Ritratto dell’imprenditore nuovo presidente di Italia Startup

Angelo Coletta è il presidente di Italia Startup, un imprenditore innovativo in grado di rappresentare la voce e le esigenze dell’imprenditoria innovativa italiana

Pubblicato il 03 Ago 2018

Si chiama Angelo Coletta e dallo scorso giugno è il nuovo presidente di Italia Startup, l’associazione no-profit che con oltre 2600 associati rappresenta l’ecosistema delle startup italiane. Lo scorso giugno si è svolta l’Assemblea per il cambio di guardia ai vertici, che ha scelto due brillanti imprenditori entrambi originari del Sud Italia: Angelo Coletta, presidente in carica per il triennio 2018-2021 (succede a Marco Bicocchi Pichi), ha fondato 5 startup e realizzato 2 exit,  e Giovanni De Lisi, vice presidente, founder di Green Rail, startup che fa traverse ferroviarie ecosostenibili.

Qui di seguito un ritratto del presidente Angelo Coletta realizzato dal direttore di EconomyUp Giovanni Iozzia.

«A 14 anni, per il mio compleanno, sono andato a lavorare in un bar perché volevo essere indipendente. All’Università ho fondato un’associazione degli studenti con una sua autonomia finanziaria. Ho sempre fatto l’imprenditore e l’idea di dipendere da qualcuno non mi è mai passata per la testa». Angelo Coletta dal 28 giugno è il presidente di Italia Startup e la sua storia corrisponde al profilo che l’associazione cercava per attraversare con successo il triennio 18-21: un imprenditore in grado di rappresentare la voce e le esigenze dell’imprenditoria innovativa italiana. Chi è Angelo Coletta oltre le poche note biografiche che si trovano on line? Me lo sono chiesto subito, con grande curiosità, anche come componente del Consiglio Direttivo di Italia Startup, dove siedo in rappresentanza del gruppo Digital360. Da quella domanda è nata una lunga conversazione che mi ha lasciato con qualche idea in più sul Presidente. E con un ritratto in molte parti inedito.

Angelo Coletta, lo startupper

Angelo Coletta ha 47 anni, è nato a Conversano, provincia di Bari e non ha mai abbandonato la Puglia: adesso vive e lavora fra Foggia, Roma e Milano. Ha una laurea in Economia a Bari dove colloca la sua prima “startup”, diciamo ante litteram: Area Nuova, l’associazione degli studenti dell’Università. Eravamo a cavallo fra anni Ottanta e Novanta. «Ero anche nel Cda dell’Ateneo, in rappresentanza degli studenti e li ho cominciato a capire come funziona un’azienda grande e complicata come può essere un’università. Per me è stata un’esperienza formativa unica ed entusiasmante».

Il digitale è nel suo destino. Finisce gli studi mentre sta per esplodere la New Economy di fine secolo scorso. Vince una Borsa di studio del G8, gestita in Italia da Enea. Tema: Internet come strumento strategico nell’era dell’iper competizione. Sembrava fantascienza allora, visto che sul web c’erano solo CNR, Fiat, Enea. «E il sito del governo era under construction», ricorda Coletta che ha cercato quella tesi tante volte ma non l’ha mai ritrovata. «Analizzavamo allora quali industrie sarebbero cambiate per effetto di Internet. Era come anticipare Amazon, Booking. Pura immaginazione in quegli anni…». Enea lo mette di fronte a una scelta: vuoi essere assunto, visto che il progetto agroweb viene finanziato dalla Comunità Europea? «Solo l’idea mi innervosiva…Avevo un’indole particolare, ho sempre fatto tutto con soldi guadagnati da me, forse c’era anche un pizzico di presunzione. Così proposi di trasformare la proposta “oscena” in una consulenza con Enea ed ebbi così la scusa per creare la mia prima società». Nonostante la famiglia la pensasse diversamente. «Sempre stata contraria al fatto che io facessi l’imprenditore. Mai prestato una lira per cominciare, neanche una fideiussione». Ma forse sono queste le difficoltà e le resistenze, più frequenti al Sud, che fortificano e preparano a sfide più grandi.

