«Giornalismo quantitativo» e bias ideologici: Nate Silver e il nuovo FiveThirtyEight

Pubblicato il 20 Mar 2014

50 su 50. Il risultato dell’ultima previsione di Nate Silver riguardo i collegi delle elezioni presidenziali americane 2013. Un incredibile 100% che ha lasciato di stucco i media americani, abituati a previsioni maggiormente basate su intuizioni qualitative politiche. E che gli ha provocato non poche rogne con il suo stesso giornale, il New York Times, da cui qualche mese addietro ha fatto le valige per dare vita ad un progetto indipendente finanziato dall’emittente sportiva ESPN.

Chi è Nate Silver? Nato nel 1978 in Michigan, è un economista con un forte background in statistica e con la passione per il baseball, la politica, ma soprattutto per dati e numeri. La sua specialità risiede nel combinare tra di loro set di database complessi, comunemente definiti Big Data, per proporre analisi di scenario e previsioni. Ha cominciato la sua carriera sviluppando PECOTA, venduto poi a Baseball Prospectus nel 2003, un sistema di analisi delle carriere e dei risultati dei singoli giocatori di baseball. Successivamente si è occupato di politica, e nel 2010 è stato assunto dal New York Times, dove ha trasferito il suo blog personale, FiveThirtyEight.

Il suo nuovo editore è stato in grado di beneficiare ampiamente della popolarità di Silver, il quale nel frattempo si rivelava in grado di prevedere l’esito delle elezioni nei singoli Stati durante le presidenziali del 2008 in 49 collegi su 50, fino ad arrivare alla matematica precisione dell’incipit nel contesto della corsa elettorale del 2013. L’esperienza al NY Times si è conclusa quando le frizioni tra lui e la redazione hanno cominciato ad essere inconciliabili. Troppa la distanza tra il modello di «giornalismo quantitativo», la fiducia nella modellizzazione, e la disintermediazione forte tra lettori e autore, non propriamente nelle corde del primo giornale d’America.

Il lancio del nuovo FiveThirtyEight, avvenuto lunedì, è carico di tutta una serie di aspettative forti riguardanti l’estensione della modalità di lavoro di Nate Silver e dei suoi 18 collaboratori ad altri temi oltre sport e politica, come scienza, cultura e attualità. In un lungo post introduttivo, il fondatore ha sottolineato il proprio giudizio sprezzante nei confronti dei media «tradizionali», i quali si ritrovano spesso a dover competere più sulla quantità che sulla qualità; il numero elevatissimo di bias di cui i commentatori (in particolare quelli politici) soffrono in virtù del loro allineamento, e in generale la scarsa propensione del giornalismo odierno di focalizzare la propria attenzione su un determinato argomento avvalendosi di strumenti matematici e statistici a supporto.

Se quest’ultima tra le critiche pare essere la più fondata, c’è anche da sottolineare che Silver trascura, più o meno volutamente, due argomenti molto importanti. Il primo riguarda i lettori: la stampa generalista difficilmente può pretendere che la maggior parte dei cittadini siano in grado di districarsi in un racconto dell’attualità che faccia largo utilizzo di strumenti di questo genere. In particolare in Italia, dove l’analfabetismo funzionale e le abilità matematiche sono in costante declino. Da qui deriva la scelta del suo particolare posizionamento sul mercato nei confronti degli altri media.

Secondo argomento è di natura cognitiva e forse più interessante: nella sua analisi Silver sottintende la possibilità di dare vita ad un giornalismo privo di bias ideologici. Il premio Nobel ed editorialista del New York Times Paul Krugman è stato molto critico nei confronti di questa impostazione. Senza scadere nel più banale dei cliché (ossia che i numeri vadano «interpretati», che per quanto riguarda chi scrive risulta il classico argomento di riserva di chi non ne capisce molto e non rispetta il rigore metodologico), risulta difficile credere che possano esistere esposizioni di notizie prive di un allineamento, anche sottile, proprio per la natura stessa dell’essere umano, che tende a formare opinioni e pensieri sulla base delle proprie esperienze pregresse e del proprio background culturale.

nate silver - foto flickr gregpc

Vedremo se nelle prossime settimane la scommessa editoriale di Nate Silver avrà successo. Nel frattempo, è utile sfogliare il suo saggio,«Il Segnale e il Rumore», pubblicato nel 2012 e tradotto in italiano da Fandango. Chissà che tra una pagina e l’altra non si possa già intravedere la frequenza del giornalismo del futuro, e che le critiche non siano altro che rumore di fondo.

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