Finanziamenti europei, da SME Instrument a EIC Accelerator per scaleup

Pubblicato il 26 Giu 2019

SME Instrument evolve puntando alle startup e scaleup europee e lancia il nuovo progetto EIC Accelerator che si concentra proprio sullo scaling-up. Per comprendere meglio i nuovi strumenti di finanziamento che fano leva sul concetto di blended finance e che puntano a individuare aziende del continente realmente promettenti, abbiamo chiesto ad Antonio Carbone, Capo Dipartimento Innovazione APRE – Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea National Contact Point SME e Access to risk finance di Horizon 2020 di raccontarci le novità del programma e ad Anna Amati di  META Group di raccontare la sua esperienza di valutatrice e di fornire preziosi consigli a chi intende presentare la propria startup. Per saperne di più è anche possibile iscriversi alla tappa milanese dell’EIC Roadshow che si svolge il 28 giugno 2019.

La Commissione europea ha recentemente lanciato i nuovi strumenti pilota dello European Innovation Council – EIC, attraverso i quali mira a sostenere e investire quelle aziende e startup europee in grado di generare le innovazioni più radicali e dirompenti. Rispetto alle precedenti misure di sostegno all’innovazione presenti in Horizon 2020, infatti, il nuovo pilota EIC si focalizza maggiormente su quei soggetti innovatori che abbiano un grande potenziale di scalabilità sui mercati europei e globali.

Con questo obiettivo prioritario, la Commissione ha creato l’EIC Accelerator. Si tratta di una misura mista (nota anche come blended finance) di grant/sovvenzione e, in misura opzionale, equity, volta a supportare le aziende sia nelle fasi di sviluppo e pre-industrializzazione sia nell’introduzione sul mercato di quelle innovazioni con un potenziale breakthrough, ma ritenute non (ancora) attraenti per il mercato dei capitali privati a causa dell’alto rischio e del lungo ciclo di sviluppo dell’innovazione.

EIC Accelerator nasce dall’esperienza SME Instrument, opportunità riservata alle PMI e molto apprezzata dalle startup italiane. Si potrà sempre chiedere un finanziamento tra 0,5 e 2,5 milioni di euro in forma di sovvenzione (grant a copertura del 70% dei costi) per gli ultimi stadi di sviluppo pre-industriale e pre-commerciale. Restano attivi anche i servizi di coaching e accelerazione di impresa di cui possono beneficiarie le aziende finanziate. Le novità sono tuttavia significative.

Dalla scadenza del prossimo ottobre la singola PMI o startup sarà l’unico soggetto proponente, fermo restando il possibile coinvolgimento di fornitori terzi per lo svolgimento di specifiche attività progettuali. E poi, come accennato, l’opzione dell’equity (non obbligatoria) per la quale la Commissione stessa si sta dotando di un vero e proprio fondo di investimento denominato Special Purpose Vehicle – SPV per investire direttamente nel capitale aziendale. Ci riferiamo a cifre importanti, perché l’SPV arriverà a investire fino a 15 milioni di euro nella singola azienda, non potendo tuttavia acquisire più del 25% delle quote della stessa. La gestione operativa sarà affidata al Fondo Europeo degli Investimenti, che si occuperà direttamente di seguire le due diligence. In attesa di conoscere maggiori dettagli sul funzionamento della parte di equity (termsheet, exit strategy, ecc.), possiamo dire che si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana nell’ambito dei finanziamenti europei di ricerca e innovazione. A proposito di novità, il nuovo corso EIC ne porta una non proprio positiva per le aziende italiane. La Commissione ha infatti deciso di terminare l’esperienza della Fase 1 Sme Instrument. Di conseguenza non saranno più disponibili i 50mila euro di finanziamento finalizzati a verificare la fattibilità tecnico, economico e finanziaria del progetto di innovazione. Ultima scadenza utile per la Fase 1: 5 settembre 2019. Poi sarà compito di Stati e Regioni strutturare meccanismi similari.

Il budget stanziato da Bruxelles per l’EIC Accelerator Pilot 2019-2020 ammonta a quasi un miliardo di euro. Le finestre utili per presentare la domanda di finanziamento sono cinque, a partire dal prossimo ottobre e fino alla fine dell’attuale periodo di programmazione nel 2020.

Business model innovativi, profonda conoscenza dei target di clientela, delle condizioni di mercato e dei competitor, market strategy convincenti eseguite da un team aziendale interdisciplinare e affidabile rappresenteranno alcune delle chiavi di successo. E poi, per quelle startup che decideranno di esplorare l’opportunità dell’equity, la capacità di affrontare in maniera convincente una negoziazione di due diligence.

I cambiamenti sono notevoli ed è chiaro l’intento della Commissione di puntare su quelle realtà europee più ambiziose e innovative. Diventa quindi fondamentale farsi trovare preparati e portare a Bruxelles idee dirompenti basate sull’ingegno e sulla creatività tipicamente italiane.

Anna Amati racconta l’esperienza maturata come uno dei 5 membri italiani della giuria di valutazione

L’esperienza maturata nell’ultimo anno, in qualità di uno degli 87 membri europei della giuria selezionati per le interviste della Fase 2 degli SME Instruments presso lo European Innovation Council, mi porta a poter fare una breve analisi di ciò che ho vissuto come valutatrice e a dare alcune indicazioni utili, mi auguro, per le PMI che vogliano candidarsi ai prossimi cut-off che verranno lanciati dopo l’estate.

