Cristina Battaglia: ‘la dicotomia tra ricerca “libera” e ricerca “market driven” è superata

Pubblicato il 30 Lug 2020

Ho avuto il piacere di conoscere di recente Cristina Battaglia, Responsabile dell’Unità per la Valorizzazione della Ricerca del CNR. Durante il nostro primo incontro ne ho apprezzato la preparazione e la concretezza. Idee chiare e determinazione fanno sì che sia la persona giusta al momento giusto. Aperta al dialogo ed al confronto, ragionare con lei sui temi del technology transfer e più in generale della valorizzazione dei risultati della ricerca è stato per me un arricchimento. Cone questa intervista ho cercato di scoprire di più su di lei e sul CNR, il più grande ente di ricerca pubblico italiano.

Ci racconti qualcosa di te e del percorso che ti ha portato a gestire uno dei più importanti uffici di trasferimento tecnologico in Italia?

È un percorso che è partito proprio dal trasferimento tecnologico, nel 1999 all’interno dell’Ufficio Trasferimento Tecnologico dell’Istituto Nazionale per la Fisica della Materia. Ho poi avuto l’opportunità di lavorare sempre dentro o vicino al mondo della ricerca ma in ruoli molto diversi che mi hanno aiutata a sviluppare una visione più generale dei temi legati alla valorizzazione dei risultati della ricerca ed al loro impatto sul tessuto produttivo. Ed ora sono tornata al TT nel più grande ente di ricerca italiano. Una grande soddisfazione ma soprattutto un lavoro bellissimo!

Puoi darci una versione meno istituzionale dell’Ente in termini di qualità della ricerca, struttura organizzativa, aree di competenza, numero di ricercatori ma soprattutto di strategie che metterete in campo per gestire il prossimo futuro?

Il CNR è una grande comunità scientifica costituita da oltre 8.000 donne e uomini che lavorano in moltissimi ambiti: il patrimonio culturale, la medicina, l’energia, la mobilità sostenibile, i cambiamenti climatici, l’agroalimentare per citarne alcuni. Questa multidisciplinarietà è un elemento di forza straordinario, dal punto di vista strategico, per gestire le grandi sfide del prossimo futuro. Sfide tecnologiche, sociali, ambientali, economiche. A fianco a questo, ritengo che la presenza del CNR con i suoi Istituti su tutto il territorio nazionale sia un aspetto organizzativo che diventa una leva strategica per me molto importante: la possibilità di collaborare con molti degli Atenei italiani e con gli Enti locali su specifici progetti di sviluppo territoriale consente di “mettere a terra” molto di quanto sviluppato nell’ambito dei progetti di ricerca (condotti a livello nazionale ed internazionale).

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Entriamo un po’ più nel vivo. Puoi darci una tua opinione sul ruolo del TT per il nostro Paese? Limiti? Opportunità?

Sappiamo bene, perché lo diciamo da anni, che l’Italia ha una produzione scientifica di alto (e in alcuni settori di altissimo) livello pur con i limiti ancora esistenti in termini di finanziamenti alla ricerca e di numero di ricercatori. Ma l’impatto dei risultati scientifici rimane estremamente ridotto nel confronto con gli altri Stati, determinando una notevole perdita di competitività per il paese. Per anni la discussione si è concentrata sulla dicotomia tra ricerca “libera” e ricerca “market driven” e questo è stato certamente un limite che spero sia superato. Dobbiamo invece puntare sulla centralità della ricerca nei processi di sviluppo socio economico e in questa visione la ricerca deve sapersi “riconfigurare” per rispondere ai bisogni e alle grandi sfide sociali. In quest’ottica le potenzialità sono enormi se si sapranno introdurre, a livello nazionale, policy e strumenti di sostegno al Technology Transfer adeguati e se si lavorerà a livello normativo per una drastica semplificazione burocratica dei rapporti tra organismi di ricerca e imprese.

