La forma mentis per superare il fallimento

Pubblicato il 31 Dic 2019

Jack Welch CEO della General Electric restò famoso per tante cose, ma la principale era che lui assumeva come dirigenti del gruppo industriale solo professionisti che nel loro curriculum avevano avuto qualche battuta d’arresto importante, qualche fallimento. E che poi dal fallimento si erano risollevate e rafforzate.

Il fallimento per Welch non era solo una normale eventualità della vita personale e professionale di una persona. Ma un requisito della job description. Immaginate di trovare un’offerta di lavoro che inserisce oltre ai soliti requisiti (lingua inglese, almeno 3 anni di esperienza nel marketing) almeno un fallimento. Una pesante battuta d’arresto. Finito il sogno. In Italia questo non accade. Per il momento.

Carol Dweck docente di psicologia alla Stanford nel suo fondamentale libro “Mindset” (ed. Franco Angeli) parla di due forme mentis che guidano il nostro comportamento. Una forma mentis statica e una forma mentis dinamica.

Secondo la forma mentis statica le qualità intellettuali e morali di una persona sono date una volta per tutte. Si nasce con una determinata dotazione di qualità e difetti. E si passa tutta la vita a dimostrare a se’ stessi e agli altri di avere tali qualità. Il tratto distintivo di questa forma mentis è “dimostrare”.

Secondo invece la forma mentis dinamica invece conta il percorso. Le qualità e i difetti non sono scolpiti nella pietra. Possono evolversi in peggio, con il disimpegno, e in meglio con lo studio, l’impegno e l’abnegazione. Il tratto distintivo della forma mentis dinamica è l’apprendimento.

Il concetto di fallimento nei due approcci è completamente diverso. Nel primo caso (statica) il fallimento è la dimostrazione della nostra incapacità e inadeguatezza. E’ come la diagnosi di una malattia cronica. Nel secondo caso (dinamica) è il segno che non siamo ancora riusciti a risolvere “quel” determinato problema.

Dweck spiega che le forme mentis possono modificarsi. Possiamo scegliere se adottarne una o l’altra. Anche se la cultura, l’educazione, le nostre esperienze ci spingono in un senso o nell’altro.

Quando falliamo la prima cosa che pensiamo è di non essere adeguati al mestiere di imprenditori. Ci diciamo: “ok, ci ho provato, mi sono impegnato, ho dato tutto me stesso, evidentemente non sono tagliato per questa cosa”. E’ la forma mentis statica a parlare. Quella dinamica lancerebbe un messaggio completamente diverso: “Era un’impresa straordinariamente complicata, ci sono andato vicino. Ho imparato un’infinità di cose. Ora mi sento pronto per una nuova sfida”.

Possiamo decidere se adottare una forma mentis o l’altra. La nostra mente è plasmabile. Se scommettiamo sulla forma dinamica, la nostra vita professionale inizierà a sembrarci una grande avventura, un percorso a ostacoli pieno di sfide e di opportunità. Nell’altro caso invece lotteremo sempre con il bisogno di dimostrare di essere adeguati e intelligenti. Senza la forza di rialzarci dopo le inevitabili cadute. Che ci sembreranno la prova della nostra inadeguatezza.

Pierluigi Casolari, imprenditore digitale seriale, Ceo di YoAgent

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