Il digitale e l’importanza dell’emozione per l’innovazione

Pubblicato il 27 Mag 2020

Digitale, viva il digitale. Il digitale ci ha salvato, senza il digitale l’emergenza di questi mesi sarebbe stata ancora più devastante di quanto abbiamo tutti noi sperimentato.

In questi mesi abbiamo imparato a fare molte più cose usando i nostri computer e smartphone, e ora? Vorremmo tornare indietro? Ha senso tornare indietro? C’è un dietro a cui tornare? Come sempre, anche in questo caso, la verità sta nel mezzo.

Il digitale spinto e come lo abbiamo usato in questi mesi perché costretti dalle circostanze ci è servito per capire che ci sono meno limiti, soprattutto di tipo culturale e abitudinario, di quelli che pensavamo. Abbiamo fatto meeting, lezioni, incontri, interviste, riunioni con amici, collaboratori, colleghi, clienti, parenti; abbiamo gestito gli acquisti online anche di quei prodotti che compravamo al supermercato o al negozio sotto casa, siamo andati in banca, dal medico, al cinema, al museo, in libreria, entrandoci dallo schermo del nostro computer. In tutto ciò la tecnologia ci ha assistito alla grande. Altre cose non le abbiamo potute fare: ristorante, parrucchiere, palestra perché ci sono alcuni atomi che ancora non è possibile digitalizzare, benché i tutorial online ci hanno insegnato a fare qualunque cosa: cucinare, fare ginnastica in casa per esempio.  Il digitale pervasivo, alternativo all’analogico a cui eravamo abituati, è quindi un fatto, un fenomeno concreto, ed è qui per restare. Ma non può e non deve restare come se fossimo sempre in emergenza.

La verità sta nel mezzo, dicevamo. Il digitale pervasivo è sì arrivato per restare, perché così sarà in quanto il nuovo contesto a cui andiamo incontro e che impareremo a chiamare normalità sarà diverso, volenti o nolenti, da ciò a cui eravamo abituati. Possiamo chiamarla nuova normalità, normalità 2.0, o semplicemente una evoluzione del modo in cui abitiamo il pianeta.

Il digitale è arrivato per restare, ma non resterà come si è manifestato in questi mesi, si ibriderà con modi di essere, di esistere, di gestire il quotidiano che torneranno a essere, benché diversamente, anche fisici.

Il digitale non si tocca quindi, ma qual è il suo confine? Possiamo dire con certezza che è emotivamente limitante, e non è limitare il nostro desiderio di emozionarci ciò che vogliamo. Certo alcune emozioni possono arrivare anche tramite i canali digitali: i complimenti per un lavoro ben fatto, un amico lontano che non sentiamo da tempo, un investimento azzeccato, un acquisto soddisfacente, la vincita a una startup competition, ma non sono sufficienti per alimentare la nostra umanità.

Le emozioni sono indispensabili, più di qualsiasi argomentazione logica, anche per generare il cambiamento che è alla base di qualsiasi processo di crescita e di innovazione. E ci sono emozioni che non possono viaggiare sotto forma di bit: esultare per un gol al 90esimo, vestirsi eleganti per una serata romantica, abbandonarsi alle gioie del sesso, andare a una festa, organizzare un viaggio e viverlo, fare un regalo, il networking alla fine di un evento, l’idea che arriva durante la pausa caffè chiacchierando con un collega, un incontro casuale. Emozioni spesso intrecciate tra loro e che sono importanti sia per il momento in cui sono vissute, sia per la loro capacità di essere cause scatenanti di reazioni a catena che poi possono portare a nuove evoluzioni affettive, professionali, culturali.

Anche se le idee possono tranquillamente viaggiare sotto forma di bit, il modo in cui spesso si generano è frutto di emozioni ed esperienze che il digitale non può veicolare. E le idee sono il motore di nuovi progetti, di nuove iniziative, di innovazione, tutte cose che attecchiscono solo se le idee fluiscono e si intrecciano con le emozioni, altrimenti è più difficile, se non impossibile.

Così come sono più difficili, articolati, ponderati, analizzati, valutati, e a volte anche procrastinati, i rapporti attraverso i canali digitali, così è meno fluido il flusso dell’innovazione. Ciò non significa che non vi sia innovazione che possa essere coltivata solo grazie a interazioni tramite strumenti digitali. Ci sono decine di aziende che già prima del Covid-19 operavano quasi esclusivamente in modalità remota, ma ognuno di noi sa che certe scintille, certe opportunità, sbocciano solo quando si verificano condizioni particolari e, un po’ come avviene per le storie d’amore, si forma una chimica che è mix di razionalità, emozione, esperienza e relazione.

L’opzione ibrida è quindi quella che è maggiormente auspicabile, un’opzione che continuerà a fare leva sulla comodità e l’efficacia degli strumenti digitali: difficilmente faremo un salto in centro città solo per un incontro veloce o prenderemo un treno o un aereo per andare a fare un meeting in un’altra città, ci sposteremo però per partecipare a un evento, per visitare amici e famiglia, per viaggiare e tornare a visitare il mondo. Difficilmente torneremo ad andare fisicamente in banca (già molti non ci andavano pure prima dell’emergenza), con difficoltà torneremo ad abitare quotidianamente gli uffici, e limiteremo al minimo la fisicità di quelle operazioni che non ci danno emozione e che il digitale ci consente di fare più comodamente e riducendo i rischi sanitari, ma torneremo ad andare a trovare gli amici, a fare networking, a conoscere nuove persone, a organizzare le feste, ad andare a scuola e all’Università, e a fare le cose che più ci danno emozioni.

Il digitale è qui per restare e continueremo a preferirlo per molte attività molto più di quanto facevamo prima dell’emergenza, ma lo faremo in modo intelligente senza farlo diventare un diktat, senza renderlo totalizzante, usandolo come strumento ma senza idealizzarlo e senza renderlo unica alternativa possibile perché altrimenti diverremmo aridi di emozioni, e senza emozioni non ci sono idee e senza idee non c’è innovazione. E l’innovazione è vitale, insieme alla speranza e alla volontà, per costruire la nuova normalità.

@emilabirascid

Photo by Jonathan Smith on Unsplash

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