Quando si scrive di startup il futuro è più bello del presente

Perché ai giornalisti piace tanto parlare degli investimenti e meno dei fatturati delle startup? In questo editoriale il direttore Emil Abirascid ce lo spiega

Pubblicato il 14 Dic 2018

Qualche settimana fa sono stato a trovare le startup del programma Startupbootcamp Foodtech magistralmente diretto da Peter Kruger a Roma e che quest’anno ha visto il suo atto finale, il demo day, ospitato da StationF a Parigi.

Il tema dell’incontro verteva sulla media strategy, cioè come le startup possono e devono relazionarsi con i media, quali sono gli accorgimenti da avere, per esempio potrebbe essere un errore far parlare dei propri prodotti e servizi quando essi ancora non sono disponibili sul mercato; oppure, farsi conoscere dalla stampa anche se ancora non si hanno risorse sufficienti per avere una persona dedicata a questa attività o per ingaggiare un’agenzia specializzata. E ancora quali sono i temi che maggiormente possono essere di interesse; l’importanza di concentrarsi su pochi concetti, quelli che si desidera fare maggiormente passare; fare leva su fatti di attualità sia endogeni alla startup sia esogeni che quindi, per esempio, riguardano il settore industriale in cui essa opera. Nel caso specifico il settore dell’agro-food in tutte le sue declinazioni come quelle che per esempio applicano alcune delle startup che hanno partecipato al programma di quest’anno: Eco Pack con il suo sistema di involucro biodegradabile basato su fibre vegetali, Hot Box che ha messo a punto in sistema per mantenere caldo il cibo che viene recapitato dalle società di delivery, Farm-r che ha sviluppato una piattaforma che consente ai contadini di noleggiare a vicenda macchinari per la lavorazione della terra, Authenticook che consente di sperimentare la cucina casalinga di tutto il mondo, direttamente a casa delle persone (qui maggiori informazioni) .

Ma torniamo al rapporto tra media e startup perché ultimamente è giunto un altro spunto, questa volta dal palco di Slush, l’evento europeo delle startup per eccellenza che si svolge ogni anno a Helsinki, quest’anno il 4  e 5 dicembre (e poi anche a Tokyo, Shanghai e Singapore da quando i fondatori hanno bene compreso che l’Asia è il mercato in maggiore espansione), palco dal quale è stata anche presentata l’edizione 2018 the rapporto di Atomico The State of European Tech. In particolare un tweet di Slush ha attirato l’attenzione e in quel tweet si riprende il commento di Mikael Thuneberg, fondatore di Supermetrics, startup finlandese che opera nel marketing, il quale ha dichiarato : “in Finland you need to raise money to get media visibility. No one cares if you make a million as a revenue, only big investments draw the attention of the media” (in Finlandia devi raccogliere soldi per ottenere visibilità sui media. A nessuno importa se fai un milione in fatturato, solo i grandi investimenti attirano l’attenzione dei media, ndr.)

Osservazione che a prima vista può apparire un po’ banale soprattutto a chi conosce il mondo delle startup che si nutre proprio di deal, investimenti, round, ma che è invece sintomatica di come anche quando si guarda alla portata mediatica del mondo delle startup vi è anche qui, come un molti altri aspetti della filosofia imprenditoriale di nuova generazione, un cambiamento di paradigma e di mentalità.

Perché per la stampa e quindi, si suppone, per i lettori è più importante conoscere quando una startup riceve un investimento piuttosto che conoscere il fatturato che genera? E perché ciò è più importante anche per la startup stessa? Intendiamoci, i valori di fatturato sono e restano importanti ed è sempre bene che siano valori positivi e che la startup sia in grado di mostrarli per fare comprendere come la sua capacità di stare sul mercato sia solida e in crescita. Ma il fatturato è il dato del presente, è il valore che misura la startup oggi e semmai a un anno da oggi volendo lanciarsi in previsioni di fatturato, mentre l’investimento è il metro che misura le potenzialità della startup nel medio e lungo termine. Ciò perché se c’è un investitore, che si suppone sappia fare il mestiere dell’investitore e quindi decida di mettere i soldi dove essi posso avere il maggiore ritorno possibile, che decide di investire in una startup ciò si traduce non solo nell’iniezione di capitali che consentiranno alla startup di crescere a maggiore velocità rispetto a quella che potrebbe sostenere col solo fatturato, e quindi di conquistare nuovi mercati e di assumere persone eccetera, ma anche nella validazione del valore della startup stessa proiettato nel futuro, ovvero nella sua potenziale capacità di svilupparsi in modo esponenziale.

Ecco perché ai media piace di più parlare di investimenti che di fatturati, perché i fatturati sono ‘statici’ rappresentano il valore dello stato delle cose, mentre gli investimenti sono ‘dinamici’, sono la valorizzazione della promessa. Ha quindi ragione Thuneberg a osservare questo fenomeno, ma è anche importante capire perché esso si manifesta, e sapere che è più divertente scrivere del futuro che del presente quando si parla di startup, aiuta a spiegarlo.

@emilabirascid

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