intervista

Marco Trombetti, nuova visione per nuova imprenditorialità

Il fondatore di Translated e Pi Campus racconta la sua visione e le sfide: le sue imprese, la centrale idroelettrica, la regata attorno al mondo, il ruolo dell’Europa e dell’Italia

Pubblicato il 27 Dic 2021

Marco Trombetti è tra i primi imprenditori italiani a utilizzare l’energia necessaria che serve alla sua azienda in maniera green, Translated, con la quale ha creato un fondo di venture capital, Pi Campus, e da poco chiuso un accordo con Airbnb. Eppure egli non smette di avere ancora tante idee e iniziative con le quali dimostra come in Italia si possa fare innovazione senza scendere a compromessi. Con questa intervista scopriamo la sua storia.

Translated e Airbnb

Translated ha da poco firmato con Airbnb il più grande contratto mai chiuso a livello mondiale nel campo delle traduzioni. Cosa ha spinto Airbnb a scegliere Translated come partner e quali sono stati gli elementi per risultare preferiti rispetto ai concorrenti?

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Translated è il risultato di un impegno di tantissimi anni, in cui numerose persone hanno lavorato per ottimizzare qualsiasi dettaglio e processo, scavando in profondità più di chiunque altro. Quando un cliente grande, che ha la capacità di riconoscere il valore, vede queste cose, non ha dubbi. E poi siamo italiani. Sembra un paradosso, e invece ci sono delle cose che in Italia puoi fare molto meglio che in America. Se vuoi fare un nuovo database è possibile che la Silicon Valley sia il posto più adatto, ma se vuoi fare un nuovo e-commerce fashion (es. Yoox) non c’è modo di farlo in California. Lo fai in Italia perché hai i produttori a portata di mano e i clienti che comprano moda più degli americani. Hai quindi tutto l’ecosistema per creare successo. La traduzione è una di quelle cose che in Europa facciamo meglio di chiunque altro, perché in questo time zone noi abbiamo accesso a tutta le diversità linguistica che vogliamo. Quindi hai operation e cultura. Nessuno di noi può fare un grande business in Europa senza pensare globale. La lingua è un problema che tutti affrontiamo presto, e in Europa abbiamo la cultura della diversità linguistica e accesso alle risorse. Pensa invece a gestire dalla California le operation di 1200 traduttori con nove ore di fuso orario.

Translated, verso un’energia green

Nell’anno del Green Deal europeo l’obiettivo è quello di ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 per fare dell’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Translated alla ricerca di una fonte di energia alternativa e a emissioni zero ha scovato una vecchia e dismessa centrale idroelettrica, ideata nel 1895 da Hermann Einstein, il padre di Albert, e nota come “Luciòn”, poi abbandonata negli anni Trenta con un programma di ammodernamento voluto da Mussolini (ne ha scritto anche il Wall Street Journal, ndr). Attualmente Translated con quale energia è alimentata?

Oggi utilizziamo energia in due modi: per alimentare i data center, in US e Europa, e per alimentare il nostro Campus a Roma. L’idea del Luciòn è nata quando mi trovavo negli Stati Uniti presso il nostro data center di Santa Clara: lì ho visto il generatore a gasolio acceso. Allora ho subito pensato che ci fosse stato un blackout. Poi ho scoperto che siccome c’erano stati problemi di erogazione per i quali non era stata fornita al data center la quantità di energia necessaria, veniva comunque tenuto acceso il generatore a gasolio per alimentare una parte del data center, ergo: i nostri server andavano a gasolio. Puoi immaginare il seguito: da quel momento ci siamo detti  che serviva cambiare. Noi pagavamo per l’energia verde – così ci dicevano i nostri fornitori. Con questo episodio, abbiamo capito di non fidarci più del sistema. Allora abbiamo realizzato che ci sarebbe servita una fonte di energia rinnovabile e duratura nel tempo, non solo perché la nostra preoccupazione era ed è quella di produrre noi stessi l’energia che ci serve da fonti rinnovabili, ma perché vogliamo produrla con un profilo d’uso simile a quello con cui la consumiamo. Sennò ci sarebbe il solito problema: tu la produci, ma poi serve qualcun altro che la deve stoccare, e questo è un altro problema. Ecco allora il Luciòn: una centrale idroelettrica che ha un profilo d’uso, di generazione della corrente molto simile al nostro e che ci permette di minimizzare lo stoccaggio nella rete. Con 200 kW ci alimenta i due data center e il Campus, quindi il 100% della nostra necessità.

