Startup globali, investitori internazionali: Lorenzo Franchini di Iag racconta Berlino

Pubblicato il 09 Nov 2012

Lorenzo Franchini, autore del presente contributo, è uno dei fondatori e attuale Managing Director di Iag, il principale gruppo italiano di business angel. In Iag si occupa in particolare del deal flow, posizione che lo mette in rapporto diretto con il mondo startup italiano e estero (Iag fa investimenti anche in altri Paesi).

Il suo contributo nasce a seguito del recente viaggio “benchmark” realizzato annualmente dai soci Iag e che ha, in questa occasione riguardato la Germania, paese europeo che in questo decisamente è decisamente sulla cresta dell'onda quanto a sistema startup.

Il suo contributo editoriale per il quale lo ringraziamo è a titolo personale.

Cresce con decisione il numero dei giovani imprenditori italiani che hanno deciso di trasferirsi a Berlino o a Londra. Spesso il modello è avere la sede principale, quella dibusiness, all’estero e mantenere lo sviluppo e le componenti più tecnologiche in Italia. Si tratta di persone che hanno capito che per fare una startup innovativa bisogna essere globali dal primo giorno ed essere dove si trova il miglior ecosistema per svilupparla e ciò vale per qualsiasi settore che si basa sull’impiego di tecnologie: dal digitale alla robotica, dal biotech all’energia.

Ogni anno IAG organizza una missione internazionale di benchmarking e quest’anno la meta è stata la Germania dove tra i tanti incontri abbiamo avuto anche quello con l’High Tech Gruntefonds, gestore di fondi pubblici di co-investimento che investono in startup entro un anno dalla fondazione (si tratta di due fondi per un totale di 550 milioni di euro). L’incontro è stato molto positivo e abbiamo iniziato subito a scambiarci deal flow per valutare opportunità di co-investimento. Facendo ciò abbiamo scoperto che una delle startup italiane non digital più interessanti dell’ultimo anno è in due diligence con loro per un co-investimento da due milioni di euro (il nome della startup è ancora riservato, ndr). Del resto per ricevere i loro soldi devi solo aprire un ufficio in Germania e non necessariamente la sede principale.

Il nostro viaggio a Berlino è stato intenso e personalmente un po’ scioccante, un po’ come uno schiaffo, una sveglia, un allarme. Qua fanno veramente sul serio. Un po’ di numeri: nella sola città di Berlino ci sono 25 tra incubatori e co-working space, 1200 startup all’anno vengono fondate e 500 vengono finanziate. Stiamo parlando di numeri che per una sola città sono quasi il doppio dell’Italia intera.

In questo momento Berlino è l’hub europeo per le startup digitali e new media, probabilmente ancor più di Londra. Vengono giovani da tutta Europa, gli emergenti programmatori dell’Europa dell’est, i giovani imprenditori del digitale da tutta l’Europa occidentale da nord a sud. La parola d’ordine in tutte le giovani startup è tenere i costi fissi (il cosiddetto burn rate) più bassi possibili, soprattutto all’inizio quando non si fattura e si sviluppa. A Berlino un appartamento da 60 mq costa in affitto 300 euro al mese e un ufficio da 100mq non più di milleeuro oppure si ha solo l’imbarazzo della scelta per trovare l’incubatore giusto o affittare in modo flessibile una scrivania in uno dei molti coworking space che ci sono.

Ci sono interi quartieri pieni di giovani con la presenza di tutti gli attori della catena del valore: startup, incubatori, operatori corporate, società di servizi e investitori. Tutti i principali fondi europei e ora anche gli americani vengono qui, anche senza un ufficio stabile, passano in città varie giornate al mese, incontrano startup e investono. Un esempio, per citare una delle startup più calde del momento, Soundcloud: fondatori svedesi trasferiti a Berlino e finanziati al primo round dal fondo VC londinese di Doughty Hanson.

Per gli startuppari del resto della Germania e magari in settori non digital “rimangono” gli altri investitori privati nel Paese, i 550 milioni dell’High Tech Grunterfonds e anche i 750 milioni di euro (in tre fondi da 250 milioni di euro ciascuno) a disposizione dellaKfw, banca pubblica, tipo l’italiana Cassa Depositi e Prestiti, che co-investe sui secondi round non come lead investor e fa la sua due diligence non sulla startup target ma sul co-investitore privato. C’è poi il fondo di co-investimento con i business angel (European Angel Fund, cofinanziato dal FEI, il Fondo europeo degli investimenti) che co-investe pari passo con i business angel tedeschi una somma di 70 milioni di euro.

Insomma da quelle parti fanno le cose sul serio, sono dietro l’angolo, non in California, e un “po’ di concorrenza” iniziano a farla a tutti gli investitori che operano negli altri Paesi europei, si sente già anche sul deal flow italiano.

Le carte le stanno spaiando sul mercato gli imprenditori, giovani e meno giovani, che hanno capito che se trovano la giusta opportunità rimangono in Italia, altrimenti fanno le valige e vanno via. E’ importante trovare un ecosistema connesso, che fa rete e ha massa critica, dove gli operatori collaborano, dove ci sono competenze, servizi di supporto e soldi, tanti, il più possibile. Fino a qualche tempo fa’ in Italia gli operatori dell’early stage investment agivano in un mercato meno competitivo con poca concorrenza sul fronte dell’offerta di capitali. Ora le regole del gioco stanno cambiando e anche noi operatori italiani dobbiamo saper cogliere il cambiamento e reagire rilanciando. Dobbiamo essere più veloci e più connessi internazionalmente se vogliamo intercettare i migliori deal, magari incontrando l’imprenditore italiano che ha basato la sua startup a Londra o investendo su un team internazionale che attrae talento in Italia ma ha una base anche in un hub estero.

Le regole del gioco stanno cambiando velocemente e il mercato di domanda e offerta di capitali ha sempre meno barriere. Per questo motivo anche i governi di tutto il mondo stanno cercando di influenzare il mercato attraendo startup e investitori con norme e piattaforme legislative appositamente definite. Tra loro c’è anche il Governo Italiano che con l’ultimo decreto sviluppo (il numero 179 del 18 ottobre 2012, ndr) ha messo per la prima volta in agenda il nostro settore e lo ha fatto in modo appropriato. La concorrenza è però fortissima. Dietro l’angolo abbiamo, oltre al caso tedesco, Francia e Regno Unito che da anni hanno messo in atto una politica molto aggressiva per stimolare l’investimento di capitali privati per cifre attorno al miliardo di euro all’anno. Dobbiamo riuscire a essere comparabili con questi numeri, con soli 50 o 100 milioni di euro si fa ben poca strada..

Gli imprenditori italiani stanno già dimostrato di poter competere a livello internazionale. Ora devono dimostrarlo anche gli altri operatori italiani del settore, magari finalmente aiutati alivello sistemico a far decollare il mercato.

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