Danimarca, culla di scaleup

Pubblicato il 29 Gen 2020

Nicklas Pavoncelli

Il mondo tende ad avere una visione abbastanza uniforme dei paesi Nordici. Uno svedese non potrà essere troppo diverso da un danese o da un finlandese, e chi sono gli islandesi? È vero che tendono molto a somigliarsi, eppure gli scandinavi sono una cultura piuttosto articolata all’interno dell’Europa. Noi italiani siamo abituati a pensare alla storia da italocentrici. Tra greci, etruschi, romani, le repubbliche marinare, agli spagnoli, i francesi, gli asburgici, normalmente non ci siamo molto interessati di quanto è avvenuto al nord. Insomma, siamo stati molto impegnati nelle nostre regioni per occuparci dei nordici.

L’unicità di questi Paesi è appunto che sono una cultura autoctona. Per secoli le vicende politiche e le guerre erano delimitate nella Regione della Scandinavia e del Baltico, ma da un punto di vista europeo gli scandinavi sono stati principalmente partner commerciali, raramente dei rivali o partecipanti a guerre di larga scala.

Oggi vorrei presentare la Danimarca, uno dei Paesi scandinavi per eccellenza se non ufficiosamente il fondatore e culla da cui si sono originate le moderne popolazioni scandinave. I cosiddetti vichinghi che fondarono la Rus di Kiev, conquistarono la Sicilia araba, si stabilirono in Normandia (concessione del re francese perché la smettessero di saccheggiare le sue città), conquistarono il Regno Unito e scoprirono le Americhe per primi, erano perlopiù danesi.

La massima egemonia fu raggiunta quando il Regno Danese aveva il controllo dell’intera Scandinavia sotto forma dell’Unione di Kalmar (1397-1523), finita quando gli svedesi decisero di andare per la loro strada. La rivalità tra i due Paesi è storica e profonda e la Svezia raggiunse l’egemonia militare ed economica poco tempo dopo, portando a eventi quali l’assedio di Copenaghen nel 1659, fermata dagli olandesi.

La Danimarca non giocò ruoli di maggior spicco nel mondo moderno una volta passati i giorni dell’Unione di Kalmar, anche se non ne mancarono i tentativi. Lo dimostrano la fase danese nella Guerra dei Trent’anni, la Guerre Nordiche, la Battaglia di Copenaghen durante le guerre napoleoniche e le Guerre dello Schleswig contro l’Impero tedesco sono tutti momenti storici europei che hanno visto la Danimarca perdere ed essere relegata ai margini.

Concentrandosi, però, sull’espansione dei propri territori oltreoceano e lucrando sulla tratta delle spezie e degli schiavi, la Danimarca accumulò un vasto benessere economico visibile nella ricchezza degli edifici danesi degli ultimi 200-300 anni. La loro principale preoccupazione di politica estera era di agire da contrappeso agli svedesi, e mantenere il loro sparso impero. Arrivando ai giorni nostri, i Paesi scandinavi si trasformarono sempre più nella società che oggi conosciamo: tre monarchie costituzionali con gli standard di vita tra i più elevati nel mondo.

Ma l’orgoglioso Regno di Danimarca cosa sta facendo per innovare? Questo dinamico e piccolo Paese si è costruito il proprio benessere senza il petrolio norvegese o le risorse naturali svedesi. Ma tanto olio di gomito ed eccellendo incredibilmente in alcune nicchie di mercato, puntando enormemente sul commercio e i servizi.

Inoltre, in comune con gli scandinavi, i danesi hanno un forte senso di comunità e di fiducia nel prossimo. Il benessere della comunità è onnipresente in qualsiasi discorso politico. Durante il XX secolo i danesi hanno costruito la loro formula di welfare scandinavo, acquisendo negli anni novanta l’etichetta di “Flexicurity”, una formula di welfare più flessibile rispetto alle versioni svedesi e norvegesi.

