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Lo stoccaggio della CO2 negli oceani, il ruolo delle startup

L’innovazione del cosiddetto Carbon Capture Utilization and Storage sta coinvolgendo startup di tutto il mondo, tra esse anche l’italiana Limenet

Pubblicato il 18 Mar 2024

CCUS, sigla che sta per Carbon Capture, Utilization and Storage, indica l’insieme di tecnologie usate per catturare la CO2 e stoccarla negli oceani o in altri serbatoio naturali, impedendole di liberarsi nell’aria all’emissione e quindi di inquinare. Si tratta, secondo la IEA (International Energy Agency) di uno strumento imprescindibile per l’attuazione della decarbonizzazione.

L’oceano è il più grande serbatoio di carbonio del pianeta, un sistema naturale che assorbe l’anidride carbonica in eccesso dall’atmosfera e la immagazzina. Circa il 25-30% di CO2 immessa in atmosfera nel corso in tutta l’era industriale è stata assorbita dall’oceano (fonte External Forcing Explains Recent Decadal Variability of the Ocean Carbon Sink, Columbia University). Oggi, grazie alla tecnologia, quello che è un processo naturale può essere riprodotto artificialmente dall’uomo, allo scopo ambientale di raggiungere gli obiettivi del net zero, sempre più pressanti.  

Catturare e immagazzinare CO2

Se le tecnologie che vengono utilizzate per realizzarla sono diverse, l’idea di base è unica ed è semplice: si cattura la CO2, direttamente alla fonte, quindi dalle industrie che la generano nel processo produttivo e se non viene riutilizzata in loco, la CO2 catturata viene compressa e trasportata tramite gasdotto, nave, ferrovia o strada per essere o iniettata in formazioni geologiche profonde come serbatoi di petrolio e gas esauriti o acquiferi salini o utilizzata in una serie di applicazioni. Per esempio, come materia prima nella produzione di carburanti sintetici come il metanolo o il diesel sintetico attraverso processi di sintesi chimica; per carbonatare il cemento durante il processo di produzione, trasformandolo in un materiale più resistente e sostenibile; per produrre polimeri, plastica e materiali da costruzione; in agricoltura per aumentare la resa delle colture attraverso il processo di fertilizzazione delle piante; nell’industria alimentare per carbonatare bevande come bibite gassate e acqua minerale; come materia prima per la produzione di vari prodotti chimici, come per esempio acidi, solventi e fertilizzanti. Sono solo alcuni esempi: gli sviluppi nella ricerca e nell’innovazione per trovare nuovi modi efficaci ed efficienti per utilizzare questo gas sono continui.

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È un modo di decarbonizzare sostenibile per una serie di ragioni che individua la stessa IEA: si tratta di un sistema efficace per ridurre le emissioni in settori hard to abate, come il cemento, l’acciaio o i prodotti chimici. È un facilitatore della produzione di idrogeno a basso costo e a basse emissioni di carbonio, utile per la decarbonizzazione delle industrie, ma anche del trasporto su strada e in nave. Inoltre, può essere realizzato in vecchi impianti di produzione di energia e industriali, che non vengono dismessi ma continuano a operare.

Oggi sono attivi circa 500 progetti in varie fasi di sviluppo lungo tutta la catena del valore del CCUS e sono in funzione circa 40 impianti in tutto il mondo, con una capacità annua totale di più di 45 Mt CO2. Sono stati annunciati più di 50 nuovi impianti di cattura che mirano a entrare in funzione entro il 2030: e sono circa un terzo di quanto richiesto per attuare lo scenario net zero a quella data.

Il ruolo degli oceani

In questa evoluzione del concetto di CCUS le startup giocano un ruolo importante e molte stanno già partecipando a questa sfida climatica comprese quelle che operano sul fronte dello in mare. La CO2 viene assorbita dalla natura in vari modi: per esempio, viene catturata dalla pioggia e poi si lega con il calcare quando ricade al suolo. Si trasforma così in bicarbonato di calcio, finendo poi nel mare. Questo processo naturale si sta però alterando a causa dell’aumento di CO2 nell’atmosfera che acidifica gli oceani, riducendo la quota di ioni carbonati, compresi i bicarbonati, presenti nell’acqua. Quindi, in teoria, non sembrerebbe una buona idea quella di iniettare una quantità sempre maggiore di CO2 sul fondo dell’oceano perché questa ha effetti collaterali nocivi sulla vita sottomarina ed è, assieme alla temperatura, il principale responsabile dell’erosione della barriera corallina. Pertanto da sempre, mentre viene assorbita la CO2 nel mare, si elaborano strategie per ridurre al minimo l’acidificazione dell’acqua. I metodi più utilizzati sono l’enhanced weathering, l’ocean alkalinity enhancement e l’electrochemical ocean CO2 capture.

