Come è stato il 2025 per l’ecosistema italiano delle startup? Anno buono, anno meno buono? Gli indicatori sono diversi ma in generale il bilancio è ancora piuttosto lontano dall’essere positivo perché l’ecosistema italiano delle startup ancora arranca, non è ancora riuscito a fare il salto quantitativo e qualitativo che da anni, almeno da quando esiste la legge sulle startup del 2012, tutti gli operatori si attendono, ma che ancora non si è verificato.
Certo c’è stata una crescita sia nei numeri ma sopratutto nella qualità, ci sono più investitori e ci sono sempre più bravi imprenditori, ci sono anche le aziende che sono cresciute e che da startup sono diventate scaleup e perfino alcuni campioni di portata globale e questo è un fatto che da la misura della capacità di fare impresa che non è di certo inferiore a quella di altri Paesi. Manca però la portata, manca la massa critica sia in termini di disponibilità di denari da investire, sia in termini di rilevanza del mondo startup nel contesto del panorama socio economico del Paese.
Francesco Cerruti, direttore generale di Italian Tech Alliance, associazione di investitori in capitale di rischio e imprenditori innovativi, mette in luce come le aspettative per il 2025 erano alte ma che solo in parte, in piccola parte, si sono concretizzate: “A mio avviso dobbiamo considerare tre parametri: l’attivismo degli investitori istituzionali, il ruolo dell’Europa, e lo svilupparsi di storie di successo di imprenditori. Il primo punto è stato deludente nonostante le attese a valle dell’approvazione della Legge sulla Concorrenza e in particolare l’articolo 33 che avrebbe dovuto facilitare l’avvicinamento da parte degli investitori istituzionali all’asset class startup i risultati sono quanto meno definibili scarsi, si è mosso veramente troppo poco. L’Europa ha prodotto molte, tantissime, chiacchiere, si parla del 28esimo regime, si fa riferimento alla consapevolezza del rapporto Draghi, è stata nominata la Commissaria alle startup ma fino a ora risultati quasi nulli e questo atteggiamento non fa bene né all’ecosistema né alla reputazione dell’Europa e della Commissione europea in particolare, il terzo punto è quello che ha dato le maggiori soddisfazioni perché oggi anche in italia ci sono le storie di successo che conoscono tutti, Bending Spoons certamente ma anche altre aziende in diversi settori saranno emergenti come esempi di una virtuosissima capacità di costruire imprese che hanno successo sia economico-finanziario sia dal punto di vista di rafforzare la cultura dell’innovazione e quindi fare capire come le startup sono una risposta vincente all’affrontare i grandi problemi che affliggono il mondo”.
Gli investitori istituzionali paiono non essere troppo interessati alle startup ed è un problema più culturale che di opportunità finanziaria, non ci sono più altri alibi, la normativa è stata fatta ed è attiva, serve un cambio di rotta, una presa di coscienza molto forte anche spinta da CDP Venture Capital con il progetto Previdentia, il fondo di fondi che si propone proprio di intercettare i capitali degli investitori istituzionali come per esempio i fondi pensione.
La UE deve decidere che vuole fare, non può permettersi di fare naufragare il progetto 28esimo regime così come non può tergiversare sullo Scaleup Europe Fund che serve tantissimo perché il tema dei fondi non riguarda tanto le fasi di early stage quanto quelle di crescita, lo scaleup appunto, ed è li che la faccenda tende a farsi pericolosa nel lungo termine perché si rischia, come già successo, che le startup europee che crescono poi siano costrette a migrare altrove per cercare i capitali necessari alla fase di sviluppo e di crescita. Il 28esimo regime deve andare in porto, deve arrivare come regolamento e non come direttiva, quindi con la forma che deve essere recepita in modo uguale da tutti i Paesi della UE e deve arrivare il prima possibile, l’intero ecosistema europeo, a partire proprio dalle associazioni, è attivo e convinto nel chiedere a gran voce che questa norma arrivi che è elemento fondamentale per dare spinta alla competitività delle imprese europee che non possono più perdere tempo e denaro per districarsi tra le diverse normative burocratiche nel momento in cui decidono di crescere, di espandersi nel continente e di cercare capitali, è un po’ come avere tanti piccoli dazi che frenano la competitività dell’ecosistema europeo. Il procedimento non è certo semplice ma si tratta di un passaggio irrinunciabile, il dibattito ora si concentra su quanto il 28esimo regime deve essere ampio, ovvero quali caratteristiche devono avere le aziende per potervi rientrare. Naturalmente la posizione migliore sarebbe quella meno restrittiva, questo dovrebbe essere l’approccio più sensato al quale poi eventualmente aggiungere ulteriori incentivi definendo parametri specifici per startup e scaleup ma slegati dalla possibilità di applicare il 28esimo regime (qui il link a un video molto ben fatto che spiega perché il 28esimo regime, noto anche con il nome di EU-Inc, è fondamentale).
