Ci sono molti motivi per cui il business plan per la startup non funziona. Eccone una serie e perché devi diffidare di chi lo te lo chiede, anche se sono investitori
Il business plan è stata considerata il documento fondamentale che sviluppa tutta la strategia di business di ogni società e per molti anni è stato considerato uno strumento di pianificazione adatto anche alla startup. Ma è davvero così importante e utile? L’imprenditore e innovatore Enzo Notaristefano ci spiega quali sono i suoi limiti.
“We haven’t read a business plan in over 20 years. Sure, we still get plenty of them, but it is not something we care about as we invest in areas we know well, and as a result we much prefer demos and live interactions. … However, realize that some VCs care a lot about seeing a business plan, regardless of the current view by many people that a business plan is an obsolete document.”
Brad Feld e Jason Mendelson in “Venture Deals” (Wiley, 2011)
Siamo alle porte del 2018 e in Italia il mondo dell’innovazione vede ancora l’utilizzo dei business plan come mezzo predominante per poter prendere decisioni sulla bontà di un’idea di business in fase di investimento.
Dopo molte richieste di supporto da parte di team di startupper, vorrei dare il mio contributo per fare un po’ di chiarezza in merito all’obsolescenza del business plan (oramai viene definito internazionalmente una reliquia), parlare degli strumenti utili a rimpiazzarlo e come gestire chi lo richiede ancora ritenendolo di vitale importanza per il successo delle nuove venture imprenditoriali.
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Per decenni il business plan ha occupato un posto di rilievo nell’avvio di nuove imprese. Ogni qual volta si avviava un nuovo progetto, la prima cosa da fare era quella di scrivere almeno 30 pagine di documento, come se la lunghezza fosse il metro del successo, con all’interno i migliori pensieri dell’autore su tutto ciò che riguardava l’attività. Questi documenti una volta pubblicati non saranno mai rivisti.
Ai business plan sono ancora oggi dedicati saggi, libri e competizioni sui generis, ove vengono premiati quelli più fantasiosi.
A me è capitato più di una volta di scrivere dei business plan: nel 2002 a soli 17 anni, durante il mio periodo di “scambio culturale” negli States, nel post corso di “business planning” abbiamo partecipato con il mio team a una gara nazionale per il programma FBLA. Il BP aveva l’obiettivo di sviluppare un nuovo business con un vincolo dato dalla competizione: un investimento innovativo ed ecosostenibile che aiutasse il Brasile a fare buon uso dei “pollution credit” provenienti dall’accordo di Kyoto, allora in corso di promulgazione . Da allora, mi è poi capitato di scrivere svariati business plan, durante il mio corso di laurea, passando per la tesi e svariate volte come dipendente fino al 2009, dove ho scritto l’ultimo progetto per me stesso.
Avendo capito che il tutto non funzionava, da quando sono entrato nel mondo startup, ho cercato di capire quel che il resto della comunità pensasse, chiedendo a business angel, venture capital, incubatori, imprenditori italiani e commercialisti queste due domande:
La risposta alla prima domanda è stata “è un esercizio obbligatorio per capire se gli startupper sono committed e per capire se il business scala”. E subito dopo chiedendo anche la seconda hanno risposto nel 95% dei casi “leggo prima il one-pager/pitch/executive summary e poi se mi interessa guardo il punto nel BP, comunque nulla di particolare in quanto poi non sempre tali numeri si avverano o girano”.
Da qui nasce una domanda sempre più scontata, “perché spostate il focus dei poveri startupper /team dell’innovazione verso il business plan e non verso la validazione del problema/soluzione/mercato?” la domanda rimane sempre più ovvia e sempre meno risposta soprattutto qui in Italia.
Dave Mcclure definisce le startup come “… a company that is confused about 1) what its product is, 2) who its customers are, and 3) how to make money. As soon as it figures out all 3 things, it ceases to be a startup and then becomes a real business. Except most times, that doesn’t happen” .
Questa definizione di Dave Mcclure ci fa capire quanto di programmabile e proiettabile nel futuro ci sia in una startup! È per questo che Steve Blank definisce le startup non come delle aziende bensì “gruppi temporanei di persone alla ricerca di un modello di business scalabile e replicabile”, in quanto sono intenti non a eseguire delle operazioni, ma a ricercare il giusto mix per creare un modello di business innovativo.
La Ricerca – Search, è l’elemento che differenzia una startup da un’azienda consolidata: mentre le aziende consolidate eseguono modelli di business noti, le startup e gli innovatori cercano nuovi modelli di business che rendano l’attività sostenibile.
Le startup e i team dell’innovazione aziendali, in fase di due diligence, sono spesso spinti a presentare strumenti capaci di rispondere a quanto richiesto/desiderato dai manager o l’investment board, al fine di “conoscere” in anticipo la bontà dell’investimento in termini di ROI, IRR, ARR, NPV e payback period. In altre parole si vuol conoscere al giorno 1 se l’azienda farà soldi o meno dall’innovazione che sta sviluppando, guardando tali progetti attraverso dati immaginari.
