Tra endorsement e native, aspetti legali della comunicazione pubblicitaria

I social network hanno trasformato la comunicazione pubblicitaria, ponendo anche nuove questioni di natura legale. Fa il punto l’Avv. Massimiliano Patrini

Pubblicato il 17 Ott 2019

Massimiliano Patrini

La comunicazione pubblicitaria ha vissuto negli ultimi anni una trasformazione molto significativa determinata, in particolare, dall’avvento e dall’affermazione dei social network.

La “rivoluzione” digitale ha avuto un impatto anche sugli aspetti di natura legale, dove l’elemento di più forte innovazione è stato avvertito nella fortissima interessenza che si è venuta a creare tra contenuto pubblicitario e modalità espressive, emergendo come componente essenziale di questo binomio la modalità tecnica implementata per la sua realizzazione.

Dal testimonial all’influencer

Uno degli strumenti maggiormente utilizzati nell’ultimo decennio è il ricorso ai cosiddetti influencer/celebrity/blogger, massicciamente arruolati dai brand per veicolare al pubblico i propri prodotti o servizi. In questo caso non è seguito l’approccio dello “spot” tradizionale, laddove il testimonial, più o meno famoso, promuove un determinato prodotto all’interno di uno spazio a ciò espressamente dedicato, come tale riconoscibile ma, piuttosto, presentandolo al pubblico all’interno di un contesto di “quotidianità”, raccontata attraverso immagini e video postati sui social network.

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Il prodotto è quindi “raccomandato” al consumatore attraverso una peculiare e assai incisiva forma pubblicitaria (molto simile alla antesignana “pubblicità occulta”) poiché la preferenza accordata dall’influencer ad una bibita, ad una palestra, anziché ad un abito o a un’auto, risulta essere frutto di una scelta o di una preferenza spontanea, non sollecitata e “costruita” dal brand, come invece avviene nella pubblicità tradizionale.

Una volta consolidato l’utilizzo dei social network come fenomeno di massa, capace di raggiungere un numero di potenziali consumatori spesso enormemente maggiore rispetto a quelli intercettabili da radio, televisione o carta stampata, ci si è interrogati sulla conformità di queste modalità al sistema che governa la comunicazione pubblicitaria e il cui obiettivo primario è la tutela del consumatore/utente, rispetto a forme di pubblicità che risultino non veritiere, aggressive o, appunto, non riconoscibili come tali.

In questo tipo di comunicazione la maggiore criticità risiede nella difficoltà per il consumatore nell’operare una corretta distinzione tra ciò che è pubblicità vera e propria, ossia il frutto di un preciso accordo contrattuale tra il brand e il suo “testimonial” (dove il brand remunera l’utilizzo dell’immagine del proprio testimonial), e ciò che, invece, è espressione di gusti personali del singolo personaggio che opera sul web attraverso social network, blog o altri spazi liberamente accessibili al pubblico dei consumatori, divulgando opinioni o momenti della sua vita e spesso mostrando riferimenti a prodotti o a servizi (automobili, alberghi, abiti, centri sportivi ecc.).

Per individuare confini e i limiti di questo tipo di comunicazione, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) ha adottato in Italia, come in altri Paesi europei, la c.d. “Digital Chart”, ossia una serie di regole che devono essere rispettate nella pubblicità online e che possono essere sintetizzate come di seguito.

Endorsement e native advertising

Endorsement

Nel contesto digitale sono state innanzitutto individuate due macro-categorie di attuazione del messaggio pubblicitario, ossia endorsement e native advertising.

L’endorsement si realizza allorché la pubblicità è realizzata tramite la valorizzazione di un prodotto o di un servizio posta in essere da:

· celebrities, influencers

· Bloggers/Vloggers

· Utenti comuni attraverso i cc.dd. user generated contents:

In questi casi il messaggio pubblicitario transita dall’accreditamento che il “testimonial” ha ottenuto presso il pubblico grazie a proprie caratteristiche personali e/o ai contenuti che lo stesso ha creato e veicolato attraverso i suoi canali social, indipendentemente da una finalità pubblicitaria. Successivamente, nel medesimo contesto di immagini, video, testi, sono inseriti contenuti che non sono più il frutto della personale preferenza o creazione del soggetto che gestisce il canale, ma sono frutto di un contratto che ha ad oggetto la prestazione di attività pubblicitaria. La Digital Chart impone che questa sia riconoscibile all’esterno.

Per questo motivo è necessario l’utilizzo di diciture e/o hashtag quali “#pubblicità,#advertising, #contenutosponsorizzato; Pubblicità /Advertising, o Promosso da o Sponsorizzato da o in collaborazione con.

Native advertising

Per quanto riguarda il native advertising il focus risiede invece maggiormente sulla modalità tecnica di attuazione della comunicazione pubblicitaria. Qui il messaggio è inserito in un contesto nel quale va ad assumere sembianze sovrapponibili a quelle dei contenuti che già si trovano sul sito, ossia “nativi” della piattaforma che li ospita.

