Nuovi equilibri, nuove opportunità

Pubblicato il 01 Mar 2021

C’è l’equilibrio tra il virtuale e il reale, tra gli incontri e i video-incontri, tra la presenza fisica e la presenza digitale, un equilibrio che ora è fortemente sbilanciato a favore dei bit ma che anche quando l’emergenza e i lockdown finiranno continuerà a esistere anche se con uno scostamento un po’ più spostato verso la nostra parte atomica. Una sorta di ibrido che ci permetterà di trarre il più possibile dei vantaggi offerti dai due mondi come per esempio avere tanti partecipanti a un evento, alcuni fisicamente presenti e molti, molti di più di quanto uno spazio tridimensionale potrebbe accogliere, digitalmente presenti, o come avere la partecipazione in remoto di relatori che altrimenti non avrebbero partecipato al nostro evento per questioni logistiche o di tempo, o anche la possibilità di organizzare un numero maggiore di incontri in una giornata. Questa ibridazione ci permetterà di rendere più efficace la scuola che paradossalmente proprio a seguito dell’emergenza sanitaria ha vissuto, benché forzatamente, il suo momento di innovazione più profondo degli ultimi decenni, una spinta innovativa che andrebbe ulteriormente sviluppata applicando formule di insegnamento nuove capaci di sfruttare al meglio l’altrettanto nuovo equilibrio tra sfera digitale e sfera fisica sfruttando meglio le diverse opportunità e stabilendo nuovi valori relazionali tra chi impara e chi insegna dando maggior peso al ruolo di educatore accanto a quello di formatore. E poi ancora l’opportunità di limitare il tempo trascorso nelle attività di commuting contribuendo così a mantenere viva la tendenza che porta alla riduzione di traffico e inquinamento nelle città senza dimenticare però che anche gli strumenti digitali generano impatto ambientale (come bene illustra questo articolo di greenXtech) .

C’è poi l’equilibrio tra le libertà personali e la sicurezza collettiva, tra la privacy e l’ingerenza di governi e istituzioni. È facile scivolare nel rischio di un controllo eccessivo con la scusa della protezione della salute e della incolumità. Può succedere nel caso di ogni tipo di minaccia contro la collettività che sia un virus o una serie di attacchi terroristici, e il rischio maggiore qui è la cessione delle libertà individuali a fronte della promessa di una maggiore protezione e sicurezza. Un rischio molto concreto che può avere derive ancor più spiacevoli della diffusione di una malattia o del rischio di restare vittima di attentati, derive che possono sconfinare in totalitarismi, nella contrazione dei diritti democratici, nella limitazione della libertà di parole, di stampa, di movimento, di riunione. È già successo, sappiamo che è possibile, pertanto le libertà personali vanno difese a ogni costo ed è in tale direzione che in questo caso l’equilibrio deve pendere. Qui entrano in gioco anche dinamiche specifiche come per esempio il trattamento dei dati sanitari che rischiano di diventare sistema di controllo nonché merce di scambio e benché i dati sanitari costituiscano una potenziale arma contro la diffusione del covid, la gestione centralizzata degli stessi potrebbe diventare una minaccia, ecco perché in questo caso sarebbe auspicabile una minore integrazione tra i sistemi anche se ciò comporterebbe un po’ di perdita di efficienza come spiega bene Yuval Noah Harari che molti conosco come autore di Sapiens e Homo Deus, in questo editoriale che ha scritto per il Financial Times dove tra l’altro mette in guardia anche contro il rischio di una crisi globale a seguito di un attacco informatico che potrebbe rivelarsi devastante quanto un virus come il Sars-Cov-2. Anche gli equilibri geografici ne escono rivoluzionati: le città non perderanno il loro ruolo di hub sociali ed economici ma dovranno ripensare se stesse perché fenomeni come il nomadismo digitale (di cui scrivevamo su Startupbusiness già nel 2015) sono destinati a crescere in modo esponenziale, più sarà possibile lavorare senza presidiare un luogo fisico predefinito (ove possibile naturalmente), più le persone andranno alla ricerca di luoghi dove la qualità della vita è maggiore. La grande fuga dalla Silicon Valley è l’esempio oggi più lampante di questa tendenza come riporta il New York Times. Anche qui un nuovo equilibrio tra i centri urbani e la qualità della vita, il ripopolamento di aree fino a ieri considerate marginali e il rinnovamento dei tessuti urbani che non possono certo diventare un aggregato di quartieri con servizi iperlocali ma devono sviluppare reti di collegamenti altamente efficienti e ramificate con i territori che le circondano conservando il ruolo di centri di servizio e aggregazione tenendo presente che i flussi non saranno più sistematici ma diverranno variabili e flessibili (i numeri di questa tendenza li rileva Il sole 24 Ore in questa analisi ).

