Il grande Nord, un modello cui ispirarsi anche per l’Italia

Nel grande Nord, lo Stato si prende cura di tutti i cittadini, diffonde cultura e conoscenza con una prospettiva di lungo periodo, punta su educazione e innovazione. Uno spunto di riflessione interessante sotto elezioni 2018.

Pubblicato il 06 Feb 2018

C’è un angolo d’Europa, solitamente non molto considerato, che trovo affascinante e che apparentemente non gode di molta considerazione nell’area del Mediterraneo. Parlo del grande e “freddo” Nord. Poco si sa e poco se ne sente parlare nel nostro Paese, e molti ignorano l’utilizzo di prodotti e pratiche create in quei Paesi. Da anni ormai le più innovative tecnologie e pratiche vengono sviluppate nelle Università e nelle aziende del Nord, le ricerche vengono promosse, finanziate e distribuite rapidamente. Più mi sono avvicinato a queste nazioni e alle loro culture, più mi sono domandato come abbiano fatto e che cosa ne abbia caratterizzato un successo così rilevante.

Il mio viaggio in questi Paesi cominciò durante il mio Erasmus in Svezia, le mie idee erano perlopiù stereotipi approssimativi e non necessariamente reali. Nel 2013, in Italia sembrava che molti, soprattutto durante gli anni della crisi, fossero in preda a un pessimismo e un fatalismo che Leopardi in confronto era un tipo abbastanza alla mano. Mentre da noi c’era una generale rassegnazione, i Paesi Scandinavi erano dipinti “come le cose dovrebbero essere anche in Italia”. Perché hanno welfare state, un’economia e una burocrazia funzionante e lavoro a bizzeffe. Oggi dopo aver vissuto in Estonia, Svezia e in Danimarca, ho finalmente una visione più critica e ho potuto rendere le mie idee più obiettive e focalizzare aspetti critici del loro vivere, le affascinanti differenze tra loro e noi, ma anche riconoscere aspetti che mi fanno preferire gli italiani (e non è necessariamente il cibo).

Essendo io un appassionato di storia, ho cercato di riconoscere i valori e le caratteristiche più importanti di questa mentalità e da cosa si sono formate. Tentando di rimanere il più obbiettivo ed essenziale possibile, mi sono concentrato sul comprendere perché i nordici siano così riservati e come la fonte di questa abbia influenzato le altre caratteristiche. Per quanto sembri vero che gli stati del nord abbiano vissuto solo nel loro circondario dopo l’era vichinga, ciò non toglie come essi abbiano forgiato la loro identità, mentalità e cultura attraverso secoli di guerre, cambiamenti e rendendosi protagonisti anche di innovazioni sociali, scientifiche e tecnologiche importanti.

I due paesi protagonisti sono (oggi come allora) la Svezia e la Danimarca. Mentre la Finlandia, i Baltici (Estonia e Lettonia in particolare), la Norvegia e l’Islanda sono stati perlopiù vittime delle influenze svedesi e danesi. La Danimarca è una delle nazioni più antiche del mondo con la famiglia reale più antica, tant’è che l’albero genealogico della famiglia della regina Margrethe II, attualmente al trono, risale direttamente fino ai re vichinghi Gorm il Vecchio e Harald Bluetooth (da cui l’omonima tecnologia ha preso il nome).
La Svezia è altrettanto antica, ma è incerta l’origine dei primi re e si perde nella mitologia l’unificazione dei popoli germanici che vivevano in quei territori. Assieme alla Danimarca hanno scritto la storia del Grande Nord, dalla Groenlandia ai Baltici e indirettamente anche dell’Europa e del mondo: pochi ricordano l’invasione Normanna della Britannia, invasione della Sicilia musulmana, i Variaghi cui a Novgorod crearono la Rus di Kiev (quello che diverrà la moderna Russia e Ucraina) e la scoperta di Groenlandia e Islanda. Finita l’era vichinga e allo stabilirsi degli stati nazionali medioevali, le maggiori attività si sono sostanzialmente concentrate nella regione scandinava e baltica, vedendo così la Svezia e la Danimarca uscire di scena dai teatri europei, salvo diverse eccezioni come la Guerra dei trent’anni e le Guerre napoleoniche.
La mentalità scandinava, perciò, si è sviluppata perlopiù nelle regioni inospitali della Scandinavia, e soprattutto tra scandinavi perché nessuna potenza straniera fino alla Seconda guerra mondiale ha mai occupato nessun paese scandinavo. Pertanto, non vi fu mai una cultura aliena che si sia insediata in quei territori, generando disturbo o cambiamenti rilevanti col passato. Invece, le idee e le innovazioni venivano importate tramite il ricco commercio (grazie alla Lega Anseatica) e i viaggi della nobiltà locale nelle altre capitali d’Europa. Alcuni sostengono che la “freddezza” verso gli stranieri degli scandinavi non sia altro che una mentalità tribale (probabilmente vichinga), la quale vedeva nella coesione e cura della comunità come l’unica forma di sopravvivenza in un territorio dal clima ostile e che non perdona errori. Non è strano che ciò abbia portato le comunità del nord a essere lente ad accettare nuovi membri nelle loro comunità, dato che vi è un’innata “fiducia tribale” che dev’essere guadagnata. Ciò è probabilmente alla base del “successo” del socialismo scandinavo, il quale ha definito e sviluppato una politica di welfare chiamata “dalla culla alla tomba”, il cui costoso e complesso funzionamento è basato totalmente sulla fiducia che le persone facciano il loro dovere (pagare le tasse e rispettare le regole) così come lo Stato agisca in modo efficiente ed efficace nell’interesse del proprio paese e dei propri cittadini.