“Con il 2026 – continua Cerruti – sarà molto importante capire bene quali sono le strategie del governo italiano nei confronti delle startup, vedremo se arriveranno segnali decisivi in termini di impegno a sostenere l’ecosistema anche in termini di riorganizzazione dell’impianto normativo che in molti casi, abbiamo visto fino a oggi, non è in grado di produrre gli effetti desiderati, a partire dal cosiddetto ‘Testo unico per le startup’ che è un progetto di cui si è molto parlato ma che di fatto è ancora fermo. Inoltre c’è anche una scadenza strutturale che farà fare un passo indietro a tutto l’ecosistema e cioè il fatto che on il 31 dicembre 2025 scadrà la possibilità per i privati che fanno investimenti in startup di godere della detrazione del 30%. Questo perché il governo si è mosso troppo tardi nel richiedere la proroga e quindi inevitabilmente si andrà oltre la scadenza. Certo il governo si è mosso, tardi ma si è mosso, quindi tutto fa intendere che questi strumenti siano ritenuti interessanti ma, allo stesso tempo, il fatto che sia mosso tardi può fare pensare che il tema sia ancora troppo marginale, non prioritario e qui le cose devono cambiare nel 2026”.
Il 2026 sarà un anno particolare, un anno ‘olimpico’ potremmo dire e non solo perché il 6 febbraio si aprono i giochi olimpici invernali di Milano-Cortina ma anche perché è l’anno che porta alle prossime elezioni politiche che si terranno nel 2027 al termine dell’attuale legislatura, un anno insomma chiave e non solo per l’ecosistema startup anche se, la speranza è che vi sia una più netta e convinta presa di posizione riguardo al tema da parte del governo anche in vista del possibile riassetto di CDP Venture Capital che ci si attende assuma una posizione ancora più efficace a supporto dell’ecosistema.
“Speravamo di iniziare a correre – dice Cerruti – invece siamo sempre troppo lenti”. I numeri definitivi dell’anno in relazione agli investimenti in startup ancora non ci sono, arriveranno nelle prossime settimane, ma gli indicatori parziali non presentano nulla che possa fare pensare a elementi di crescita dell’ecosistema, anzi è assai probabile che nel 2025 si registri una contrazione rispetto al 2024 e che comunque si stima che il computi finale sarà poco superiore al miliardo di euro complessivo.