Nuovo equilibrio anche per il turismo e per i viaggi che diverranno più ponderati: i viaggi d’affari in giornata tra una città e l’altra difficilmente torneranno ai livelli prepandemici così come i weekend low-cost mordi e fuggi altrettanto improbabilmente riguadagneranno la popolarità che avevano; piuttosto si configureranno viaggi più lunghi per le vacanze anche per consentire più efficaci controlli sanitari e trasferte che coniugheranno lavoro con turismo, per esempio quelli che una volta erano in weekend mordi e fuggi diverranno weekend lunghi grazie al fatto che le persone potranno lavorare da remoto e quindi spostarsi con maggiore flessibilità, tranquillità e comodità anche quando desidereranno trascorrere qualche giorno in un luogo diverso, gli alberghi e le strutture per l’ospitalità si doteranno di infrastrutture per rendere il lavoro da remoto efficiente per i loro ospiti e li proporranno con pacchetti di servizi integrati che comprenderanno sia le attività di svago sia il supporto al remote working. Sarà tutta questione di nuovi equilibri che diverranno permanenti perché il rischio di una nuova variante o di un nuovo virus è conclamato e certe dinamiche, modelli organizzativi, strutture e modalità ibride fisico-digitali continueranno a fare parte della quotidianità anche quando, e si spera ciò accada presto, i lockdown saranno finiti, la popolazione sarà vaccinata per la gran parte in tutto il mondo e le relazioni sociali saranno ripristinate. Non sarà un periodo semplice perché risolta la crisi sanitaria emergeranno in modo dirompente tutti gli altri problemi fino a ora oscurati dalla necessità di fare ammalare e morire meno persone possibili, tante saranno le sfide, ma di certo dovremmo affrontarle senza cedere sui principi democratici e sulle libertà personali, senza cedere sull’importanza sempre maggiore verso la tutela dell’ambiente e di modelli sociali capaci di essere sempre più intelligenti e inclusivi, tutte cose che dovranno avvenire non per imposizione ma diventare parte di una nuova mentalità, un mindset-shift, che dovrà valere per tutti.

La domanda da farsi è: costituisce tutto ciò una opportunità per chi fa innovazione? È questo nuovo scenario che si va formando terreno potenzialmente fertile per chi ha buone idee e le capacità, oltre che la volontà, per trasformarle in qualcosa, che siano beni, servizi, tecnologie, capace di contribuire ulteriormente a questo processo? La risposta è quasi scontata ma è bene ricordare che risiede nella capacità di innovatori e imprenditori che fanno innovazione di cogliere i cambiamenti e trasformarli in opportunità come abbiamo già visto con la capacità di reazione all’inizio della crisi sanitaria globale (creando il neologismo coviding di cui abbiamo scritto qui ) e come continuiamo a vedere ogni giorno, la differenza è che oggi il processo di cambiamento paradigmatico ha subito una decisa accelerazione, che le rendite di posizione sono sempre meno conservabili e che quindi anche gli ostacoli, gli attriti, i freni che un tempo venivano posti da chi l’innovazione la teme, oggi sono sempre meno rilevanti e il mondo ha sempre più desiderio, necessità e fame di innovazione (come scrivemmo anche in questo articolo pubblicato da The Good in Town).

@emilabirascid

Photo by Octavian Rosca on Unsplash

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