Per catturare l’interesse del pubblico, con l’obiettivo di stabilire un contatto diretto con gli utenti, si utilizzano quindi i seguenti accorgimenti tecnici:

· in-feed units, ossia contenuti di testo, video o audio creati per un determinato canale riproducendone il formato e lo stile. La promozione del prodotto/servizio si realizza attraverso il loro posizionamento sul canale prescelto (sito web, pagina social, blog ecc.), in virtù di un accordo specifico tra inserzionista e titolare del canale. Anche questi contenuti devono essere riconoscibili e quindi recare diciture idonee a renderne nota la natura promozionale.

· paid search units, sono strumenti utilizzati per migliorare la visibilità di un prodotto o di un servizio sui maggiori motori di ricerca; poiché, pur trattandosi di vere e proprie inserzioni a pagamento, hanno solitamente lo stesso formato grafico e testuale degli altri risultati ricavabili dal motore di ricerca, la loro natura pubblicitaria deve essere resa nota agli utenti. In questo caso, in aggiunta ai consueti wording “Pubblicità/Advertising” (da collocare in maniera ben visibile), è consigliabile ricorrere al c.d. “shading”, ossia una ombreggiatura e/o evidenziazione del testo.

· recomendation widgets, ossia elementi di interfaccia grafica (widget) che, integrati nella struttura editoriale di un sito web/motore di ricerca, rimandano ad un prodotto alternativo rispetto a quello per il quale l’utente ha mostrato un suo interesse attraverso la sua navigazione web. L’utente trova quindi indicazioni quali: potrebbe piacerti anche / potrebbe interessarti anche ecc. In tali casi, se il widget ha natura pubblicitaria, deve essere ben evidenziato che si tratta di contenuti sponsorizzati e il soggetto che promuove tale sponsorizzazione.

Una citazione a parte può poi essere dedicata ai cc.dd. advergame, ossia a quella forma di comunicazione commerciale che diventa parte di un gioco elettronico interattivo, sviluppato appositamente per la promozione di un prodotto o di un brand, utilizzando siti web dell’inserzionista, social network, applicazioni.

Come detto, tutte queste forme di comunicazione pubblicitaria sono lecite e legittime, purché siano conformi alle Regole sancite nel Codice di Autodisciplina Pubblicitaria secondo le quali la comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera, corretta e sempre riconoscibile come tale (Art. 7).

In particolare, per quanto attiene agli advergame, va tenuto in debita considerazione, oltre all’art. 7 in tema di riconoscibilità anche l’art. 11 del Codice che riguarda la tutela dei bambini e che proibisce contenuti che possano danneggiarli o abusare della loro naturale credulità o mancanza di esperienza. Inoltre, se il gioco è qualificabile come manifestazione a premio, occorrerà rispettare gli obblighi informativi stabiliti dall’art. 21 del Codice.

Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, che vigila sul mercato per contrastare condotte contrarie ai diritti dei consumatori, a partire dall’agosto 2018 ha avviato una campagna di moral suasion, invitando influencer e brand ad evitare ogni forma di pubblicità occulta, chiarendo che è illegittima la condotta consistente nel rappresentare ai consumatori di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno svolgendo attività promozionale (Provvedimento n. 27787 del 22 maggio 2019).

Conclusioni

Social network, tecnologia e pubblicità sono dunque una combinazione di eccezionale efficacia e utilità, anche nel rapporto costo/beneficio, da valorizzare e incentivare senza alcun pregiudizio.

Proprio in quest’ottica è molto importante ricordarsi di:

· Verificare che sia rispettato il requisito della riconoscibilità, tramite la apposizione di adeguati “wording”, a seconda del canale concretamente utilizzato. Il concetto di adeguatezza è rispettato quando è chiaramente ed esplicitamente indicata la funzione pubblicitaria, che non può essere desunta dal contesto del messaggio o da altre indirette indicazioni;

· Evitare forme di pubblicità che risultino comunque invasive o “aggressive” nei confronti del consumatore, in particolare nei confronti di categorie di consumatori considerate “deboli” come i bambini. E’ sempre importante rammentare che la pubblicità negativa derivante da provvedimenti delle Autorità di settore, così come provvedimenti di inibitoria alla diffusione, possono essere ben più dannosi del vantaggio sperato, in particolare per prodotti o servizi in fase di avvio sul mercato;

· Inserire nei contratti con le agenzie pubblicitarie specifiche clausole di salvaguardia e manleva rispetto ad eventuali violazioni alle regole di Autodisciplina e/o alle previsioni del Codice del consumo;

· Tutelarsi contrattualmente prevedendo specifici obblighi di compliance a carico dei propri partner commerciali (inclusi i licenziatari e distributori), obbligandoli ad adottare tutte le misure idonee ad evitare utilizzo illecito della comunicazione pubblicitaria tramite social network, rammentando che chi risponde per eventuali violazioni è in via principale il titolare del brand, non il singolo licenziatario o distributore;

· Monitorare l’esecuzione dei contratti al fine di verificare il rispetto della corretta forma di comunicazione da parte dell’influencer/celebrity rammentando che, in caso di violazioni realizzate da quest’ultimo, la responsabilità ricadrà comunque sul soggetto “sponsorizzato”.

Avv. Massimiliano Patrini –

Responsabile Dipartimento Proprietà Industriale e Information Technology dello Studio Gatti Pavesi Bianchi

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