La exit di BookingShow
Per circa otto anni Angelo Coletta fa il giovane innovatore al servizio delle Pmi, le aiuta a comprendere l’impatto di internet sui processi di marketing e di gestione. Diventa socio di un system integrator e di una società di comunicazione, ma dopo i 30 la consulenza comincia a stargli stretta: «Davo consigli, mi pagavano certo ma poi le aziende facevano quello che volevano. E soprattutto il business non era scalabile. Comincio, quindi, a domandarmi: in quale prodotto posso mettere la mia intelligenza e le competenze mie e del team?». Coletta punta sul mercato dei ticket on line: «Nel 2005 fondai BookingShow in un mercato già complesso e con player importanti, forse trascinato dall’antica passione per le discoteche e gli spettacoli», ricorda con un sorriso. Gli è andata bene: nel 2017 ha fatto la sua bella exit con un gruppo internazionale. Lo considera giustamente il suo successo: «Partire da Foggia, che non è certo il centro del business, e diventare il terzo player nazionale combattendo con colossi che hanno superiori capacità finanziarie non era scontato. Vuol dire che siamo stati molti bravi. Soprattutto a trasformare le debolezze in punti di forza. Le piattaforme software molto complesse, come quelle del ticketing, richiedono grandi investimenti che però necessitano di un team stabile per non finire dispersi. Io ho creato un team di persone molto affiatate, che sono rimaste insieme oltre 10 anni e che con risorse finanziarie ridotte rispetto ai concorrenti sono riuscite a realizzare un software superiore agli standard di mercato. Sono stati collaboratori straordinari».

Dopo la exit, nuove imprese
Coletta, però, non sembra il tipo che si accontenta di poco o di una cosa alla volta. Ha lanciato una piattaforma per la gestione di siti ecommerce (UpCommerce), una società per la gestione degli spazi pubblicitari a Frosinone (Promo); ha comprato startup a Milano (18Months, che ha sviluppato una piattaforma per il ticketing cinematografico, la seconda in Italia) e ha investito o ha fatto da mentor per startup in Puglia (per esempio Marshmallow Games, app educative per bambini e beecode, referral marketing). Dopo la exit di BookingShow sono due gli investimenti che considera strategici: una catena di ristoranti gourmet in Nord Carolina e Zakeke. «Questo è il progetto su cui sono più impegnato managerialmente: è un layer software che si aggancia alle piattaforme più importanti e permette agli utenti di interagire con il prodotto e di personalizzarlo, in 2D e 3D». Non è facile da spiegare e tantomeno da comprendere e per questo chi vuol capirne di più può vedere come funziona in questo video.

È un mercato con grandissimo potenziale, dice Coletta. lo sviluppo di Zakeke è partito due anni fa. È on line da pochi mesi e ha un migliaio di clienti attivi nel mondo: sono le imprese che propongono i loro prodotti su siti ecommerce. «Il modello di business? Free subscription con percentuale sui prodotti venduti. Abbiamo appena completato un round family e friends da 450mila euro su una valutazione premoney di 2,5 milioni». Coletta è un visionario ma con piedi per terra. Dalle sue esperienze ha imparato a non cadere negli eccessi di entusiasmo. «Ho comprato software e codici che poi non sono serviti e ho capito che potevo fare di più con meno. Ho scoperto che spesso anche il mercato mostra entusiasmo per qualcosa che nessuno ti vuole pagare. Spesso poi,” brutto è bello”». E aggiunge con quella sua carica dove riconosco il calore del Meridione: «Quando ero giovane, ero più narcisista. Volevo essere figo. Adesso faccio le cose che il mercato è disposto a pagare, anche se sono meno fighe ». D’accordo, ma qualche errore l’avrai pure fatto, oltre agli eccessi di entusiamo: «Ho provato a fare ticketing per i trasporti e non sono riuscito. Il software era buono ma ho sottovalutavate le lentezze nel go to market e la complessità delle regole regionali».

Angelo Coletta presidente delle startup
Andiamo adesso al Coletta neopresidente di Italia Startup. «Io vedo il bicchiere molto più mezzo pieno che mezzo vuoto, anche perché molte cose sono cambiate in meglio», dice subito. «Quando ho cominciato io eravamo giovani imprenditori senza soldi, oggi c’è invece un clima positivo attorno alle startup. L’ecosistema è giovane, è vero, ma ormai è sdoganato il concetto che una nuova e piccola impresa possa risolverti un problema con la sua soluzione tecnologica. C’è una valorizzazione delle nuove imprese importante, il principio del premoney ad esempio è ormai accettato. Io non avrei potuto fare Zakeke 15 anni fa…».

A Coletta non piacciono le analisi miopi e soprattutto chi dimentica che altri cicli di innovazione ci sono stati. E avverte: spesso molto di quel che c’è non si vede. «Abbiamo un tessuto di imprese innovative superiore a quello che appare, visto che spessissimo le nostre microimprese inserite in molte delle catene di valore dei distretti più brillanti altro non sono che vecchie startup senza il giusto riconoscimento nel naming. Adesso il vero problema è far arrivare denaro per evitare che le nuove imprese nascano solo dove ci sono filiere che sono in grado di garantirne la sopravvivenza».