Non diverse le posizioni di Giorgio Ciron direttore generale di Innovup, l’altra associazione a supporto dell’ecosistema startup: “Il 2025 si è rivelato un anno complesso per il venture capital italiano, soprattutto se confrontato con i volumi di investimento assoluti dei principali competitor europei. Nonostante questi Paesi non abbiano registrato una crescita significativa nel 2025, con, in alcuni casi, significative contrazioni, continuano tuttavia a mobilitare risorse su ordini di grandezza nettamente superiori a quelli italiani. Di conseguenza, l’Italia non è riuscita a ridurre il divario con questi ecosistemi vicini, che rimangono stabilmente in un ‘altro campionato’ per capacità di investimento nel venture capital. In questo scenario, la risposta legislativa ha preso forma di un esteso pacchetto normativo introdotto con la Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2024, la cosiddetta Legge Centemero e alcuni articoli della Legge di Bilancio 2025. Tra i principali obiettivi di questa riforma si sottolineano da un lato la mobilitazione di grandi capitali privati per colmare il gap di liquidità con l’estero, dall’altro la selezione e il supporto alle imprese realmente capaci di competere sui mercati internazionali. Il suo pilastro principale è l’obbligo per fondi pensione e casse di previdenza di destinare una quota degli asset al venture capital, misura già adottata negli Stati Uniti e prevista anche dalla Startup e Scaleup Strategy europea. L’intento del legislatore è stato quello di mobilitare il grande risparmio gestito presente in Italia, stimato tra 150 e 300 miliardi di euro, vincolandone circa l’1% a investimenti in venture capital, un aumento significativo di liquidità destinata a startup e PMI innovative nel nostro Paese. L’implementazione, però, è risultata complessa. Nonostante l’alleggerimento graduale dei vincoli, passando dal 0,5% al 0,3% degli asset under management nel 2025, poi 0,5% nel 2026 e 1% nel 2027, la norma è rimasta a lungo inapplicata per resistenze del settore previdenziale e incertezze interpretative sulla definizione di venture capital, che potrebbero richiedere ulteriori modifiche soggette ad approvazione europea e rischiano di compromettere anche l’applicazione della norma nel 2026. Tuttavia, in attesa di queste modifiche, essendoci una norma in vigore e pienamente attuativa, dopo lo stallo iniziale si intravedono segnali di operatività con le casse e i fondi pensione che stanno iniziando ad aprire i primi bandi destinati a fondi di venture capital per evitare di perdere l’importante incentivo fiscale su tutti i loro investimenti qualificati. Sebbene con una certa timidezza e con un ritardo di un anno rispetto a quanto preventivato, l’auspicio è che questa nuova dinamica possa finalmente sbloccare la liquidità necessaria ai fondi di venture capital e generare l’aumento degli investimenti essenziale per rivitalizzare un mercato ancora troppo statico”.
Ciò che dice Ciron sposa quanto affermato da Cerruti e l’ulteriore conferma di questa posizione si ha affrontando il tema, citato sopra, della proroga del 30%: “In questo quadro si aggiunge l’incertezza sulla proroga dell’incentivo fiscale del 30% per gli investimenti privati in startup e PMI innovative – continua il direttore generale di Innovup – la misura è in scadenza e la necessaria autorizzazione europea arriverà solo dopo il primo trimestre 2026, creando un vuoto normativo che potrebbe penalizzare soprattutto gli investimenti nelle fasi pre-seed e seed. Peraltro, se per le startup rimane attiva la detrazione cosiddetta de minimis del 65%, per le PMI, cui quest’ultima agevolazione è stata eliminata con lo ScaleupAct, non rimarrebbe alcun incentivo fiscale per l’attrazione di investitori privati. Accanto agli interventi sull’attrazione di capitali, lo ScaleupAct ridefinisce anche il perimetro dei protagonisti della filiera. Startup, scaleup, PMI innovative, incubatori e acceleratori operano ora in un nuovo quadro normativo, chiarito da una recente circolare del MIMIT (ministero delle Imprese e del made in Italy, ndr). La qualifica di startup e scaleup diventa ora un traguardo basato su risultati concreti. Restano validi i criteri fissati nel 2012 per l’ingresso nel registro delle imprese, a cui si aggiungono l’obbligo di rientrare nella definizione europea di PMI e il divieto esplicito per le attività prevalenti di agenzia o consulenza. Per le realtà già iscritte è previsto un periodo transitorio, con verifiche annuali e requisiti progressivamente più selettivi dopo i primi tre anni, come l’aumento delle spese in ricerca e sviluppo al 25%, contratti con la Pubblica Amministrazione o una crescita significativa di fatturato o personale. La principale novità è la possibilità di estendere la permanenza fino a sette e poi nove anni, riservata alle imprese che dimostrano una forte crescita, validata da investimenti qualificati o dal raddoppio dei ricavi. La riforma aggiorna inoltre la certificazione di incubatori e acceleratori, includendo modelli operativi più flessibili e allineati alle best practice internazionali, oltre a strumenti come il credito d’imposta dell’8% qualora questi soggetti dovessero realizzare investimenti in startup innovative. Alla luce di questo scenario tutto il settore attende con trepidazione, il ‘Testo unico per le startup’, previsto come delega al Governo nella Legge annuale per le PMI, al fine di riordinare una normativa oggi frammentata, offrendo un quadro organico e stabile e riconoscendo il ruolo strutturale dell’ecosistema innovazione per la competitività del Paese”.
