Behaviour design e phubbing, il lato oscuro di internet e social media

Pubblicato il 10 Mar 2019

Un paio di weekend fa, mentre ero con un amico argentino in un bar, si siede a fianco a noi un gruppo di persone. Tra di loro c’è un ragazzo di Santiago del Cile, che poco dopo scoprirò essere uno psicoterapeuta specializzato in dipendenza e depressione causate da internet. La chiacchierata che ho avuto con lui quella sera ha ispirato il seguente articolo che, discostandosi leggermente dall’ambito startup, verte a ogni modo su un tema molto importante, ossia gli effetti dell’utilizzo degli strumenti che l’innovazione tecnologica ci mette a disposizione.

Rinrgazio Cristóbal Hernández, psicoterapeuta, PhD candidate in Internet Addiction presso Pontifical Catholic University of Chile e University of Heidelberg, per il contributo e i materiali forniti per la stesura di questo articolo.

Quando nel 2015 ho iniziato il mio primo programma di accelerazione con la mia startup Noc, uno dei primi workshop che ho seguito era sullo sviluppo del MVP (Minimum Viable Product), considerato uno dei fondamenti basilari del metodo Lean Startup e della cultura startup. All’interno del workshop si parlava delle tecniche di Behaviour Design utilizzate nello sviluppo di applicazioni per smartphone.

Il Behaviour Design è un ramo del design che studia come il modo in cui i prodotti (le app per esempio) sono disegnati condizioni e possa essere usato per influenzare il comportamento umano e l’esperienza dell’utente con il prodotto stesso. Tecniche di Behaviour Design come la Gamification e il modello comportamentale di BJ Fogg sono usate in gran parte delle app e dei social network che impieghiamo ogni giorno per incentivare, ricondurre e mantenere coinvolti gli utenti nell’utilizzo di determinati servizi.

A inizio febbraio, WeAreSocial ha pubblicato il Global Digital Report 2019 , report che mostra come le persone nel mondo utilizzano internet, i dispositivi mobili, e i social media. Dal report si evincono diversi dati interessanti. In Italia, per esempio, le persone trascorrono una media di 6 ore e 4 minuti al giorno su internet (la media mondiale è di 6 ore e 42 minuti). Di queste 6 ore e 4 minuti, 2 ore e 27 minuti vengono spese da smartphone (la media mondiale è di 3 ore e 14 minuti). Inoltre, ogni giorno, sempre in Italia, passiamo una media di 1 ora e 51 minuti sui social media.

Letti questi dati, mi sono divertito a fare il seguente calcolo: 111 minuti (60+51) al giorno equivalgono a 40.515 minuti o 675,25 ore all’anno passate sui social media. Considerando in maniera approssimativa che ogni giorno usiamo 8 ore per dormire e 2-3 ore per attività di routine quali mangiare e lavarci, restano circa 13 ore ogni giorno. Dividendo 675,25 per 13 il risultato è 51,94. Questo calcolo, nella sua imprecisione, suggerisce che gli utilizzatori di internet in Italia trascorrono in media quasi 52 giorni l’anno a mangiare, lavarsi, dormire e stare sui social media. Se utilizziamo lo stesso calcolo per i minuti passati su internet, il risultato è di circa di 170 giorni l’anno passati online.

Se da un lato parte di questo tempo si può definire necessario, in quanto svolgiamo online attività quotidiane legate al nostro lavoro e ai rapporti che manteniamo con le persone intorno a noi, dall’altro non bisogna sottostimare i problemi legati all’eccessivo uso di internet: è infatti opportuno ragionare sulle motivazioni che ci spingono a connetterci alla rete, e sui reali rischi e benefici che possiamo trarre dal tempo passato davanti agli schermi.

Mentre è ancora difficile stimare gli effetti a lungo termine dell’eccessivo uso di internet e dei dispositivi mobili, la ricerca negli ultimi anni ha largamente comprovato quelli a breve termine. La dipendenza da internet è infatti un disordine che, spesso collegato a una cattiva qualità delle relazioni sociali, può portare a stati di ansia e depressione.

Definirsi dipendenti da internet può sembrare forte, ma occorre tenere a mente che (come sottolineato anche dal gruppo Science in the News dell’Università di Harvard in questo articolo ) molte applicazioni per smartphone fanno leva sugli stessi circuiti neurali utilizzati dalle slot machine e dalla cocaina per mantenere gli utenti coinvolti il più possibile.