Il tema delle filiere è ovviamente legato ai territori e aiuta a capire quel che è accaduto e sta accadendo in Italia. «Siamo un Paese con una fortissima predisposizione a fare startup. Quante imprese nuove sono nate e cresciute all’interno di filiere importanti? Se riusciamo ad aggiungere uno strato di finanza e di managerialità nella fase early stage riusciamo ad andare oltre la filiera, e a scalare». La quantità di nuove e piccole imprese che non si chiamano startup ma che fanno innovazione rende Coletta ottimista. «Abbiamo un enorme potenziale, superiore a quello di altri Paesi che hanno usato la finanza come elemento di attrazione. Noi dobbiamo usarla per non farle andare via. E la nostra finanza è in primis nelle casse delle nostre PMI più talentuose. Bisogna partire da li».

La startup secondo Coletta
Che cosa vede il presidente Coletta nel bicchiere mezzo vuoto? La prima cosa è lo startupper di professione «Non mi piace chi vuole fare impresa solo con i soldi degli altri. Devi prenderti un rischio personale. La mancanza di assunzione del rischio nel lungo periodo potrebbe portarci a finanziare meglio alcune idee vincenti ma potrebbe anche indebolire la capacità italiana “del fare”, generando una classe imprenditoriale totalmente distaccata dal capitale di rischio». C’è poi la questione normativa. «Non viene affrontata con visione di lungo termine e con uno sguardo globale. La politica deve rendersi conto che le startup non sono un vestito alla moda da indossare in qualche occasione speciale, ma un pezzo del futuro del Paese. Qualche unicorno serve poco, è più importante che l’innovazione generata nel Paese riesca a integrarsi con suoi asset industriali». Il vero obiettivo del governo dovrebbe essere duplice: aiutare la crescita e lo sviluppo delle startup da un lato ma favorirne anche le exit sul mercato locale per non consegnare a catene del valore non italiane il talento e la creatività dei nostri imprenditori innovativi. E qui si entra nel capitolo dal titolo open innovation, che contiene anche gli ingredienti venture capital ed exit. «Finche non diventiamo compratori di startup, stiamo alle chiacchiere», sostiene Coletta, che argomenta: «Quando diciamo che mancano i venture capitalist, dimentichiamo di dire che forse non c’è ancora un numero sufficiente di startup per favorire un allocazione statistica efficiente del capitale di rischio. Dobbiamo quindi intervenire sulla popolazione, anche con la finanza che è possibile immettere in maniera forzata. Dovremmo aumentare la defiscalizzazione sugli investimenti di molto, diciamo al 60%, ma per periodo definito, diciamo tre anni, ed indirizzare meglio le risorse dei PIR. Così genereremmo un vero impatto sul mercato e potremmo anche misurarlo».

Venture Capital, exit e open innovation
Ma cosa c’entrano i venture capitalist? «Aumentando le startup che superano la fase seed ci sarebbe più mercato per i vc. che hanno però un altro problema: che senso ha per un Paese investire per costruire startup che poi vengono acquisite da player internazionali?». E qui arriviamo al temone: «Bisogna incentivare il mercato delle exit interne, con benefici fiscali per le imprese che investono in startup o per gli operatori che completano il ciclo in Itali, permettendo di incamerare le perdite anche per le società non quotate. Senza questo mercato, le startup buone vanno a finanziarsi altrove e le perdiamo». Torniamo, quindi, alla questione open innovation e al senso ultimo delle startup: rafforzare il sistema economico del Paese. «Certo l’open innovation è un fattore culturale ma la cultura va sostenuta: nel Nord Europa hanno utilizzato incentivi e disincentivi e adesso è una pratica usuale». E qui viene fuori il Coletta del motto “primum vivere, deinde filosofare”. «Non dimentichiamo che l’imprenditore è un uomo pratico: facciamogli capire l’utilità che può avere attivando relazioni con le startup. Comincerà a farlo e, se ne trarrà vantaggi, non smetterà più e suggerirà anche ai suoi colleghi di fare lo stesso. Questa è la vera cultura».

A questo pragmatismo Angelo Coletta intende improntare il nuovo corso di Italia Startup, che in autunno si concretizzerà in un programma di lavoro. «L’associazione deve essere una knowledge based company al servizio dei suoi associati», anticipa. «E deve essere anche un soggetto che fa lobby, per far capire che le startup sono un asset per la competitività del Paese». È il momento giusto per ricordarlo, visto che in settembre cominceranno le audizioni dell’indagine parlamentare sulle startup chiesta dal deputato CinqueStelle Luca Carabetta. Buon lavoro, Presidente.

Giovanni Iozzia

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