Come quello dei suoi vicini, il Sistema Danese non è economico da mantenere e non a caso la Danimarca vanta una delle tassazioni più elevate al mondo (IVA unica al 25%, 36% scaglione minimo di contribuzione, 51% scaglione massimo). La riscossione fiscale è in mano a SKAT (ufficio delle imposte), ente altamente digitalizzato e nutrito di moltissime informazioni dalle banche e dai datori di lavoro. Ovviamente i cittadini beneficiano di Università gratuita, gli studenti danesi di uno stipendio mensile (e se necessario un prestito governativo agevolato), vi sono poi ingenti investimenti pubblici in infrastrutture e sussidi per la disoccupazione.

L’ecosistema danese – una settore vibrante e in crescita, ma senza ali

A beneficio del settore innovativo lo Stato ha giocato delle ottime carte mobilitando e distribuendo risorse da vari fondi pensione pubblici, fornendo capitale di rischio a nuove iniziative startup (seed capital) in fase concettuale di sviluppo. Secondo il benchmark 2017 di Vækstfonden (Fondo di Crescita, fondo di finanziamento pubblico per lo sviluppo e la crescita di imprese danesi), la Danimarca è la quinta in Europa per finanziamenti in startup in fase concettuale o iniziale.

Già nel 2016 la Danimarca è stata nominata come “scaleup forge in the Nordics” (Mind the Bridge, settembre 2016), in quanto ha generato 96 scaleup, 1,7 scaleup ogni 100mila danesi, con 1,3 miliardi di dollari di capitale raccolto collettivamente. Ciò significa che circa il 22% delle scaleup di successo nei Paesi nordici sono danesi (battuti solo dagli svedesi con 135 scaleup, equivalenti al 35% del totale nordico), mentre il 20% di tutto il capitale raccolto nella regione è in Danimarca. Ciò significa che lo 0,49% del PIL danese è investito in scaleup (in linea con la media nordica; in Italia, Portogallo, Spagna tale percentuale si ferma mediamente allo 0.06%).

Con 540 milioni di dollari di investimenti nel 2019 (Atomico, dicembre 2019), in Danimarca c’è la determinazione a superare i record precedenti e continuare a cavalcare l’onda del proprio successo e della crescita. Gli investimenti, internazionali in quota crescente (Dealroom, 2018), aumentano di anno in anno portando frutti visibili. Nel 2019, sempre secondo il report Atomico, 4 aziende sono valutate oltre 1 miliardo di dollari (TradeshiftUnity TechnologiesZendesk e Sitecore), dimostrando una crescente maturità e capacità di ritenzione dell’ecosistema danese di scaleup che puntano a diventare veri e propri colossi. Notizie recenti quali l’imminente arrivo a Copenaghen della Silicon Valley Bank confermano che i nordici stanno guadagnando una reputazione mondiale per le proprie abilità di creare business di successo.

C’è del marcio in Danimarca

Vi sono comunque problemi strutturali che stanno generando non pochi grattacapi agli investitori (soprattutto pubblici danesi). Infatti, lo stesso SEP Report (Mind the Bridge, settembre 2016) parla di fuga delle scaleup. Il 35% delle scaleup danesi ha spostato la sede centrale al di fuori della Danimarca, seppur mantenendo rilevanti operazioni nel Paese. Ma se prendessimo come esempio la danese (di origini) Unity Technologies, possiamo notare come nonostante abbiano mantenuto uffici a Copenaghen, la sede di San Francisco è oggi l’ufficio più grande e dove le decisioni sono prese.

Se si conta che 5 su 6 scaleup quotate, lo hanno fatto su mercati esteri, si comprende che la preoccupazione dei legislatori danesi sia di perdere altri campioni tech (con connesso mancato introito di tasse, talenti e consumi) a favore di altri hub mondiali.