Un breve riferimento bisogna darlo anche alla scelta di questi paesi di abbracciare la dottrina cristiana protestante, in quanto ha portato gli Scandinavi (quanto gli olandesi, inglesi e americani) a sviluppare una cultura del lavoro ferrea (cui ancora oggi contraddistingue questi paesi) e che non condannava il profitto in sé, quanto l’avarizia e l’accumulo di capitali. Ciò ha spinto a una cultura dedita al lavoro, preghiera e d’investimento i quali hanno contribuito alla fondazione di stati solidi ed economicamente prosperi.
Fin qui tutto bene. Ma come sono arrivate queste popolazioni un po’ cupe e schive, a primeggiare nei settori legati all’innovazione e imprenditoria? Da quello che ho potuto vedere, in Scandinavia la cultura e l’educazione sono centrali. Non solo è accessibile a chiunque (il che non necessariamente ne fa una educazione di qualità), ma si promuove una ricerca che supporti le esigenze del mercato del lavoro e della società, aggiornando i programmi di studio con le ultime ricerche e promuovendo il pensiero critico di questi ultimi, invece del solo degli argomenti. Un esempio? Il mio master in Strategic Entrepreneurship conseguito alla Jönköping International Business School è un master creato per rispondere al bisogno del management delle aziende di gestire progetti innovativi o necessità di rinnovamento aziendale (change management). È un indirizzo di studio che progressivamente si sta diffondendo ovunque, ma il fatto che gli svedesi lo abbiano diffuso per primi fa capire l’attenzione sui bisogni attuali del mercato e dei suoi attori, della società e degli individui. Il continuo investimento nelle strutture, nelle ricerche e nei ricercatori, inoltre, fa capire che il fronte temporale considerato è solitamente il lungo periodo. D’altronde non c’è di che stupirsi: nella storia del mondo moltissime civilizzazioni potenti, al loro apice, erano aperte e curiose, sviluppando centri culturali all’avanguardia che promuovevano il dibattito e la ricerca, investendo in infrastrutture e innalzando i loro ricercatori ed esploratori al livello di eroi. La cultura è sempre stato il cuore pulsante di un impero sano ed economicamente prospero, come dimostrato dagli ateniesi ai romani, dall’impero islamico alla Cina.

In conclusione, si può dire che i fattori vincenti di queste nazioni nordiche sono un mix di scelte e necessità. L’unicità della geografia e del clima ha portato piccoli gruppi tribali a sviluppare una mentalità intoccata per secoli e che ha portato a sviluppare un sistema moderno che si prende cura di tutti loro, diffondendo cultura e conoscenza con una prospettiva di lungo periodo. Ciò ha portato ad avere una popolazione mediamente colta e costruttrice, pronta a imbracciare le novità e produrre un diffuso benessere economico. Inoltre, con una mentalità aperta e curiosa nei confronti dell’incerto e della novità e pronta alla sperimentazione, combinata con una profonda etica del lavoro hanno dato origine allo sviluppo di una società che vede le potenzialità nel nuovo e nel diverso, adottando in fretta soluzioni che magari non erano diffuse prima.

Chissà che queste idee non possano gettare le basi per ispirare un “Rinascimento” per l’Italia, includendo certi tratti imparati dai nostri fratelli europei, grazie a quelle generazioni di studenti che hanno studiato all’estero, nella speranza di sbloccare quelle energie, positività e creatività che sembra essersi affievolito in quest’ultimo periodo.

Contributor: Nicklas Pavoncelli, business developer, community manager at TechBBQ

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