Guai, incertezze, debolezze delle scaleup globali

Incertezze, incomprensioni, difficili condizioni di mercato, valore delle azioni che si erodono e perfino azioni criminali. Dalle scaleup globali nelle ultime settimane sono arrivate un po’ di scosse telluriche che aiutano a comprendere come anche quando si è alla guida di aziende che hanno una presenza globale, che magari sono quotate in Borsa, che hanno partner industriali di primo livello, non necessariamente le cose vanno sempre bene. Nelle ultime settimane abbiamo visto il fallimento di WeWork, la condanna del fondatore di FTX Sam Bankman-Fried, le dimissioni di Whitney Wolfe Herd dalla guida di Bumble da lei fondata, e il gran pasticcio di OpenAI con l’allontanamento del CEO Sam Altman, sostituito ad interim prima dalla CTO Mira Murati – professionista e manager di origine albanese essendo nata a Vlorë – e poi da Emmett Shear ex CEO e co-fondatore di Twitch dopo che era stato proposto ad Altman di tornare a seguito delle pressioni che gli investitori hanno fatto sul board della società che sta dietro a ChatGPT. Andiamo con ordine. il caso di FTX  è piuttosto lineare , si tratta di una truffa che Bankman-Fried a perpetrato alle spese di chi aveva usato la sua piattaforma che exchange di criptovalute ed è rimasto fregato dal fatto che l’intera faccenda si è rivelata un vero e proprio furto, volendo la si può definire come una truffa sofisticata che ha retto per un bel po’, che ha costruito scatole cinesi, che ha avuto dei complici, ma sempre truffa resta come truffe furono quelle di Theranos e di Frank  per le quali Elizabeth Holmes e Charlie Javice stanno scontando anni di reclusione. Guai grossi furono anche quelli nei casi della tedesca Wirecard e dell’italiana Bio-on che hanno costruito il loro business su promesse mai mantenute, nel primo caso si trattava di una fintech, nel secondo di una biotech che prometteva di avere inventato un materiale rivoluzionario per sostituire la plastica. Ora le porte del carcere rischiano di aprirsi anche per Bankman-Fried che rischia fino a 110 anni di condanna . Nel caso di WeWork possiamo parlare di lenta agonia: il colosso dei co-working con 777 location in 39 Paesi che dopo essere passata per le bizzarrie del suo fondatore Adam Neumann e i successivi salvataggi operati dagli investitori con in testa il colosso giapponese SoftBank, non ha retto all’onda lunga della pandemia e l’azienda, che raggiunse la valutazione di 47 miliardi di dollari, è ora formalmente fallita dopo avere presentato domanda per il Chapter 11 – la formula che si usa negli Stati Uniti in questi casi – lo scorso 6 novembre. Il fallimento di WeWork avrà conseguenze a lungo termine non solo sull’azienda e i suoi investitori ma sull’intero mercato immobiliare, sopratutto quello delle grandi città, dove molti proprietari hanno investito soldi per affittare spazi a WeWork potendo contare su un’entrata che rischia di non arrivare più. Ancora diversa la storia di Bumble, la app di dating fondata da Whitney Wolfe Herd nel 2014 dopo essere uscita dal team di Tinder che aveva contribuito a fondare e avere creato l’applicazione pensando soprattutto alle donne. Wolfe Herd aveva portato Bumble in Borsa nel 2021 e ora ha deciso di lasciare l’incarico di CEO a favore di Lidiane Jones che a sua volta lascia la guida di Slack, la piattaforma di comunicazione e collaborazione posseduta da Salesforce. Wolfe Herd rimarrà nel consiglio di amministrazione e resterà in carica fino al 2 gennaio 2024 e la sua decisione è dovuta al fatto che la società continua a perdere valore in Borsa e quindi gli investitori provano la mossa del cambio al vertice. E infine la pazza, o meglio pasticciata, questione di OpenAI che nel giro di 24 è passata dal silurare il CEO Sam Altaman e con lui altri pezzi grossi dell’organizzazione, tra cui il presidente Greg Brockman, per poi improvvisamente tornare sui suoi passi e chiedergli di tornare e poi virare nuovamente su una nuova soluzione inanellando così tre CEO diversi in tre giorni. Una dimostrazione di profonda incertezza della governance di quella che è la principale azienda tecnologica nel settore dell’AI generativa che ha messo di fronte le decisioni del board, che ha voluto cacciare Altman perché giudicato poco trasparente nelle sue comunicazioni al board stesso, a quelle degli investitori, che invece evidentemente giudicano dannosissima la cacciata del CEO che ha condotto l’azienda fino a venerdì 17 novembre 2023. Qui la questione è tutt’altro che chiusa e TheVerge ne fa una cronaca in tempo quasi reale. Tra gli investitori di OpenAI ci sono Microsoft, Reid Hoffman che fu co-fondatore di Linkedin e che però a marzo scorso ha lasciato la carica di membro del board di OpenAI per evitare conflitti di interesse con altri suoi investimenti, Peter Thiel e Jessica Livingston di Y Combinator. Ora l’azienda è nelle mani di Emmett Shear ex CEO e co-fondatore di Twitch che è subentrato a Mira Murati CTO di OpenAI che ha assunto la carica ad interim per un solo giorno, ma la partita è rimasta aperta fino a che il CEO di Microsoft Satya Nadella ha fatto sapere che Altman e Brockman assumono l’incarico di guidare il team di ricerca sull’AI della società da lui guidata, Nadella ha anche sottolineato che l’impegno di Microsoft nel supportare OpenAI e il suo nuovo CEO resta attivo a pieno regime. Nel frattempo alcuni manager di OpenAI hanno scritto una lettera aperta sfiduciando il board al quale è stato chiesto di dimettersi per essere sostituito da un gruppo di persone di fiducia che avranno il compito di fare tornare Altman e Brockman, altrimenti, dicono i manager tra cui la stessa Murati, anche loro lasceranno OpenAI per confluire nel team AI di Microsoft. Insomma una sorta di telenovela dove tutti vogliono avere un ruolo e dove si pestano i piedi a vicenda senza però che siano ancora emersi i veri motivi per cui inizialmente il board ha voluto allontanare Altman. E l’operazione è riuscita: Sam Altman è tornato a fare il CEO di OpenAI, insieme a lui sono arrivati anche l’ex CEO di Salesforce Bret Taylor e l’ex Segretario al Tesoro USA Larry Summers nel ruolo di direttori del board.

La sfida dell’innovazione e dell’impresa

Benché i casi che hanno animato la cronaca di questi giorni siano tutti diversi tra loro, è interessante osservare come anche aziende che si sono consolidate, che hanno creato nuovi modelli di business, che hanno sviluppato nuove tecnologie, che hanno avuto impatto sui mercati globali, sono tutt’altro che immuni ai rischi, è una crescita costante quella che chi fa imprese innovative deve perseguire, una crescita che può avere momenti di grande sviluppo così come momenti di forti imprevisti che possono arrivare per diverse ragioni: incapacità di gestione, dolo, repentini cambiamenti di mercato, conflitti tra manager, board, investitori. Episodi che ci ricordano come fare imprese innovative capaci di crescere, di misurarsi ogni giorno con clienti e partner, capaci di re-inventarsi per fare fronte ai più disparati scenari di business, di governance, di innovazione tecnologica, è e resta una sfida quotidiana sia che si tratti di una startup early stage che muove i primi passi sia che si tratti di una scaleup che opera in tutti i principali mercati del globo. (Foto di Marcus Woodbridge su Unsplash )

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