E rispetto al tuo Ente? Risultati raggiunti, qualche bell’esempio di Trasferimento Tecnologico realizzato?

Un bell’esempio è certamente rappresentato dal percorso di valorizzazione di un brevetto relativo ad un sostituto osseo di origine naturale: si tratta di un innovativo processo chimico grazie al quale è possibile trasformare alcune tipologie di legno – caratterizzate di per sè da una morfologia interna simile alle ossa – in idrossiapatite, il materiale costituente principale delle ossa stesse. Si ottiene così un sostituto osseo assolutamente biocompatibile, adatto a realizzare e sostituire ossa lunghe, altrimenti realizzabili solo utilizzando altre tipologie di materiali (es. metalli). E’ stata creta una start up, la Green Bone, nella quale sono impegnati anche ricercatori CNR, che ha prima acquisito una licenza del brevetto, ha poi ottenuto diversi finanziamenti per lo sviluppo della tecnologia e, infine, ha acquistato il brevetto ed è ormai sempre più vicino al mercato.
Più in generale un segnale molto positivo per il CNR è certamente dato dal numero sempre maggiore di team di ricercatori che avviano spin off: la loro energia e la loro determinazione sono di grande stimolo per il nostro lavoro.

Che bilancio fai della tua esperienza in qualità di responsabile di questa struttura? Qualche elemento di orgoglio ma anche qualche elemento di criticità che ti piacerebbe vedere risolto nel prossimo periodo…

Il bilancio è positivo anche se su un periodo ancora troppo breve per poterlo considerare definitivo. Un elemento di soddisfazione è quello di aver inserito il trasferimento tecnologico, nella programmazione triennale, come azione strategica per l’Ente. In un grande ente come il CNR senza un forte “commitment” da parte dei vertici non è pensabile strutturare processi efficaci. Questo ha consentito alla nostra struttura di lavorare su grandi progetti (e.g. accordi con grandi gruppi industriali) potendone seguire tutte le fasi di sviluppo e contribuendo via via a massimizzarne gli impatti. Gli elementi di criticità ci sono e riguardano soprattutto la necessità di dotarsi di un network di professionalità interne alla rete scientifica che insieme alla mia struttura siano in grado di sostenere i ricercatori nell’attuazione di processi efficaci per il trasferimento tecnologico e nel rapporto con le imprese.

Se potessi avere la bacchetta magica per far emergere il valore sommerso e, come dicono in molti, chiuso nei cassetti dei vostri laboratori, quali sono i primi tre problemi che vorresti risolvere e come faresti?

Ho già citato il tema della semplificazione: è un’esigenza in tutti i settori della PA, ma per il trasferimento tecnologico meno regole e meno vincoli sono elemento fondamentale per far emergere quello che tu chiami “il valore sommerso”.
Il secondo punto riguarda l’inserimento di meccanismi premiali che diano il giusto riconoscimento, in termini di carriera, ai ricercatori impegnati in attività di valorizzazione della ricerca.
E poi il tema delle risorse: è necessario istituire meccanismi di finanziamento con risorse adeguate per il proof of concept. In altri termini andrebbe costituito un fondo pubblico per l’accelerazione del fase di prototipizzazione e sviluppo precompetitivo delle invenzioni e delle idee di startup generate dalla proprietà intellettuale prodotta da Università ed Enti pubblici di ricerca e per il sostegno (attraverso risorse e competenze – e.g. innovation manager) della fase di sviluppo e utilizzo industriale della conoscenza prodotta da Università ed Enti pubblici attraverso la collaborazione con investitori, pubblici e privati, imprese e altri fondi.

Contributor

90% below è il blog di Anna Amati, Partner EUREKA! Venture Sgr che gestisce il fondo, Eureka! Fund I – Technology Transfer, focalizzato in startup, spin-off e progetti cosiddetti POC (Proof of concept) provenienti da una rete qualificata di centri di ricerca partner, nell’ambito dei materiali avanzati e più in generale scienza e ingegneria dei materiali.

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