Cosa imparare sul copycat da Lemonade

Pubblicato il 10 Gen 2018

Copycat, ovvero copiare, imitare, una pratica piuttosto diffusa nel mondo startup: dimostrato un modello di business (o un approccio al mercato) da un primo pioniere, altri lo replicheranno, magari in nuovi contesti geografici, magari superando quei problemi che scontano i first mover di ogni settore. In effetti, la maggior parte delle startup digitali sono copycat, Rocket Internet ha costruito il suo impero sul copycat, la Cina è un Paese noto anche per la sua capacità di ‘produrre’ imitazioni di ogni genere di cosa, comprese le società tecnologiche, c’è anche chi è diventato un ideologo della strategia del copycat come Oded Shenkar che ha scritto ‘Copycats: How Smart Companies Use Imitation to Gain a Strategic Edge’, in cui si sostiene la dignità dell’imitare come qualcosa di utile alla diffusione dell’innovazione e alla generazione di grandi business. ‘L’imitazione ha sempre avuto una grande importanza e forza nella storia della civilizzazione dell’uomo’ disse in questa intervista di HBR, in cui porta gloriosi esempi di copycat citando Apple, Walmart, Ryanair. Secondo Shenkar i pionieri che creano un nuovo mercato solitamente riescono a conquistare il 7% circa dello stesso, mentre le copycat company si prendono il resto.

Eppure, la percezione del copycat non è sempre positiva: in esso sembra mancare quella tensione creativa, l’intuizione, il coraggio che contraddistingue i first mover. E’ un approccio in un certo senso parassitario al business.  Visto dal punto di vista della startup che viene copiata, è un’usurpazione, decisamente irritante e, naturalmente, pericolosa. E dovrebbe essere tenuta in considerazione, gestita, soprattutto quando si comincia a guadagnare un certo successo. Anche perché il copycat non è sempre utilizzato da altre nascenti imprese, il più delle volte inoffensive o che in ogni caso giocano ad armi pari: a volte sono grandi aziende che, forti di una certa disponibilità finanziaria, di un brand riconosciuto e di un posizionamento, del supporto di grandi studi legali,  si lanciano nella pratica, forse convinte che si tratti di open innovation.

Come difendersi dal copycat?

Ci sono le startup che possono contare su brevetti e IP difendibili per vie legali, ma in ambito digitale e software non è sempre possibile seguire questa strada o riuscire a brevettare proprio tutto. Soprattutto è indifendibile un modello di business, una value proposition, una strategia di posizionamento, se non andando sul mercato velocemente, costruendo un forte brand e un forte team, capace di un’execution impeccabile, che utilizzi strategie anche non convenzionali (ma sempre oneste e trasparenti) per smascherare eventuali copioni.

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Un esempio in tal senso è quello offerto dalla startup newyorkese Lemonade, uno delle iniziative imprenditoriali in ambito insurtech più innovative e affascinanti degli ultimi anni, guidata da un team con capacità fuori dal comune, che ha fatto dell’antagonismo dichiarato rispetto alle Compagnie tradizionali una delle sue cifre.

Recentemente Rick Huckstep, presidente di The Digital Insurer e influencer in ambito insurtech, in un suo post dedicato alle previsioni per il 2018 dice che Lemonade è il punto di riferimento dell’ InsurTech 2.0 e quindi dilagherà il suo copycat. Alcuni ‘cloni’ saranno startup, anche se avranno bisogno di essere ben organizzate, esperte e finanziate come il team di Lemonade per avere qualche possibilità di successo; altri saranno gli incumbent, che proveranno (probabilmente senza successo) a creare un modello Lemonade dall’interno. (leggi qui il post di Huckstep)

Chi ha copiato Lemonade?

Lo scorso settembre Daniel Schreiber, uno dei fondatori, ha scritto un geniale post intitolato ‘Who’s The #1 Lemonade Copycat?” sul blog della società, ridicolizzando con esempi specifici i tentativi d’imitazione di tre grandi Compagnie: Geico, Liberty Mutual e State Farm. 

