Instilla, startup nel web atto terzo: meglio ma ancora sotto la sufficienza

La terza edizione della ricerca di Instilla sulla qualità del posizionamento delle startup italiane nel web mette in evidenza miglioramenti ma non è ancora sufficiente

Pubblicato il 16 Mar 2019

Per il terzo anno consecutivo Instilla pubblica il report che analizza come le startup italiane si propongono su internet: se hanno un sito web, se funziona bene, se è mobile compatibile, se è Seo compatibile, insomma se è utilizzato come strumento efficace a sostegno del business oppure no. Il report del 2017 lo abbiamo pubblicato qui , e il report nuovo, quello relativo ai dati raccolti nel 2018, lo potete scaricare qui, e in entrambi i casi i risultati sono ancora deludenti.

Ci si aspetterebbe che le cosiddette startup innovative, quelle che si iscrivono come tali all’apposito registro di Stato istituito nel 2012, siano attive e ben posizionate sul web, invece emerge che solo il 3% di loro ha un sito web dotato di tutte le caratteristiche necessarie perché sia vero strumento a supporto delle attività dell’azienda. È quasi superfluo sottolineare come questo indicatore è anche figlio del fatto che nel registro evidentemente ci sono anche aziende ‘apparenti’, si pensi che vi è perfino una percentuale di nomi di dominio di queste startup che sono in vendita, e non solo aziende di fatto come invece dovrebbe essere. Questo è un limite che il registro ha per come è stato pensato e che lo porta a valorizzare elementi che sono lontani da quelli del mercato con il risultato che le tanto decantate 10mila startup alla resa dei conti sono molte meno, se si contano solo quelle che fanno veramente innovazione e che fanno veramente business. Abbiamo scritto più volte che il registro andrebbe rivisto e i suoi criteri modificati per essere più aderenti a quelli di mercato. Ma torniamo alle startup italiane e alla loro presenza sul web.

Direi che stiamo migliorando – dice Alessio Pisa, Ceo di Instilla a Startupbusiness – , siamo al terzo anno consecutivo e i dati ci dicono che il trend è positivo, ma siamo ancora molto lontani dalla sufficienza. Avere una presenza digitale non significa solo essere presenti sui social network ma è un percorso ben più ampio che deve incidere attivamente sullo sviluppo delle aziende”.

E qui vi è un primo elemento di riflessione: cosa si intende per presenza digitale. La dicotomia è netta: c’è da un lato chi ha capito che gli strumenti digitali sono fondamentali per il business, qualsiasi esso sia, e chi invece continua a sottovalutarne l’importanza e si limita a illudersi che un post qua e la possa essere sufficiente. C’è poi chi ha compreso che questa cosa va fatta in modo professionale e chi invece si affida ancora all’amico o al cugino di turno con risultati spesso deludenti.

“Penso che l’osservazione più centr

ata sia stata fatta dal pubblico durante la conferenza di presentazione della ricerca – enfatizza Pisa -. ovvero quanto incidono le persone alle quali ci affidiamo nel nostro posizionamento digitale. C’è un’evidente confusione su cosa è giusto fare o non fare e di quelle che dovrebbero essere le attività da svolgere per aiutare il nostro business ad avere maggiore visibilità. Il cambiamento dovrebbe passare prima di tutto dalla formazione perché le vie del digitale sono tante, cambiano velocemente e tanti sono gli interlocutori che portano entropia generando ancora più confusione. I canali digitali sono una determinante della nostra quotidianità e nonostante questo, ancora non ci si ferma a riflettere sull’impatto che potrebbero avere nel nostro business. Non ci si ferma a riflettere sui nostri comportamenti quotidiani, su come cerchiamo le informazioni su come decidiamo a che brand affidarci, su come facciamo acquisti o scegliamo il ristorante. È come se queste dinamiche riguardassero solo i business degli altri e non il nostro senza interrogarci su quella che potrebbe essere l’esperienza inversa”.

Sono appunto il business e il mercato che devono guidare l’impegno anche sul fronte della presenza sul web delle aziende, ed è per questo che spostando l’asse dalle startup iscritte al registro di stato a quelle che invece fanno parte delle ‘scuderie’, quindi che sono sostenute da un incubatore, acceleratore, investitore, quindi che sono partecipate da terzi i quali hanno interessa a valorizzare i loro investimenti e per farlo spingono affinché le startup in cui hanno investito si pongano nel modo migliore possibile sul mercato, emerge come i dati migliorino nettamente.

È facile quindi intuire che quando intervengono interessi di mercato, quando vi sono aziende che veramente stanno impegnandosi per sviluppare il loro business, anche spinte da chi ha creduto in loro, pure la qualità della presenza sul web aumenta in modo esponenziale. La ricerca infatti evidenzia che le startup che lavorano con investitori, incubatori e acceleratori arrivano a una percentuale di efficienza del sito che supera anche l’80% come accade per quelle che fanno capo a United Ventures, Cesena Lab e Primo Miglio che risultano le migliori nel ranking.

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