Proprio parlando di talenti internazionali tocchiamo un altro tasto dolente (che ho vissuto sulla mia stessa pelle). Secondo il rapporto InterNations del 2019, la Danimarca è stata severamente punita dalla comunità expat. Il passaggio dal 35esimo al 48esimo posto (su un totale di 64) dimostra che il Paese ha problemi ad accogliere chi danese non è. Nonostante la popolazione parli fluentemente la lingua inglese, vi è una generale difficoltà dell’espatriato a costruirsi un giro di amici che includa la popolazione locale. È un investimento in pazienza e tempo che non tutti sono pronti a fare e porta a molta frustrazione. Difatti, nella classifica Ease of Settling in la Danimarca si colloca 63esima su 64: la Danimarca non eccelle in nessuna delle variabili misurate su cui la classifica finale si basa su (feeling at home, friendliness, finding friends, language).

I danesi, quelli veri

Queste comunità danno molta importanza al benessere collettivo. Uno strumento utile quale l’Hofstede Cultural Compass aiuta a comprendere i tratti della cultura danese. Infatti, l’Hofstede Cultural Compass sintetizza i tratti culturali dei paesi di tutto il mondo in sei dimensioni, valutando ciascuna con un punteggio tra 0-100.

I valori sono ben spiegati sul sito, io mi limito a condividere il significato dei valori danesi, ve ne sono soprattutto quattro che contrastano con i valori italiani:

  • Distanza del potere, i danesi non comandano ma guidano e il potere è decentralizzato; la comunicazione è informale e il rispetto è acquisito dimostrando la propria abilità;
  • Gender parity, i danesi valorizzano la qualità della vita al di sopra del successo individuale, l’equilibrio tra vita professionale e privata;
  • Uncertainty avoidance, l’ambiguità non spaventa i danesi e la curiosità è incoraggiata a livello individuale portando a scoperte e avanguardia nel settore tech e nel design. Il “non sapere” sul proprio posto di lavoro è ok;
  • Indulgenza, i danesi hanno una tendenza a voler soddisfare i propri desideri e godersi la vita. Ciò porta a un atteggiamento positivo, a far quel che vogliono e spendere per quello che vogliono.

È possibile vedere come il sovrapporsi di questi valori porti la cultura e mentalità danese a incoraggiare a sperimentare nuove vie, essere creativi e affrontare l’incertezza con improvvisazione e sapendo che sbagliare fa parte del percorso di crescita ed esperienza.

Il mondo corporate danese tifa Danimarca

Sempre più multinazionali danesi si rimboccano le maniche e, direttamente o indirettamente, prendono parte nell’ecosistema o creando fondi di Corporate Venture Capital Corporate Accelerator. Alcuni esempi sono Danske Bank con +impact, o LEGO Ventures, A.P. Moller Maersk con Maersk Growth e molti altri ancora, che collaborano con centri universitari o con curiosità interagiscono continuamente con i fondatori di startup danesi, ricercando ispirazione, investendo o anche solo aiutando a connettere le persone giuste tra di loro.

Non lasciatevi ingannare dalle modeste dimensioni della Danimarca. Vi sono ben tre poli dove trovare eccellenze nell’ecosistema danese – Copenaghen (fintech); – Aarhus (agri-food tech); – Odense (robotica). Questi ecosistemi sono nati grazie al contributo di Università, imprenditori seriali, business angel e ultimamente le grandi aziende.

I settori in cui l’ecosistema danese è molto performante sono il fintech, healthtech (life science, bio…), agri-foodtech, SaaS e robotica. Vi sono nomi di primo piano nell’ecosistema che quotidianamente rafforzano la comunità danese in industrie d’eccellenzaOdense RoboticsAgro-Business Park o DTU Sky LabPreSeed VenturesBioInnovation InstituteCopenaghen Fintech e così tante altre realtà che lavorano con uno scopo comune, mettere la Danimarca sulla mappa dei tech-hub europei e mondiali.

Con il contributo di tutti, in appena otto anni la Danimarca ha costruito un ecosistema florido e che genera innovazione e opportunità di business, mantenendo allo stesso tempo il costoso ma efficace sistema di welfare danese.

Nicklas Pavoncelli, international partnership manager at TechBBQ (TechBBQ è l’evento di riferimento per l’ecosistema startup danese e in generale per i Paesi nordici e baltici, la prossima edizione si svolge il 17 e il 18 settembre 2020 a Copenaghen)

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