L’approccio potrebbe funzionare all’interno delle aziende con i progetti di execution tradizionali, ovvero quei progetti che vedono l’utilizzo di business model conosciuti (ristoranti, negozi ecc), mentre nel mondo dell’innovazione tale scommessa non ha modo di esser predetta, a meno che non si possegga una sfera di cristallo a supporto.
Molti investitori e manager richiedono in modo insistente questo vetusto strumento ancora oggi, essendo gli stessi pigri e volendo vivere nel futuro con quanto ha aiutato loro a “campare” fino a oggi e bloccando il nuovo che avanza: il business plan è come il fax, si rifiuta di morire.
Entrando più nel dettaglio, quali sono gli arcani e le ipotesi che accompagnano investitori e manager all’esser così legati al business plan? Qui di seguito, a titolo di esempio, ve ne elenco alcune:
Le idee innovative hanno successo dopo numerosi test e iterazioni. Questo processo non può essere, quindi, “pianificato” in anticipo, e qualsiasi processo di investimento aziendale che controlli l’innovazione, porterà l’investimento verso un serio e inevitabile fallimento. Infatti, la pietra miliare dell’innovazione è costruire un prodotto che piaccia al cliente e per il quale sia possibile fare profitto.
Quindi, bisogna ricordare che pianificare l’innovazione è un’azione problematica soprattutto quando i consigli di investimento di imprese e VC, peggiorano il problema, valutando i team sulla base della loro disponibilità in termini di tempo e di budget, come da business plan. Durante queste riunioni la questione se il prodotto soddisfi realmente le esigenze dei clienti reali non viene quasi mai sollevata. Da ricordare quanto detto da Eric Ries nel suo libro Lean Startup: “Se costruiamo qualcosa che nessuno vorrà, non avrà alcun valore farlo entro il tempo ed il budget prestabilito”.
La bolla speculativa del “dot com” ha acceso i riflettori sui problemi principali provenienti dalle falle nella valutazione dei progetti di innovazione con il business plan. L’occasione ha spinto studiosi, imprenditori, VC e tanti altri appassionati di imprenditoria a ridefinire il processo, guardando ai lati negativi della pietra miliare (è uno strumento utilizzato da oltre un secolo)
I problemi applicativi del business plan ai processi di innovazione non sono solo nell’intento, ma soprattutto nel formato:
Rimane necessario risolvere il più grande grattacapo di chi ha fatto del business plan il metro di valutazione della gestione aziendale: come valutare, gestire e controllare i team sui quali si investirà o si è già investito? Esiste oggi un insieme di strumenti di pianificazione aziendale più leggeri che supportino simultaneamente questa nuova realtà e soddisfino le esigenze sia dello startupper che degli investitori?
Partendo dalla risoluzione di un’ultima critica, ovvero quella che vede gli estimatori dei business plan difendere lo strumento promuovendo un pensiero sbagliato dell’innovazione “l’innovazione non è un processo gestibile in quanto è un processo creativo”. Questa è un’affermazione falsa! L’innovazione non è solo creatività ma anche e soprattutto un processo non controllabile ma gestibile, in quanto il processo di innovazione, deve assolvere ai seguenti due compiti:
Il compito del management, quindi, passa dalla gestione del processo al controllo dello stesso tramite strumenti che permettono di tracciare la qualità del lavoro del team di innovazione attraverso i dati raccolti dalla risposta alle seguenti domande:
Queste sono solo alcune delle domande che possono essere utilizzate per valutare il processo di sviluppo del progetto innovativo. Questi dati non potranno mai essere così puntuali attraverso l’uso del business plan, essendo lo stesso uno strumento statico, mentre il processo di search è ciclico “build-measure-learn” essendo un vero e proprio processo di sperimentazione e iterazione.
L’innovazione non consiste semplicemente nel circondarsi di persone creative in una stanza e chiedere loro di innovare qualcosa. Utilizzando le domande di cui sopra, si possono stabilire gli obiettivi per i team e quindi misurare quanto stanno progredendo verso tali obiettivi. Il compito degli innovatori è quindi quello di scoprire modelli di business sostenibili!
Uno dei modelli più utilizzati è il c.d. “Moneyball for innovation”, un modello che prende spunto dal film omonimo “Moneyball” del 2012
I 10 insegnamenti del film Moneyball per gestire momenti di difficoltà sono i seguenti:
Dal lato della gestione degli investimenti ogni impresa/Vc dovrà avere un proprio modello/processo di investimento “Investment Framework” attraverso il quale gestire gli investimenti in innovazione.
L’obiettivo di questo processo di investimento è quello di esser sicuri che i team stiano facendo la giusta cosa nel giusto momento. Alcuni fra i framework dell’innovazione esistenti sono:
A ogni livello dei differenti modelli sono strutturate ipotesi e aspettative da raggiungere per i team, in quanto ci si aspetta in ogni fase che l’investimento sia utilizzato per rispondere a particolari domande come quelle precedentemente elencate.