Tutte e tre queste Compagnie hanno promosso attività indirizzate a conquistare il cuore dei millennial, un target di clientela per loro difficile da ingaggiare e che rappresenta invece per Lemonade  il principale segmento di riferimento. Ciò che hanno fatto è stato cercare di copiare lo ‘stile’ Lemonade, facendo leva sul suo stesso nome, provando a ridicolizzarli, a mettersi in competizione, con effetti anche controproducenti.

Geico, per esempio, ha sfruttato in modo ambiguo e discutibile il termine ‘lemonade’ per le proprie promozioni commerciali, in concomitanza con il lancio a New York del servizio assicurativo di Lemonade: l’uso del termine ‘limonata’, che non c’entra nulla con il mondo assicurativo, ha senso solo se si collegano le due cose, cioè Geico ha provato a sfruttare l’hype sul termine ‘lemonade’ a proprio vantaggio. Ma non si è accontentata: poco tempo dopo ha introdotto sulla propria piattaforma una chatbot piuttosto simile (palesemente copiata?) a quella di Lemonade.

Il risultato? Che gli utenti millennial hanno richiesto una quotazione su entrambe le piattaforme scoprendo che su Lemonade potevano risparmiare fino al 75% rispetto a Geico e con un servizio più veloce e più efficace.

State Farm, invece, ispirata dal fatto che Lemonade sia la prima B-corp in ambito assicurativo al mondo,  ha pensato fosse giunto il momento di far conoscere il proprio lato filantropico ai propri clienti; e ha realizzato  promozioni ad hoc anti-lemonade piuttosto aggressive, come mandare cartoline a casa delle persone dicendo sostanzialmente  ‘ehi, non fidatevi di quelli della limonata’.

Infine, Liberty Mutual, che Schreiber definisce il miglior copycat di tutti, ha lanciato un nuovo brand, Lulo, completamente copiato da Lemonade: nell’ispirazione a un frutto per il nome, nel logo, i testi parafrasati, il sito web, i prezzi, una cosa imbarazzante.

Dice Schreiber, sempre nel suo post  “l’idea che Lemonade possa far scatenare gli incumbent in questo gioco ci elettrizza.  Se svolgiamo anche un ruolo modesto nell’incoraggiare gli altri ad aumentare l’innovazione, ridurre i conflitti di interesse, accelerare i claim, aumentare la trasparenza o fare beneficenza, non potremmo essere più felici. I copycats non sono davvero una minaccia. Se “clonare” Lemonade è una strategia per competere con noi, ciò significa che noi possiamo giocare sui nostri punti di forza, mentre gli altri possono solo starci dietro. Questo funziona per noi.”

“Eppure – continua – constatare questi tentativi sfacciati di imitare Lemonade mi fa sentire in imbarazzo per loro. I nostri concorrenti sono aziende distinte, con una tradizione, bravi dipendenti e montagne di denaro. Se li dedicassero ad autentica innovazione, i consumatori li ricompenserebbero per questo. Copiare Lemonade è perfettamente legale, glielo concedo. Ma non è la mossa più intelligente.”

Cosa imparare dal caso Lemonade

  • monitorare costantemente la situazione: non necessariamente a copiarti saranno coloro che ti aspetti
  • affronta la situazione a viso aperto e pubblicamente: tutti i consumatori tra una copia e l’originale preferiscono sempre l’originale
  • usa correttamente e con eleganza la comunicazione, quella che passa dal tuo blog, dai tuoi social, in questi casi è sufficiente raccontare i fatti e magari una buona dose di ironia
  • non preoccuparti troppo: come dice Schreiber, chi ha capacità innovativa sarà sempre un passo avanti, chi non ne ha può solo correre dietro
  • per le grandi aziende, copiare da una startup non è una bella mossa e non è open innovation, piuttosto è bene trovare modo di collaborare o eventualmente di acquisire la startup (o entrare nel capitale)
  • chi proprio vuole copiare, almeno lo faccia bene: il caso Lulo di Liberty Mutual è davvero imbarazzante

donatella cambosu, @janazond

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