Marco Bicocchi Pichi è il business angel italiano dell’anno

Pubblicato il 17 Giu 2014

Ieri 16 giugno nel corso della XV Convention Iban (Italian Business Angel Network) è stato assegnato il Premio Nazionale Bay (Business Angel of the Year)  istituito dall’associazione e giunto alla terza edizione.  Assegnati anche il Premio Club Investing of The Year (CIY) a SAMBA e il  Premio Corporate Venturing a Gruppo Pozzoni per l’investimento in Memeoirs.

Quest’anno il business angel dell’anno è Marco Bicocchi Pichi, 53 anni, torinese trapiantato in Maremma, sposato e padre di tre figli,  imprenditore, consulente manageriale, business angel da diversi anni, oltre nove investimenti in startup all’attivo.

Il suo LinkedIn è tra i più trasparenti che si possano trovare nell’ambiente “angel” italiani e riporta, oltre le sue competenze, tutti i suoi investimenti, un dato non scontato perchè come egli stesso racconta nell’intervista, nell’angel investing italiano grava ancora una certa reticenza a esporsi, a dire che si è investititori.

Marco è un vero entusiasta del mondo startup : partecipa moltissimo agli eventi dell’ecosistema, è membro del direttivo di Italia Startup, è socio Iban, è stato socio IAG fino allo scorso anno, è attivissimo nelle community online di riferimento.

Gli abbiamo fatto qualche domanda per conoscerlo meglio.

Marco, sei sorpreso del premio o te l’aspettavi?

Il premio prevedeva di candidarsi e condividere le informazioni riguardo alla propria attività complessiva di business angel, e quindi avevo qualche aspettativa. Naturalmente non conoscevo chi erano i miei colleghi candidati e quindi non potevo valutare le mie possibilità a priori. Sono però molto lieto dell’esito.

Come si diventa business angel dell’anno? c’è un investimento in particolare che ha influito? quali sono le migliori caratteristiche che deve avere un business angel?

Il regolamento  prevedeva di presentare una operazione e quella che ho voluto presentare è stata WIB Warehouse in a Box. Le caratteristiche di un buon BA non sta a me valutarle, ma credo che per poter affrontare con serenità questa attività occorra avere un sincero interesse per l’imprenditorialità e l’innovazione ed una ragionata propensione al rischio. Penso che sia poi utile avere esperienza di business possibilmente internazionale, mantenersi aggiornati e studiare continuamente. Credo che sia “serious business” ed anche se l’attività può essere svolta part-time richieda l’approccio professionale di un lavoro e non l’atteggiamento dell’hobbista.

Tu sei un angel investor appassionato da tanti anni, come giudichi i dati dell’ultima Survey Iban, forse un pò deludenti, e cosa serve secondo te per dare slancio e supporto al ruolo dell’angel investor nell’ecosistema dell’innovazione?

La domanda apre un fronte complesso che va dalle difficoltà di misurazione, alla possibile reticenza a condividere i dati per timore di attirare su di sé l’attenzione, per poi passare da queste alla sostanza del numero e valore degli investimenti. Il primo problema rimane quello culturale, ovvero la diffusione della cultura dell’investimento e dell’impresa. Il secondo elemento, che è un frutto anche politico del primo, è quello delle condizioni fiscali. Un fortissimo incentivo fiscale all’investimento in startup porterebbe ad un abbassamento sostanziale del rischio e quindi alla disponibilità ad investire. La logica è quella dell’efficienza nella distribuzione del capitale. Gli strumenti di politica industriale gestiti attraverso la fiscalità generale hanno lo svantaggio di essere soggetti al costo di raccolta ed erogazione ed all’allocazione dei fondi burocratica e non di mercato.

In quante startup hai investito fino a oggi e qual’è stata quella cui ti sei maggiormente affezionato o che ti ha dato soddisfazione?

Ho investito fino ad ora in nove startup come angel ed in altre sette con piccolissimi investimenti di crowdfunding equity. Sono affezionato a tutte a causa dei fondatori a cui ho scelto di dare fiducia, ma soprattutto voglio bene e credo nelle mie tre perle del sud : WIB di Palermo, Condomani di Rende e Bologna, Nextome di Rutigliano. Un caso a parte è Biogenera una società biotech di Bologna che lavora sulla cura dei tumori pediatrici: in questo caso oltre alla stima per il fondatore mi ha mosso da papà di tre bimbi la motivazione della causa; non un semplice investimento ma un obiettivo umano.

Cosa diresti a chi si vuole avvicinare al mondo dell’angel investing?

Dico di avvicinarsi con curiosità, voglia di capire e di imparare, di abbracciare la cultura della collaborazione e del fallimento. Io credo lo spirito giusto sia quello del socio e non solo del finanziatore investitore. Si possono anche considerare le startup come un’asset class ma in quel caso a mio avviso è più sensato investire in un fondo di fondi od in un fondo al fine della diversificazione e lasciar fare ai professionisti. L’angel investing è una occasione di creare impresa ed è una avventura bellissima. Solo creare una famiglia è più bello per me, ma con le startup si crea in fondo una parentela: i miei soci spesso sono venuti a casa mia, ed abbiamo diviso la tavola con i miei figli ed anche mia moglie ha partecipato con suo capitale da angel a due investimenti.

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