Questo processo può essere definito come finanziamento incrementale o Moneyball per gli innovatori. Il punto è che gli innovatori non ottengono tutti i fondi raccolti in un’unica tranche, come accadeva con il business plan. Invece i finanziamenti vengono erogati in modo incrementale man mano che il team mostra i progressi attraverso le metriche chiave.
L’investimento incrementale dovrebbe esser fatto nel seguente modo:
Come dice Dave McClure “Invest before product-market fit, then double down after“.
Il presente processo offre ai tuoi team, da una parte, la strada da percorrere per raggiungere i risultati in modo chiaro e cadenzato, mentre dall’alta, permetterà ai manager di porre le giuste domande in base al livello di preparazione del team sulla base del modello Investment Readiness Level (di Blank). Non ha senso investire ingenti risorse per scalare se un team non ha ancora capito l’esistenza della quadratura fra problema e soluzione; da ricordare infatti che uno dei più grandi problemi alla base dei fallimenti colossali delle startup è proprio quello di cercare di far scalare team non pronti.
In questo modo gli innovation manager/analyst avranno un metodo per valutare e tracciare i progressi fatti dai team sulla base del test delle ipotesi, cosa che normalmente non viene effettuata per via del background proveniente dal passato dei manager. Allo stesso tempo il board degli investitori avrà metriche e risposte adeguate alla domanda principale “la proposta di valore è di reale interesse dei clienti?”;
Ci sono ottimi strumenti per questo processo, incluso Launchpad Central (sviluppato da Steve Blank e colleghi). Il punto è che nessuno di questi processi richiede un business plan per avere successo. Tutto ciò che serve è una chiara definizione di ciò che ci si aspetta dall’innovazione. I manager possono quindi verificare se gli innovatori stanno facendo cose che le persone vogliono e anche se vi è un modello di business redditizio collegato a questo.
Sei pronto per incontrare i VC. Hai creato il tuo pitch deck e hai affinato il tutto avendo padronanza dei tuoi numeri? Consentitemi di fare un passo in avanti e dirti cosa fare quando gli investitori chiedono di rianimare il dinosauro da almeno 30 pagine ed inviarglielo entro sera.
Sono stato in questa situazione, ed è molto sconcertante, soprattutto il senso che si prova quando si sa che qualcuno sicuramente te lo chiederà anche se inutile.
Prepariamoci il nostro buon Executive summary di 2-3 pagine, le foto del prodotto o delle demo sviluppate e il pitch deck, così da fornire una panoramica del business chiara e concisa, se si incavolano, chiedete loro di approfondire quanto avete già sviluppato, tenendo sempre a mente che la maggior parte degli investitori che richiedono il BP, se la vostra è una startup, non sono probabilmente il vostro punto di riferimento giusto. I business plan sono tipici di chi fa attività tradizionali e prevedibili come ristoranti e punti vendita. Quindi se un investitore sta chiedendo il BP è probabilmente fuori mercato.
Stessa cosa funziona con gli angel alla ricerca del capello nell’uovo attraverso il business plan: alla fine nessuno di loro si trasformerà in investitore.
Nel 2012 uno dei padri del VC mondiale Brad Feld dichiarava:
“Today, it’s clear to me that business plans for startup companies are a historical artifact that represented the best approach at the time to define a business for potential investors. In the past decade, we’ve shifted from a “tell me about it” approach (the business plan) to a “show me” approach (the Lean Startup). Rather than write long exhaustive documents, entrepreneurs can rapidly prototype their product and get immediate user and market feedback.”
A oggi in Italia, l’approccio all’innovazione vede nella valutazione dei progetti tramite business plan ancora una fortissima predominanza sia nel mondo startup sia nel mondo Corporate: questo approccio è favorito dalla bassissima presenza di player internazionali e dal bassissimo tasso di alfabetizzazione della maggior parte degli operatori.
Se stai sviluppando una startup e non hai ancora ben definito il tuo business model, diffida seriamente da chi:
Un buon modo per hackerare tutto ciò è quello di far notare a coloro i quali ti parlano del business plan e di soluzioni sotto l’albero, che il modello del Lean Startup o Lean Cycle ci permette di raccogliere tutte le informazioni che vanno all’interno del business plan: mercato / clienti, product feature, sales strategy, e metriche finanziare; l’unica differenza qual è? Che i dati prodotti saranno già validati e non saranno frutto delle menti sognatrici di chi vuol avviare un nuovo business.
Nel momento in cui i vostri investitori o il vostro capo vi chiederà il prossimo business plan, condividete questo articolo o googleando “is business plan dead?”, ci sarà veramente tanto da poter leggere per argomentare la vostra tesi.
Aiutate me e chiunque voglia aiutare il mondo startup made in Italy a ripartire, l’unico modo per farlo è supportando la condivisione e la diffusione della cultura dell’innovazione e delle startup partendo da quanto è stato già fatto all’estero, e mettendoci il nostro ingegno per poter migliorare quanto già è stato studiato e strutturato.
Contributor: Enzo Notaristefano
02 Novembre 2018