Lo stesso Chamath Palihapitiya, ex Vice President of User Growth a Facebook ammise già nel 2017, durante un intervento all’Università di Stanford, di sentirsi terribilmente in colpa per come il sistema di feedback a breve termine alimentato dalla dopamina, creato e implementato dal social network che tutti conosciamo, stia distruggendo il modo in cui la società funziona. In un recente studio condotto da YouGov nel Regno Unito, si è riscontrato che il 53% degli utilizzatori di smartphone tende a mostrare stati ansiosi in caso di impossibilità di utilizzare il telefono dovuta a mancanza di batteria o copertura di rete. A questa paura incontrollata è stato dato il nome di nomofobia.

Gli smartphone, con i sistemi di notifiche push utilizzati per informarci dell’arrivo di un messaggio, di un commento su un social network o di una notizia, attivano gli stessi circuiti neurali che ci suggeriscono la presenza di un pericolo. Se pensiamo che riceviamo in media tra 32 e 85 notifiche ogni giorno, è facile concludere che questi strumenti ci mantengono in uno stato di continua allerta e attenzione.

A questo proposito, i ricercatori James Roberts e Meredith David hanno studiato gli effetti sulle relazioni sentimentali del Phubbing (da phone, telefono, e snubbing, ignorare) ovvero il fenomeno per cui un individuo utilizza o è distratto dal proprio telefono mentre si trova in compagnia del proprio partner. I due ricercatori hanno concluso che interazioni e distrazioni causate da comportamenti riconducibili al Phubbing aumentano il numero di conflitti nelle coppie, diminuendo il livello di soddisfazione della relazione e impattando in maniera indiretta su depressione e livello di soddisfazione della propria vita.

È curioso dedurre come sia stato provato che gli smartphone, inizialmente strumenti introdotti per migliorare la comunicazione tra gli individui, possano diminuire anziché aumentare il livello di soddisfazione delle relazioni sentimentali.

Questi sono solo alcuni degli esempi in cui l’eccessivo uso di internet, dei social network e degli smartphone sia stato dimostrato negativo per la salute delle persone. Se da un lato è importante sottolineare come queste innovazioni, ormai parte integrante delle nostre vite, abbiano ridotto le distanze e ci consentano di svolgere compiti in maniera rapida ed efficiente, dall’altro è opportuno soffermarsi sulle motivazioni che ci spingono a utilizzare questi strumenti in continuazione e sui relativi effetti. I dati parlano chiaro, il tempo che passiamo online e sui social media rappresenta una fetta considerevole della nostra vita, e passare tanto tempo coinvolti in un’attività implica escluderne altre.

Intervistato per questo articolo, lo psicoterapeuta specializzato in dipendenza da internet Cristóbal Hernández afferma che la tecnologia va impiegata, quando possibile, per coordinare le nostre relazioni con le persone, anziché sostituirle. Considerando che gli effetti negativi di un’eccessiva presenza online sono stati dimostrati, può essere utile porsi dei limiti e delle regole sull’utilizzo del telefono e l’accesso ai social media quando non necessario. Quando si è in compagnia di qualcuno, per esempio, è opportuno tenere il telefono lontano dalla propria portata, per non essere distratti dall’idea di dover controllare una possibile notifica.

Un utilizzo consapevole di internet e dei social network è senza dubbio un primo passo verso una società più sana, ma per temi così importanti non ci si può affidare solo e esclusivamente alla buona volontà degli utenti. L’innovazione tecnologia procede, e con molta probabilità negli anni saranno sviluppati strumenti sempre più rapidi, coinvolgenti e in grado di annullare le distanze per comunicare, coordinarci e passare il nostro tempo libero.

L’auspicio è che dati come quelli legati alla dipendenza e depressione causate da internet vengano utilizzati dalle istituzioni di competenza per mettere in atto regolamentazioni a tutela degli utenti, volte a limitare l’utilizzo di tecniche di Behaviour Design per incentivare un uso eccessivo di internet e degli strumenti digitali online che l’innovazione tecnologica ci mette (e metterà) a disposizione.

Matteo Consonni

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