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Osservatorio idrogeno, a che punto siamo in Italia

H2IT – Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile presenta un’indagine che coglie lo stato dell’arte della filiera dell’idrogeno nel nostro Paese. Investimenti in crescita, mancano incentivi, norme e competenze

Pubblicato il 11 Nov 2022

Nell’energy mix decarbonizzato europeo c’è anche l’idrogeno, l’idrogeno verde. L’Europa intende diventare il primo continente a zero emissioni entro il 2050, un obiettivo ambizioso reso più difficile e anche più urgente dalla guerra in Ucraina. Un obiettivo che riguarda il comparto energetico primariamente e a cui sono stati destinati anche parecchi finanziamenti del PNRR.

A che punto siamo ora? Qual è lo stato dell’arte del settore? A dare una risposta ci ha pensato  H2IT – Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile, un osservatorio che in collaborazione con la Direzione Studi e Ricerche e l’Innovation Center di Intesa Sanpaolo, ha presentato nei giorni scorsi a Key Energy, la fiera di riferimento per il mercato delle energie rinnovabili all’interno di Ecomondo, il report: l’Osservatorio H2IT: I numeri sul comparto idrogeno italiano.

L’analisi è un’anteprima dei risultati dell’Osservatorio sulle imprese associate ad H2IT (grandi, medie e piccole imprese, start-up) che rappresentano tutta la catena del valore dell’idrogeno dalla produzione fino agli usi finali.

Il primo dato interessante è che si tratta di un settore in crescita ma ancora poco sviluppato ed unico nel panorama manifatturiero nazionale per la forte presenza di alleanze di tipo industriale: per oltre il 70% delle aziende del campione, l’innovazione in ambito idrogeno nasce dalla collaborazione con altre aziende, fattore che lo rende quindi terreno fertile per l’open innovation.

La sensibilità dei legislatori europei ed italiani e dell’opinione pubblica nei confronti dell’idrogeno non è mai stata così alta – ha dichiarato Alberto Dossi, Presidente di H2IT, in una nota stampa. La crisi energetica sta spingendo i Paesi del Vecchio Continente, Italia compresa, a cercare alternative all’approvvigionamento classico, e si iniziano a vedere i primi risultati. La filiera, costituita sia da realtà affermate che giovani, è molto consapevole: nel nostro mercato si creano sempre nuove collaborazioni e alleanze finalizzate alla creazione di tecnologia e innovazione.”

E’ un settore che senz’altro richiede ancora ingenti investimenti in un contesto che presenta anche diversi elementi di rischio: ci sono sfide tecnologiche, poco supporto pubblico (sia nazionale che europeo) nonostante i grandi annunci e i piani strategici; una filera attualmente ancora frammentata; infrastrutture tutte da sviluppare; mancanza di corretta informazione e, soprattutto, di un quadro normativo e regolatorio di riferimento chiaro.

Lo studio mette in evidenza che il 70% delle imprese della filiera dell’idrogeno ha al suo interno un’area R&D dedicata esclusivamente all’idrogeno ed il 7% ha comunque intenzione di strutturarsi in tal senso. Proprio per questo motivo gli investimenti sono fondamentali e andranno aumentando ( il 67%  degli intervistati chiuderà il 2022 con un aumento degli investimenti rispetto al 2021), ma il desiderio e l’esigenza di poter contare anche su un supporto pubblico è elevato: attualmente è marginale il peso dei fondi pubblici, sia europei (13%) che nazionali e regionali (10%), utilizzati maggiormente dalle aziende più piccole che hanno un minore accesso al capitale privato (banche e fondi). La partecipazione a bandi pubblici è elevata, sia nel caso di bandi europei (60% delle imprese) sia nel caso di bandi nazionali (72%). In termini di fatturato, il 62 % delle aziende si aspetta una crescita a fine 2022 rispetto al 2021.

