Bruno Cell, la startup alle frontiere dell’innovazione alimentare 

Pubblicato il 09 Ago 2020

Scientist holding Petri dish with meat sample at laboratory

Bruno Cell, startup nata nell’Università di Trento, e accompagnata da Hub Innovazione Trentino (HIT), è tra le poche imprese al mondo ad occuparsi del tema della carne cresciuta in laboratorio.

Il tema della carne coltivata, chiamata anche artificiale o in vitro, ovvero della carne creata grazie a processi di laboratorio a partire da cellule muscolari di animali vivi, divide non poco, come succede per tutte le grandi innovazioni che sfidano le nostre abitudini culturali. Da una parte c’è chi vede in questa nuova produzione un sostituto feticcio da demonizzare, una minaccia all’impulso primitivo che vede l’uomo cacciatore e divoratore di bistecche. Dall’altra c’è chi evidenzia gli enormi vantaggi che potrebbe apportare a livello globale l’implementazione di una produzione alternativa di questo tipo: significherebbe non aver più bisogno di uccidere animali, di crescerli in allevamenti intensivi, ma anche aumentare la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti, la velocità della produzione e ottenere una maggiore sostenibilità ambientale e minore allocazione di risorse agricole. Secondo i rapporti del Good Food Institute ci sono 55 realtà imprenditoriali e di ricerca al mondo che si occupano di questo tema, le principali hanno sede negli Stati Uniti, in Israele e in Olanda. Dal 2016 ad oggi sono noti round di investimenti complessivi per oltre 163 milioni di dollari, dei quali circa la metà chiusi nel 2019.

Bruno Cell, nata dal lavoro dei due professori associati dell’Università di Trento Stefano Biressi e Luciano Conti, in cui ha voluto credere e investire un illuminato imprenditore romano nel campo delle carni tradizionali, rappresenta l’unica realtà italiana e una delle uniche al mondo a occuparsi di questa nuova frontiera agroalimentare. Le prospettive di business e sviluppo si stanno alimentando sempre più proprio grazie alle sinergie con l’ecosistema della ricerca e dell’innovazione trentina. Accompagnata da HIT la startup sta per investire 100 mila euro nel finanziamento di un dottorato in innovazione industriale con l’Università di Trento, sostenendo la collaborazione con una figura professionale altamente specializzata che svolgerà ricerca d’avanguardia presso i laboratori del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata CIBIO, affiancando Biressi e Conti. Bruno Cell sta avviando inoltre un rapporto di collaborazione con Trentino Sviluppo e la Provincia autonoma di Trento per ottenere un supporto e investimento in ricerca, vagliando altresì la possibilità di insediarsi presso Trentino Sviluppo.

I fondatori di Bruno Cell

HIT segue da tempo Bruno Cell (un tempo chiamata Bruno Meat) orientandone la strategia di sviluppo di business e favorendo collaborazioni e sinergie con i vari attori del sistema trentino e non solo. La startup è stata ospitata fino a poco tempo fa presso gli spazi di HIT, e nel 2018 ha frequentato Bootstrap, programma di accompagnamento imprenditoriale oggi parte del programma congiunto con Trentino Sviluppo dedicato alle startup chiamato Trentino Startup Valley (la cui nuova call è aperta fino al 28 agosto 2020, qui le info ).   

Il nome Bruno Cell è nato da un’ispirazione di matrice filosofica. “Bruno” è un omaggio al grande filosofo, astronomo e matematico Giordano Bruno, notoriamente vegetariano e promulgatore di un’alimentazione meat-free. Il termine “cell” è stato sostituito recentemente a “meat” per veicolare in maniera puntuale l’assunto dal quale muove il progetto scientifico della startup.

Le sfide tecnologiche della clean meat possono infatti essere raggruppate in quattro aree strategiche: sviluppo della linea cellulare, mezzi nutritivi per colture cellulari, scaffolding e strutturazione del prodotto, bioreattori in cui è ospitato il processo. La ricerca di Bruno Cell rientra nell’ambito dello sviluppo della linea cellulare, puntando a sviluppare una tecnologia di ingegneria genetica che consenta alle cellule staminali di estendere il proprio potenziale differenziandosi senza sostanze chimiche, allo scopo di produrre appunto carne coltivata in laboratorio. Bruno Cell si propone di far differenziare le cellule staminali non solo nei muscoli, ma anche nelle cellule adipose, ottenendo un mix che può essere paragonato alla carne naturalmente grassa. Non è dunque di carne vegetale, dei cosiddetti burger vegani, per esempio, ma di un tipo di carne creata grazie a processi di laboratorio che impiegano mezzi nutritivi per alimentare le cellule muscolari e materiali che aiutano a trasformarle in tessuto.

Al momento la questione non è quella di produrre carne coltivata in forma di bistecche e hamburger per la grande distribuzione, o di pensare direttamente a una produzione su scala industriale, bensì di trovare il sistema per produrre carne coltivata impiegando fattori di crescita non troppo costosi, individuando le molecole utili per implementare il metabolismo delle cellule muscolari ideali per accelerarne la crescita. La carne coltivata di fatto non è ancora sul mercato e le ricerche sul tema sono ancora lontane da una prospettiva di trasferimento tecnologico che possa dare il via a una produzione e commercializzazione di massa.

“La carne coltivata al momento non è commercializzata, siamo ancora a un primo stadio di sviluppo della ricerca – racconta in una nota Stefano Biressi, professore associato al Dipartimento CIBIO dell’Università di Trento – l’ostacolo principale è l’alto costo degli ingredienti necessari alla proliferazione cellulare. Il nostro obiettivo è selezionare la linea cellulare ideale, che riduca al minimo il fabbisogno di tali ingredienti potendo raggiungere un costo che ne permetta la produzione su larga scala”.

Potenzialmente le ricerche della startup potrebbero essere impiegate da tante realtà a livello mondiale, non solo da imprese dedicate a questo nuovo settore, ma anche da grandi aziende del settore della carne che potranno decidere di investire in questo nuovo settore per diversificare il proprio business.

Aggiunge Luciano Conti: “Far crescere la carne in un ambiente controllato significa produrla abbattendo l’uso di antibiotici e farmaci, portando potenzialmente dunque a significativi miglioramenti riguardo al tema sempre più urgente dell’impatto dell’alimentazione sulla salute. Si pensi inoltre a come tutto ciò consentirebbe una drastica riduzione dell’emissione di gas serra generati dagli allevamenti intensivi e dunque al contrasto al cambiamento climatico”.

La scienza offre insomma un’alternativa ecologica e rispettosa dei diritti degli animali alla carne ottenuta tramite l’allevamento convenzionale, che sembra riportare enormi vantaggi per l’ecosistema, ma che rappresenta una frontiera interessante da esplorare anche in termini di business. Si pensi che negli Stati Uniti hanno investito in questo settore anche colossi quali Microsoft e Google.

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