Città-Stato del nuovo millennio

Pubblicato il 01 Lug 2016

Lasciamo per un momento da parte i tormenti, le ipotesi di scenario e gli scossoni che la brexit genererà nel breve e medio termine sui quali si sta dicendo e scrivendo di tutto e il contrario di tutto. Proviamo invece a immaginare come questo rimescolamento può eventualmente innescare una visione del tutto nuova dei sistemi politico-isituzionali ai quali siamo abituati. Se le crisi diventano opportunità la situazione attuale più divenire innesco per modifiche strutturali.

Abbiamo già scritto di come il sistema democratico basato sul modello rappresentativo e come il concetto di stato-nazione stiano dimostrando di essere sempre meno efficienti e come tali modelli, grazie alla disponibilità di tecnologie che all’epoca in cui furono definiti non c’erano, possono essere superati.

Abbiamo scritto di olacrazia , di panarchia  e ne ho anche parlato al TedX di Cesena. Quali sono i modelli che potrebbero emergere quindi? Una strada è quella della democrazia diretta la quale è però applicabile a patto che i cittadini-elettori siano informati e che sia figlia di sistemi istituzionali meno complessi come quelli che oggi tipicamente sono presenti in contesti geografici di dimensioni piuttosto contenute, come accade per esempio nei cantoni svizzeri .

Entra così in gioco la ridefinizione del concetto di stato-nazione perché sempre più arrivano segnali di una crescita del peso sociale, economico, politico, istituzionale di entità più piccole e in particolare delle città-stato (ciò vale anche per i micro e piccoli stati).

L’elemento dimensionale è determinante ed è stato bene analizzato dall’American Enterprise Institute che rileva per esempio che i Paesi con meno di 10 milioni di abitanti sono più efficienti anche guardando il solo aspetto della facilità di creazione d’impresa e il livello di libertà economica. C’è un elemento che emerge dall’analisi dell’AEI ed è quello della Kludgeocracy. Si tratta di un concetto che mutuando una tecnica di programmazione software studiata per risolvere problemi inattesi ma del tutto funzionale esclusivamente quale ‘toppa’ per risolvere l’emergenza e non per essere strutturalmente integrato, enfatizza come anche nella gestione dei sistemi istituzionali e politici si proceda oggi in questo modo, quindi mettendo le toppe (si pensi per esempio alla sconsiderata politica dell’attuale governo italiano in relazione alla situazione del sistema bancario), con la conseguenza dell’aumento esponenziale della complessità e quindi della tendenza verso la non governabilità.

Appare quindi fondamentale ridisegnare i sistemi che devono essere esponenzialmente meno complessi, più facili da gestire, e in questo processo la dimensione territoriale diventa elemento determinante. Il concetto di città-stato non è una boutade, anche grazie alla brexit vi è stata una accelerazione in termini di diffusione e conoscenza di questo modello, momento chiave è stata la dichiarazione del sindaco di Londra Sadiq Khan il quale non esclude che, visti i risultati del referendum, possa considerare un futuro maggiormente indipendente per la città. Indipendenza, o meglio autonomia, delle città non vuol dire necessariamente secessione dagli stati-nazione a cui esse appartengono ma di certo una crescita dell’autonomia decisionale e operativa come già avviene per esempio a Berlino . Quindi si dovrebbe forse trovare una definizione che racchiuda in sé sia il concetto di autonomia sia quello di non-secessione ma per il momento continuiamo a usare il termine città-stato.

Le città-stato sono quindi meno complesse da gestire rispetto agli stati-nazione, di certo è più semplice, almeno in teoria, applicare nuovi modelli di gestione sia politica sia operativa della democrazia resi possibili anche dalle nuove tecnologie. Ciò non significa che nelle città non via sia complessità soprattutto in quelle più grandi, e qui è illuminante l’esempio di Tokyo che con i suoi 35 milioni di abitanti è la più grande metropoli del pianeta e certamente supera la dimensione ideale di stato efficacemente governabile così come definita da AEI. A Tokyo si sta riflettendo su una cosa che si chiama Edo, che poi è il nome con cui la città di Tokyo era conosciuta tra il 1603 e il 1868, quello che fu definito appunto periodo Edo in cui l’allora governo decise di attuare politiche nuove facendo leva anche su nuove tecnologie dell’epoca per uscire da una situazione di declino sociale e ambientale. L’esperienza del periodo Edo giapponese può essere di ispirazione per il momento attuale perché riunisce etica, storia, tecnologia, consapevolezza, efficienza, semplificazione, cultura.

Proprio Tokyo, che ha un suo governo metropolitano autonomo , ha di recente avviato un nuovo programma per attirare aziende e startup tecnologiche di cui ti parlerò dettagliatamente la prossima settimana con tutte le informazioni necessarie per valutare la opportunità, sempre la prossima settimana ti parlerò anche del nascente accordo tra San Marino e Cina sempre sul fronte delle startup tecnologiche.

Sul fronte delle startup sono proprio le città a farsi una grande competizione, molto più di quanto avvenga tra le nazioni e noi di Startupbusiness stiamo costruendo una guida che propone una fotografia di molti ecosistemi di tutto il mondo e che è in costane evoluzione accompagnandovi in un viaggio ideale in quei luoghi che con maggiore visione ed entusiasmo abbracciano l’innovazione.

startup city

E in Italia? Secondo la classifica di Eu-startup Milano non è messa malissimo, sta al decimo posto, ma certamente si può fare molto di più sia sul fronte startup sia sul fronte dell’autonomia. Le due cose vanno assieme perché senza una maggiore libertà decisionale su temi come la gestione territoriale, partendo dall’eliminare una eccessiva e anacronistica parcelizzazione amministrativa che oggi caratterizza l’area metropolitana; e senza la possibilità di gestire autonomamente temi fiscali e burocratici soprattutto in relazione alle imprese, è impossibile competere con le altre grandi città europee ed è impossibile pure cogliere le eventuali opportunità post-brexit dove Milano sarebbe in posizione favorevole (anche se la Cnn vede in pole position Francoforte, Lussemburgo, Parigi, Dublino, Berlino, Amsterdm ed Edimburgo ) ma per poter essere veramente in corsa deve sganciarsi dal giogo dell’apparato governativo centrale, ormai troppo complesso e inefficiente per poter comprendere e cogliere appieno questi cambiamenti.

Emil Abirascid

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