La crisi energetica, aumento dei prezzi delle materie prime e scenario geopolitico non hanno fermato lo sviluppo del comparto idrogeno: per la metà del campione, il contesto geopolitico attuale è stato ininfluente, per altri ha addirittura generato opportunità e sta quindi accelerando gli investimenti. L’accelerazione che l’attuale contesto economico e geopolitico sta dando alla transizione energetica può quindi beneficiare la crescita del settore.

Sotto il profilo dell’occupazione, le imprese stanno attualmente riscontrando difficoltà nel trovare figure specializzate sia a livello tecnico operativo che progettuale: il 66% dei profili ricercati sarebbe di difficile reperimento, con punte del 77 % per i tecnici specializzati. Inoltre, si sente l’esigenza di inserire anche figure di project management, per via della complessità nella gestione di progetto molto articolati. Si spera che anche in questa direzione si possa vedere iniziative a supporto di tali figure professionali e si vada nella direzione indicata dall’ENEA nel 2021 l’Enea quando affermava che il mercato dell’idrogeno solo per l’Italia avrebbe potuto generare dai 300 ai 500 mila posti di lavoro in più entro il 2050.

I gap nello sviluppo dell’idrogeno: competenze e normative

Manco un quadro normativo chiaro secondo il 79% delle aziende, che insieme all’incertezza di una domanda di mercato non ancora definita (69%) frena investimenti, piani e strategie. Circa la metà teme, inoltre, che la generazione da rinnovabili sarà insufficiente per la produzione dell’idrogeno verde, ed è ancora elevata la quota di aziende (50%) che ritiene troppo elevati i costi delle tecnologie. A questo si aggiunge che gli obiettivi di Repower EU di produzione a livello europeo di 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde nel 2030 vengono ritenuti raggiungibili solo con forti interventi di policy (secondo l’83%).

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“Se sostenuto nella maniera adeguata, da qui al 2030 l’idrogeno darà un contributo fondamentale per decarbonizzare molti settori, come i trasporti e quelli hard-to-abate, sui quali si è concentrata la maggior parte dei fondi per l’idrogeno del PNRR. – continua Alberto Dossi. Per realizzare il sogno di un’Italia e un’Europa a emissioni zero, serve puntare anche su un vettore unico come l’idrogeno, specialmente su quello verde, prodotto da energie rinnovabili e sicuro protagonista del mix energetico del futuro. Dalla sua nascita, H2IT cerca di stimolare la collaborazione e dare una voce unica alla filiera anche in sede politica, per questo chiediamo alle istituzioni un ulteriore sforzo su strumenti incentivanti e interventi legislativi semplificativi, specialmente a fronte degli investimenti privati degli ultimi anni.”

“In uno scenario altamente complesso e incerto, soprattutto sul versante energetico, è necessario accelerare sul piano della transizione energetica – hanno dichiarato Letizia Borgomeo e Anna Maria Moressa, economiste della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, che hanno curato l’analisi. “L’idrogeno avrà un ruolo importante in questo senso, e non a caso, quasi il 40% delle imprese intervistate segnala come nell’attuale contesto si stiano creando nuove opportunità di business, ampliando i propri investimenti. La presenza in Italia di una filiera completa e competitiva come quella che emerge da questa prima analisi è un punto di partenza importante: sarà cruciale nei prossimi anni affiancare gli investimenti delle imprese con adeguati interventi normativi e di policy che rendano più chiare le strategie nazionali di sviluppo del settore e, soprattutto, formino quelle figure professionali che le imprese stentano a trovare: oltre due terzi delle imprese dichiara di faticare a trovare tecnici specializzati. L’idrogeno, insieme a tutte le altre tecnologie necessarie alla decarbonizzazione e alla transizione energetica, può offrire significative opportunità di crescita al tessuto manifatturiero italiano; è importante esserne consapevoli ed agire di conseguenza come sistema paese per evitare di sprecare questa occasione”.

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