Le prime due strategie si basano sull’introduzione di rocce alcaline finemente tritate nell’oceano al fine di aumentare la sua capacità tampone di assorbire l’anidride carbonica. La terza si basa su tecniche di separazione acido-base e rimozione elettrochimica della CO2 e permette generalmente di creare altri sottoprodotti a fronte di un consumo di energia. Ma c’è bisogno di evolvere la ricerca perché tutti i metodi attualmente in uso per evitare l’acidificazione dell’oceano sono basati su processi chimici che richiedono un elevato dispendio di energia oppure comportano il rischio di rilascio di sostanze tossiche. 

Cosa fanno le startup

Sulla base delle tecnologie esistenti e dell’esigenza di migliorarle, le principali startup del settore stanno elaborando nuove idee per rendere l’assorbimento di CO2 negli oceani più efficiente e sostenibile. La maggior parte delle startup di questo settore sono nate negli Stati Uniti o in Canada grazie a una maggiore disponibilità di finanziamenti. In Italia c’è Limenet.

Tra loro figurano:  Planetary è una startup canadese fondata nel 2019 con l’obiettivo di aumentare l’alcalinità dell’oceano tramite introduzione di idrossido di magnesio. L’introduzione di questa sostanza aumenta la capacità di cattura di CO2 dell’oceano a fronte però di un aumento del pH localizzato se la dissoluzione dell’idrossido non avviene in modo completo. I finanziamenti ricevuti permesso di raccogliere un totale di 8,6 milioni di dollari totali. CarbonRun è una startup canadese nata nel 2022 che ha studiato un processo originale. Anche in questo caso l’idea è l’aumento dell’alcalinità: a partire però dalla dissoluzione di rocce alcaline, quali carbonato di calcio e dolomite, direttamente all’interno di fiumi danneggiati da piogge acide o inquinamento. In questo modo si cattura il carbonio terrestre rilasciato dal terreno nei fiumi e il carbonio atmosferico presente nell’aria. Il processo di dissoluzione può richiedere molto tempo e non è controllato una volta che il rilascio dei carbonati è avvenuto. Ebb carbon, fondata nel 2021 con sede in California, ha ricevuto finanziamenti per un valore di 29 milioni di dollari per approfondire gli studi sul processo proprietario di separazione delle parti acide e basichepresenti all’interno dell’acqua oceanica tramite l’uso di membrane iono-selettive. La parte acida viene estratta e accumulata per altri utilizzi, quella basica viene reintrodotta nell’oceano. L’introduzione di una sostanza basica in acqua deve essere fatta in modo estremamente controllato per evitare un aumento di pH troppo elevato. Equatic, società statunitense fondata nel 2018 ha ricevuto 30 milioni di dollari di finanziamenti per sviluppare un sistema di riduzione della CO2 basato sull’elettrolisi, la separazione delle soluzioni che si ottiene applicando un campo elettrico tra due elettrodi, dell’acqua di mare. La reazione chimica che si produce permette inoltre anche la produzione di idrogeno.

In Europa, c’è appunto l’italiana Limenet, che ha elaborato una tecnologia unica in questo ambito. Limenet si focalizza sulla cattura della CO2 e sullo stoccaggio permanente sottoforma di bicarbonati di calcio, attraverso l’ocean alkalinity enhancement con ph equilibrato. Si tratta di un sistema che si basa sull’industrializzazione monitorata del ciclo geologico del carbonio. Inverte il processo di acidificazione dell’oceano, trasformando la CO2 in bicarbonato di calcio con un controllo del pH, riducendo così la CO2 nell’atmosfera e contribuendo alla salvaguardia degli oceani. Il processo è uno degli unici al mondo che permette la permanenza del carbonio all’interno dell’oceano in forma stabile per decine di migliaia di anni. Inoltre, l’iniezione dei bicarbonati in mare permette di fermare la diminuzione del pH grazie all’effetto tampone dell’alcalinità introdotta dovuta alle elevate concentrazioni di CO2. Abbiamo un potenziale di stoccaggio estremamente elevato, nell’ordine delle centinaia di gigatonnellate, grazie all’utilizzo di materie prime facilmente reperibili in quasi ogni luogo del mondo. Il carbonato di calcio rappresenta il 7% della crosta terrestre.

Lo studio di tecnologie riguardanti l’ocean alkalinity enhancement sta avendo una crescita esponenziale negli ultimi anni. Infatti si sta scoprendo come, in modo semplice e veloce, è possibile andare a stoccare permanentemente la CO2 in fondo al mare, contrastando non solo l’aumento di CO2 in atmosfera ma anche riducendo l’acidificazione dei mari stessa dovuta a questo gas climalterante.

Limenet che società benefit ha brevettato una tecnologia innovativa per rimuovere e stoccare in modo permanente, un periodo superiore a 10 mila anni, l’anidride carbonica immagazzinandola in mare in forma di bicarbonati di calcio in acqua marina, è fondata da Stefano Cappello (CEO), ingegnere e ricercatore, insieme a Giovanni Cappello (CTO) ed Enrico Noseda, già co-fondatore di startup come HLPY e chief innovation advisor di Cariplo Factory. (Foto di Cristian Palmer su Unsplash )

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