Proprietà intellettuale, al Nord l’80% dei brevetti italiani

Le domande di brevetto sono in crescita, ma ancora assurdamente in crescita rispetto all’estero. Manca la cultura della tutela e un ecosistema adeguato

Pubblicato il 06 Apr 2017

Cina, 1 milione e 100mila depositi di brevetto, secondo il WIPO (nel 2015), Stati Uniti 589mila, Giappone 318mila, Corea del sud 213mila e Germania 67mila. Italia quasi 10mila domande di brevetto nel 2016, siamo molto indietro, ma c’è una nota positiva, il trend è di crescita, infatti si è registrato un +7,5% rispetto all’anno precedente. 

Davide Petraz (a sinistra) e Daniele Petraz (a destra) titolari dello studio GLP

“Siamo comunque ancora a – 11% rispetto ai dati del 2006. Ciò dimostra quanta strada dobbiamo ancora percorrere in Italia nella comprensione dell’importanza della proprietà intellettuale e, conseguentemente, del deposito di brevetti, marchi e modelli – spiegano Davide e Daniele Petraz, titolari di GLP, studio che da 50 anni opera nel campo della tutela della proprietà intellettuale – In Italia quasi l’80% di brevetti, marchi e modelli sono depositati da aziende attive nelle regioni del Nord, mentre purtroppo a Sud la tutela della proprietà intellettuale è davvero poco praticata. Eccezione è il Lazio perché tante grandi aziende hanno una sede legale a Roma”.

L’Italia ha da tempo un problema con i brevetti. Per anni la richiesta di nuovi patent presso l’European Patent Office (Epo), l’agenzia europea che gestisce, riconosce e tutela i brevetti industriali in Europa, ha sperimentato un trend negativo, che si è invertito solo l’anno scorso con le domande cresciute del 3,1%. Il nostro Paese resta comunque all’undicesimo posto in Europa per domande di brevetti, un dato non certo incoraggiante perché brevettare significa avere alle spalle centri di tecnologia e innovazione in grado di sviluppare competitività e occupazione sul territorio nel quale operano.

La scarsa propensione alla tutela intellettuale non dipende tuttavia da una bassa capacità inventiva, quanto dal fatto che “l’industria italiana non ha la cultura della protezione del proprio sapere tecnologico, sia esso tecnico o commerciale”, proseguono i titolari di GLP. “Ciò fa sì che le innovazioni, sia a livello di invenzione, di utilità o estetiche non vengano valutate compiutamente e non si proceda alla loro protezione, da un lato ignorando o sottovalutando i rischi di una mancata tutela, dall’altro non comprendendo i vantaggi diretti ed indiretti che una politica di tutela comporterebbe”.

La questione culturale emerge anche dall’approccio che le aziende hanno verso la tutela della proprietà intellettuale. “In Italia questa tutela si applica quasi solo a prodotti che garantiscono già una redditività. I nostri imprenditori solo raramente ragionano sulla gestione della proprietà industriale in termini finanziari ed economici. Mentre approcciarsi alla tutela della proprietà intellettuale è un modo di gestire razionalmente la propria azienda con una programmazione di medio lungo periodo”. Sottolineano i fratelli Petraz: “L’ICC (la Camera di Commercio Internazionale) nell’Intellectual Property: Powerhouse for Innovation and Economic Growth 2011 ha confermato che – a parità di condizioni – un’invenzione brevettata ha un valore economico doppio rispetto ad una non brevettata. Inoltre, Epo ed Euipo, i due principali enti europei che si occupano di brevetti e proprietà intellettuale, hanno determinato che in Europa il 42% dell’attività economica è generata da industrie ad alta densità di attività intellettuale”. Come dire, innovare è importante, ma difendere la propria innovazione è fondamentale per chi vuole crescere.

Ricordiamo che in Italia, proprio come misura per invertire il trend brevettuale negativo è stato introdotto il cosiddetto patent box.

Ispirato a soluzioni già adottate da altri Paesi europei quali Lussemburgo, Olanda, Belgio, Gran Bretagna e Francia, che lo utilizzano per attrarre investimenti, il provvedimento italiano prevede di poter dedurre da Ires e Irpef il 30% del reddito derivante dallo sfruttamento commerciale dei beni immateriali nel 2015, il 40% nel 2016 e il 50% a partire dal 2017. L’opzione, valida per cinque anni, è irrevocabile e rinnovabile. Gli sgravi fiscali riguardano i redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, di marchi, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili. Per i primi due periodi di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’opzione deve essere comunicata all’agenzia delle Entrate utilizzando questo modello. A partire dal terzo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’opzione deve essere invece comunicata nella dichiarazione dei redditi e decorre dal periodo d’imposta al quale la stessa dichiarazione si riferisce.

In ambito startup il tema della proprietà intellettuale e della sua tutela si pone con sue caratteristiche e assume particolare importanza, anche ai fini della ricerca di investitori, in ambiti quali il biotech, il medicale, l’hardware. La brevettabilità del software è soggetta a determinate restrizioni.

Leggi anche “Startup e proprietà intellettuale, la protezione del marchio online”.

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