancora studiando la piattaforma.

Da un punto di vista applicativo, afferma sempre l’indagine, prevale la convinzione che blockchain sarà utilizzata per la gestione dei pagamenti e del trasferimento di denaro (60%), seguito dal clearing e settlement di titoli (23%) e dall’antiriciclaggio (20%).

A frenare l’entusiasmo verso la blockchain sono soprattutto la mancanza di normative, per il 49%, e quella di sicurezza (15%). Gli intervistati affermano di riconoscere il valore potenziale della blockchain che per sua natura si basa su principi open-source e permission-less: “la Blockchain permette di trasformare qualsiasi transazione in un record, ovvero di registrarla all’interno di una serie di blocchi digitali. Sulla base del protocollo proof-of-work, questi blocchi vengono processati e certificati quasi in tempo reale dai nodi della rete, anziché dopo giorni e da un intermediario”, così è descritta dalla nota diffusa da Deloitte per illustrare i risultati dell’indagine. La maggior parte degli intervistati (53%) preferirebbe però usare una piattaforma di tipo proprietario permission-needed. In questo modo però si perderebbe la filosofia di base della blockchain, si manterrebbe probabilmente l’aspetto più tecnologico ma si uscirebbe dalla logica del sistema decentralizzato e non gerarchico che rappresenta invece la vera innovazione concettuale.

A settembre dello scorso anno è nato un consorzio denominato R3Cev che – come riporta anche la nota di Deloitte – raccoglie oltre 40 istituti bancari di tutto il mondo che intendono collaborare allo sviluppo di piattaforme blockchain, figurano tutti i grandi nomi comprese le italiane Unicredit che è membro da ottobre 2015, e Intesa Sanpaolo che ha aderito dicembre 2015.

Emil Abirascid

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