Inizio con il dire, sembrerà banale, che la competizione tra i vari Paesi è realmente vivace e che il programma funziona. Molti partecipanti da molte nazioni diverse con tecnologie e innovazioni interessanti e non dissimili da quelle che siamo soliti incrociare negli Investor day italiani.  Dieci minuti per raccontare la loro impresa, venti minuti per rispondere alle domande di una giuria, composta da soggetti con esperienze complementari provenienti anch’essi da Paesi differenti.

Le PMI italiane nel complesso raggiungono buoni risultati. Come sempre però si può e si deve essere più ambiziosi. La mia analisi e riflessione, lo premetto, vuole andare verso questa direzione.

L’EIC, infatti, vuole individuare e premiare le eccellenze imprenditoriali europee, quelle che da oggi in avanti potranno spostare l’economia del nostro continente. Quindi è doveroso essere ambiziosi.

Ovviamente, come spesso accade, mi concentrerò sulle criticità, facendo fin d’ora i complimenti a tutte quelle PMI che ce l’hanno fatta ma non sottolineando, se non implicitamente citando le criticità di chi è stato escluso, gli elementi caratterizzanti il loro successo. Lo faccio perché ritengo che possa essere di maggior valore capire i nostri limiti per eliminarli e riuscire a fare meglio.

Un primo commento, dunque su alcuni dei principali elementi deboli che mi sono portata a casa da Bruxelles.

Il pitch e la sessione di Q&A è tutta in inglese. Si è sparsa la voce che uno dei parametri di valutazione sia la conoscenza della lingua inglese e che quindi, storicamente, i paesi del Mediterraneo, partano svantaggiati. Falso. O meglio, falso nel senso che nessuno dei membri della giuria esprime un voto sulle competenze linguistiche del proponente ma è vero, però, che la scarsa conoscenza dell’inglese comprometta, spesso, l’esatta comprensione delle domande che vengono poste e, soprattutto, la capacità di esprimere il valore che c’è dietro alla risposta nella formulazione di una frase “elementare”. E questo in effetti è un gran peccato.

Altro elemento che mi sento di condividere è che nei dieci minuti del pitch il “come” comunicare il “cosa” sia fondamentale.

Rispetto dei tempi, focus su innovazione e su mercato, credibilità ed expertise dei componenti del team, visione e capacità di mettere a terra l’innovazione, numeri credibili ed evidenza degli stessi, sono tutti elementi essenziali che devono essere sapientemente miscelati e non sbilanciati in modo da permettere alla giuria una valutazione complessiva delle potenzialità e della capacità di rapida crescita dell’impresa stessa.

Le PMI, esistenti da decenni, tendono ad essere concrete e serie ma, spesso, troppo poco ambiziose e poco innovatrici e soprattutto non sempre in grado di far capire alla giuria la loro capacità di poter conquistare mercati internazionali, uscendo dalla loro “comfort zone” e pensando ai possibili scenari futuri, un po’ troppo ancorati ai modelli di business con cui sono vissute finora.

Le startup italiane, invece, soprattutto nel settore per cui sono valutatrice, ovvero energia, ambiente, costruzioni, tecnologie industriali, sono troppo poche, rispetto al numero che incontro nei vari luoghi d’innovazione italiani. Mi domando il perché. Forse perché si orientano verso una finanza di rischio, il che è corretto certo, ma, come detto da Antonio Carbone di Apre, anche EIC sta puntando verso forme di Blended Finance e sarebbe un peccato per molte nostre giovani imprese non valutare la possibilità di partecipare alla selezione, pensando che si tratti di finanza pubblica e pertanto, forse, “meno cool” della finanza di rischio.

Si è poi sparsa la voce, dopo una serie di edizioni di queste interviste, che “le cose da dire” siano sempre quelle e quindi i pitch purtroppo spesso tendono a uniformarsi, basandosi sul passa parola delle edizioni precedenti e perdendo una parte della loro unicità. Questo a mio avviso è controproducente perché siamo in cerca di progetti e di team originali, capaci di farsi ricordare e di emergere rispetto alle circa 20 proposte che ogni gruppo di esperti si trova a valutare.

Altro elemento su cui riflettere. Portare prototipi della propria tecnologia, va bene, è apprezzato. Bisogna ricordarsi però di far vedere alla giuria solo oggetti e soluzioni che facciano dire “wow”, altrimenti si ha l’effetto opposto. È già accaduto che il prototipo non abbia funzionato, seguendo la implacabile legge di Murphy.

Si è sparsa anche la voce, poi, che ci sono troppo poche donne imprenditrici. Anche questo è vero, ahimè. Le soluzioni a tale criticità, trovate da alcuni sono state però piuttosto bizzarre. Portare una donna e farle “raccontare il pitch” se non conosce veramente il business è controproducente, perché nella fase di Q&A ci si aspetta da lei che sia in grado di rispondere con competenza. Oppure portare una donna (o anche un uomo, per la verità) al pitch e farle dire solo il suo nome, cognome e ruolo in azienda non è raccomandabile.

Il messaggio anche qui è di essere se stessi, di trasferire serietà, competenza, visione, numeri, relazioni.

A questo proposito un ultimo consiglio, senza voler né poter essere esaustiva. Si è sparsa la voce che ai fini di una valutazione positiva possano aiutare le lettere di supporto o manifestazioni di interesse. Sembra banale ricordarlo ma la giuria non è proprio sprovveduta. Se il contenuto di tali documenti non riporta veramente un valore aggiunto per il progetto imprenditoriale che si vuole sviluppare, ma si limita a manifestare un vivo interesse affinché il progetto venga finanziato, con un “copia e incolla” nel quale variano solo le firme e la carta intestata dei soggetti, l’effetto che si ottiene è l’opposto di quello sperato.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati