Disabili e lavoro, le 5 azioni di Jobmetoo

Pubblicato il 10 Feb 2019

Jobmetoo è una startup storica nel panorama italiano, un’azienda di cui qui su Startupbusiness parlammo già nel 2014 , che nasce con il proposito di rivoluzionare il modo in cui le aziende assumono persone con disabilità facendo leva sull’associare all’obbligo imposto dalla legge elementi che concretamente danno valore alle effettive competenze della persona disabile e quindi al dimostrare che l’impiego dei disabili non è solo una imposizione di legge ma un elemento che può, e deve, portare valore all’azienda che li assume, esattamente come accade con qualsiasi altro lavoratore.

Jobmetoo negli anni è cresciuta e si è ritagliata una posizione di riferimento per tutti coloro che hanno disabilità e che cercano lavoro così come per le aziende che hanno capito che è molto più intelligente assumere un disabile con le giuste competenze che non semplicemente farlo per adeguarsi alla legge. Oggi Jobmetoo vuole fare un passo avanti e spingere affinché lo scenario di cui si occupa possa ulteriormente migliorare. Non lo fa con tecnologie nuove ma con proposte sensate perché il ruolo delle startup e delle scaleup non è solo quello di rivoluzionare il mondo con nuove tecnologie ma anche, e soprattutto, quello di aprire nuove linee di pensiero, fare emergere nuovi paradigmi e anche rivedere le regole per rendere il mondo un posto migliore.

Così Daniele Regolo che ha fondato Jobmetoo racconta a Startupbusiness lo scenario attuale e perché è importante rinnovarlo dal profondo.

I dati riportati dalla VIII Relazione al Parlamento sullo stato della Legge 68/99 (anni di riferimento: 2014/15) non possono darci più di tante informazioni relativamente agli effetti sulla Legge 68/99 generati dall’adozione del Decreto legislativo 151/15 (Jobs Act).

La Relazione, infatti, è uscita con un certo ritardo e sicuramente la portata delle modifiche del Jobs Act potrà essere compresa meglio in riferimento al biennio successivo (anni 2016/17). A oggi possiamo dire che l’estensione della chiamata nominativa – autentica rivoluzione che va quasi a far scomparire la chiamata numerica – fa segnalare un aumento degli avviamenti al lavoro proprio in concomitanza con l’emanazione del Decreto legislativo 151/15. La Legge 68 aveva bisogno di una “scossa”, questo è certo, ma solo con la IX Relazione potremo avere un quadro più definito sulla tendenza.

E’ poi proprio di questi giorni l’uscita di una notizia che fa davvero riflettere e che ha una rilevanza europea:  il Gruppo di Studio sulla Disabilità del CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo)  , organo consultivo dell’Unione Europea, ha evidenziato come i lavoratori con disabilità siano ancora a forte rischio esclusione per pregiudizio e stigma, nonostante il loro impatto sul lavoro possa essere molto positivo.

Come Jobmetoo, startup nata nel 2012 di cui io sono fondatore e sono disabile uditivo che ha vissuto sulla propria pelle le criticità del collocamento mirato e che oggi si pone come interlocutore di primo piano per le aziende che devono ottemperare all’obbligo reclutando categorie protette, siamo convinti che, sulla scia di questi timidi ma significativi miglioramenti, sia venuto il momento di condividere pubblicamente “5 Azioni” che possano rendere più moderno, efficace e anche più rispettoso il rapporto tra lavoratori con disabilità e mondo dell’occupazione.

“5 Azioni” per indicare un possibile percorso, imprimere una svolta, ma anche perché l’Italia, nel 2013 ripresa dalla Corte di Giustizia Europea per il fatto di non rispettare la Legge 68/99, possa diventare ispiratrice di un rinnovamento in ambito europeo e internazionale, in quanto non esistono terre felici e tutti i Paesi, anche i più avanzati, si trovano ad affrontare la complessa questione del lavoro delle persone con disabilità, come dimostra le ricerca menzionata.

Le 5 azioni di Jobmetoo

1. Percorso verso la graduale abolizione dell’obbligo di assunzione delle persone con disabilità. È fin troppo evidente che dal mondo delle imprese tale imposizione viene recepita, e di conseguenza elaborata, con riluttanza, sfiducia, pessimismo. Questa premessa non è certo la migliore. Le imprese più virtuose, quelle che sono disposte ad assumere al di là dell’obbligo, percepiscono comunque un peso “morale” molto forte. Nel contempo, il candidato che entra in azienda con questo tipo di humus non può aspettarsi un trattamento veramente alla pari degli altri dipendenti. In conclusione: eliminare l’obbligo significa rimodulare l’incontro tra azienda e candidato su una base diversa e più moderna, soprattutto più equa. Il match deve avvenire esclusivamente sulle competenze e sulla reale compatibilità tra condizione del lavoratore e necessità dell’azienda. Il sistema dovrebbe diventare integralmente premiante: tanto più l’azienda assume persone con disabilità, tanto maggiori saranno gli incentivi e le agevolazioni fiscali.

2. Istituzione di una normativa anti discriminazione molto stringente. Con tempistica strettamente correlata al punto 1), introdurre una normativa anti discriminazione che contribuisca a rovesciare la prospettiva: nessun lavoratore è considerato da tutelare o proteggere – in riferimento alla sua autodeterminazione – ma nessun lavoratore può essere discriminato. Deve esistere un apposito fondo che consenta al lavoratore discriminato di poter tutelare la propria posizione. Il tutto nei limiti dell’”accomodamento ragionevole”, istituto estremamente avanzato che deve essere maggiormente diffuso ed esteso (si veda il punto 4).

3. Obbligatorietà di un Disability manager a supporto delle Aziende private. Figura autonoma rispetto agli altri manager di linea, il Disability manager rappresenta l’interiorizzazione della disabilità nella cultura aziendale. Il vecchio processo, che vedeva “il disabile che entra in azienda accompagnato da esperti, psicologi, associazioni, tutor, interpreti…” evolve in un nuovo processo: “il disabile viene accolto in azienda, nella quale entra con le proprie gambe e senza essere accompagnato (fin quando possibile)”. Il Disability manager è colui che opera per creare le condizioni affinché il lavoratore disabile possa agire nel pieno delle sue potenzialità, diventando una risorsa produttiva, e parimenti aiuta l’azienda di cui fa parte a capire e gestire la disabilità in maniera naturale e senza traumi.

4. Fondo ad hoc per gli “Aggiustamenti ragionevoli”. Introdotto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ripreso dalla Direttiva 2000/78/CE e ridefinito in Italia dal D. Lgs. 151/15, rappresenta l’anello mancante per mettere il lavoratore con disabilità nelle condizioni di agire in condizioni di pari opportunità. Istituire un fondo ad hoc supporta il Disability manager aziendale nel processo di inserimento del lavoratore disabile.

5. Valorizzazione della rete e dei servizi territoriali. Il grande patrimonio rappresentato dalle Associazioni di disabili, che posseggono tra l’altro uno know how di alto valore (spesso non adeguatamente noto), e dal mondo delle cooperative (canali ideali per gestire, dal punto di vista lavorativo, le disabilità più complesse attraverso servizi che si forniscono alle aziende in outsourcing, come avviene oggi con ex Art. 14) riceve impulso dalla presenza del Disability manager che, dalla sua posizione privilegiata, conosce queste realtà e può supportarle valorizzandole al meglio, nel segno di un legame sempre più forte tra azienda e territorio di riferimento. Un principio di sana concorrenza e di ottimizzazione delle sinergie sarà, per le associazioni, un segno del loro progresso verso una gestione più manageriale del non profit.

Conclusioni e auspici

Il linguaggio conta, perché le parole danno la forma al mondo che viviamo. Non si dice più “diversamente abile” e non dovremmo (e non dovremo) usare più l’espressione “inclusione lavorativa”. Il termine “inclusione” presuppone due o più insiemi, mentre le persone del mondo sono un unico insieme, difficilmente categorizzabile. Un insieme sempre più complesso, certamente, ma uno e indivisibile. Non saranno questi punti a far cadere l’obbligo di legge tra qualche giorno, e ogni azione richiede i giusti tempi di maturazione. Il tempo per parlare di questi punti, però, è arrivato, e tutti coloro che sono davvero interessati a rendere le persone con disabilità realmente artefici del proprio destino e le aziende sempre più produttive sono chiamati a sposare una visione che, ci si augura, in un domani diventerà realtà.

Daniele Regolo

fondatore e presidente Jobmetoo

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