Quindi il salto tanto atteso anche nel 2025 è mancato, abbiamo visto come tale mancanza è causata da diversi aspetti ma c’è anche da domandarsi se l’ecosistema italiano ha fatto e stia facendo tutto il possibile per mettersi nella condizione di crescere. Restano certamente valide le considerazioni relative al ruolo del governo sia nazionale sia europeo, così come quelle relative all’impegno da parte degli investitori istituzionali ma serve guardare anche all’interno dell’ecosistema. E anche qui ci sono margini di miglioramento. L’ecosistema italiano ha le sue caratteristiche: è un ecosistema che non può vivere di vita propria ma deve svilupparsi nel contesto europeo e quindi rafforzare sempre più le sue collaborazioni con gli altri ecosistemi del continente e questo è un passo che già ha portato risultati significativi visto che a guardare la maggior parte dei round di investimento su startup italiane negli ultimi mesi si nota che la presenza di investitori internazionali è tutt’altro che rara. E’ un ecosistema che deve lavorare con sempre maggiore sinergia, celebrare i successi in mondo limpido ed entusiasta, ma anche mostrare di essere sano perché capace di liberarsi dei pesi morti evitando accanimento terapeutico su startup che non mostrano capacità di crescere per esempio, deve essere sempre più trasparente impegnandosi a comunicare più speso cifre e importi relativi non solo ai round di investimento ma anche alle exit e alle operazioni di fusione e acquisizione che non di rado vengono annunciate prive dei valori alla base rendendo queste notizie monche e incapaci di dare un contributo al valore complessivo che l’ecosistema è in grado di produrre. Deve essere più sicuro di se stesso e più impegnato a dare valore a tutto ciò che lo completa, i media per esempio che sono fondamentali ma non tenuti forse nell’adeguata considerazione, è difficile, e lo diciamo per esperienza diretta, gestire l’attività editoriale in un settore che possiamo considerare ancora emergente come quello delle startup, un settore che, giustamente, sa quanto è importante che si parli di quanto fa, ma che deve anche considerare la possibilità di sostenere con maggiore forza i suoi media di riferimento, sopratutto quelli indipendenti, questo non è un tema solo italiano, anche nel resto d’Europa l’editoria tech vive un momento di forte crisi ma è proprio in questi momenti che serve prendere decisioni coraggiose. È un ecosistema che deve anche strutturarsi per essere riconosciuto attraverso un grande evento tech italiano che sia indipendente e generato dalla community, non può accontentarsi solo di eventi che fanno capo a organizzazioni private che li mettono in piedi, dal loro punto di vista giustamente, per ragioni soprattutto di marketing e creazione di business. E’ un ecosistema che ha fatto molto, e seguendolo con Startupbusiness fin dal 2008 ne abbiamo seguito l’evoluzione e la sua capacità di sapersi strutturare, di migliorare, di crescere, di darsi delle regole chiare, di produrre risultati efficaci, a volte perfino sorprendenti, ma è un ecosistema che deve ora uscire dalla fase dimensionale attuale e deve cercare di farlo partendo dalle sue proprie forze, dal lavorare insieme, dal sostenersi internamente con convinzione e con risorse prima ancora che aspettando l’arrivo delle norme opportune che, comunque, restano fondamentali. (foto di Ivan Oštrić su Unsplash)
© RIPRODUZIONE RISERVATA