Nel mondo sempre più digitale di oggi, il sito web di un’azienda rappresenta spesso la sua vetrina e il primo punto di contatto con i clienti. Eppure, per milioni di persone con disabilità, quella vetrina resta di fatto chiusa e il loro potenziale contributo viene respinto ancor prima di entrare. Questo accade perché oltre il 20% della popolazione mondiale incontra barriere nell’utilizzo di internet e si stima che il 98% dei siti web non sia ancora accessibile. “In altre parole, molte aziende stanno escludendo più o meno inconsapevolmente il più grande gruppo minoritario del mondo, con un potere d’acquisto globale stimato in 13mila miliardi di dollari. È difficile trovare una logica aziendale nel lasciare questo mercato inesplorato”, spiega a Startupbusiness illustrato il tema dell’accessibilità alle risorse online Amit Borsok CEO e co-fondatore di AccessiWay azienda che combina automazione ed esperienza umana per offrire audit, interventi correttivi, supporto alla conformità e formazione. Fondata in Italia nel 2021, oggi opera anche in Francia, Austria, Germania e Regno Unito. Con un team di oltre 100 persone (nella foto), AccessiWay ha già aiutato più di 1.500 clienti a integrare l’accessibilità nelle loro piattaforme digitali.
“Rendere un sito web accessibile significa creare un’esperienza online priva di barriere per tutti, comprese le persone con disabilità – aggiunge Borsok – Questo include una vasta gamma di esigenze: persone cieche o ipovedenti che utilizzano screen reader o necessitano di alternative testuali per le immagini; persone sorde o con problemi uditivi che hanno bisogno di sottotitoli o trascrizioni per contenuti audio e video; persone con disabilità motorie che navigano senza mouse; e utenti con differenze cognitive o neurologiche che beneficiano di una struttura chiara, linguaggio semplice e navigazione coerente”.
Il design accessibile è guidato da standard internazionali come le Web Content Accessibility Guidelines (WCAG 2.1) e da normative come l’European Accessibility Act (EAA), entrato in vigore il 28 giugno 2025. Questi standard assicurano che il design, la struttura e le funzionalità di un sito non escludano nessun utente. Ma l’accessibilità va oltre la conformità normativa: si tratta di creare un ambiente digitale inclusivo, in cui tutti possano partecipare pienamente. Come ci si aspetta che gli spazi fisici offrano rampe o bagni accessibili, così anche il mondo digitale deve garantire accesso equo.
Ora che l’accessibilità digitale è obbligatoria per legge, la strada è solo una: bisogna agire subito. Dal punto di vista tecnico, però, è fondamentale capire che l’accessibilità non deve essere un’aggiunta dell’ultimo minuto, ma un elemento integrato fin dall’inizio nel processo di design e sviluppo. Adattare un sito esistente per renderlo accessibile può essere più costoso e complesso che renderlo tale sin dall’inizio. Ogni processo di re-design, aggiornamento di funzionalità o modifica ai contenuti rappresenta un’occasione per verificare l’accessibilità.
Il primo passo è l’audit dello stato del sito in un determinato momento. Gli strumenti automatici possono individuare alcuni problemi, ma il coinvolgimento di esperti umani è essenziale. Una volta ottenuta una visione chiara, occorre dare priorità agli interventi con il maggiore impatto sulla fruibilità, specialmente quelli che impediscono l’accesso alle funzioni principali come la navigazione, i moduli o gli acquisti. Collaborare con specialisti in accessibilità assicura che la conformità e l’usabilità vadano di pari passo. È altrettanto importante formare i team interni affinché l’accessibilità venga mantenuta nel tempo e non trattata come un progetto una tantum. Infine, è fondamentale testare i propri strumenti digitali con utenti reali con disabilità: solo così si ha la certezza che le soluzioni funzionino anche nel mondo reale.
I motivi per cui l’accessibilità è fondamentale sono molti. Innanzitutto, è una questione morale: garantire l’accessibilità significa rispettare i diritti umani, permettendo a tutti di partecipare alla vita digitale. In secondo luogo, è un obbligo legale. L’European Accessibility Act, le linee guida WCAG e le normative locali rendono l’accessibilità un requisito inderogabile, con sanzioni che possono includere multe o, in certi Paesi, addirittura pene detentive in caso di violazione.
Non bisogna poi sottovalutare l’aspetto economico. Le persone con disabilità hanno un potere d’acquisto globale stimato in 13mila miliardi di dollari. Rendere il proprio sito accessibile significa aprirsi a milioni di potenziali clienti, migliorando al contempo l’esperienza utente per tutti. Funzionalità come i sottotitoli aiutano chi guarda video in ambienti rumorosi, una navigazione chiara è utile per chi usa dispositivi mobili e le scorciatoie da tastiera favoriscono gli utenti avanzati.
Infine, l’accessibilità rappresenta un vantaggio competitivo. I concorrenti inaccessibili perderanno clienti a favore di chi investe nel design inclusivo. L’accessibilità comunica innovazione, responsabilità e inclusione: valori che rafforzano la reputazione del brand.
Internet connette aziende, clienti e comunità in tutto il mondo, ma per troppo tempo l’inaccessibilità digitale ha escluso milioni di persone. Gli strumenti e le competenze per risolvere il problema già esistono e con essi l’opportunità di raggiungere un mercato vasto e ancora poco servito.
Se si trattasse di un negozio fisico, non sarebbe pensabile allontanare un cliente su cinque. Allora perché farlo online? Le aziende che si mobilitano ora in merito all’accessibilità non solo eviteranno sanzioni, ma guadagneranno quote di mercato, rafforzeranno il loro brand e guideranno la prossima ondata di innovazione digitale.
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