Nonostante la possibilità di adottare strategie diverse per avere un impatto zero sull’ambiente, come i criteri ESG, o ulteriori fonti di energia pulita come per esempio l’idrogeno verde, quali sono state le motivazioni per Translated di scegliere proprio una centrale idroelettrica?Pur essendo rinnovabile, l’energia idroelettrica ha un notevole impatto ambientale. Con quali misure Translated renderà l’energia idroelettrica ecologica e sostenibile?

Abbiamo valutato tutte le fonti di energia, dall’eolico al solare. Il solare ha un grandissimo potenziale (200 watt di radione per mq), tuttavia il profilo di generazione dell’energia è molto diverso dal profilo d’uso che abbiamo noi: con i data center per AI abbiamo un profilo d’uso della corrente che è quasi piatto durante la giornata, ovvero scende leggermente durante la notte europea, quindi eolico e solare hanno dei profili della generazione della corrente non adeguati al nostro bisogno. E poi qualcun altro l’avrebbe dovuta stoccare. Se dovevamo essere completamente indipendenti dovevamo stoccarla noi, e oggi le forme di stoccaggio sono piuttosto inefficienti, non solo, ma siccome sono nuove produrrai nuova CO2 per creare degli oggetti di stoccaggio che poi diventeranno positivi verso la fine del ciclo di vita (se stocchiamo con batterie). Non volevamo aggiungere ulteriore stoccaggio di energia, quindi siamo andati sull’idroelettrico prima di tutto perché aveva un profilo più simile, dopodiché tra l’idroelettrico possibile, abbiamo scartato tutti quelli che avevano diga o bacino, perché dal punto di vista non di CO2 ma di impatto ambientale e di sicurezza non erano in linea con i nostri standard; preferivamo prendere altri rischi di altra natura e quindi abbiamo scelto una soluzione di free flow, in quanto Luciòn è una centrale che sfrutta un canale artificiale, l’Agognetta, un canale che è stato fatto per l’irrigazione dei campi, creato tra il torrente Agogna e il Po; quindi grazie all’Agognetta, in free flow, passa l’acqua che fa girare le turbine, senza creare bacini artificiali di stoccaggio dell’energia. Inoltre il Luciòn ci permette di non produrre nuova CO2 per la costruzione: avremmo potuto prendere una vecchia centrale idroelettrica qualsiasi – inizialmente addirittura cercavamo mulini dove avremmo dovuto immettere il generatore e le turbine – ma in seguito avremmo dovuto far fronte ai costi e dispendio energetico per rimetterla a nuovo. La fortuna del Luciòn è di essere una centrale già costruita, dove abbiamo dovuto fare solo un’opera di restauro e per noi il riuso è un’altra componente importante del nostro programma: anche con Pi Campus decidemmo così, non come Apple di creare un Campus da zero, nuovo e con un costo di miliardi di dollari e materiali ad impatto CO2 che si ammortizzeranno in quarant’anni; ma abbiamo optato per il restauro di sette ville, bellissime, e farle diventare un luogo di lavoro.

In quanto tempo Translated riuscirà a ricoprire l’investimento iniziale per l’acquisto e messa in funzione della centrale?

In dodici anni. Questa per me è stata la sorpresa migliore: all’inizio credevamo di fare questa iniziativa perdendoci soldi. L’idea era “facciamo quello che è giusto non quello che è conveniente”; quindi con il fatto che i consumi dei nostri data center stavano raddoppiando ogni due anni, ci siamo detti “se continuiamo così, mentre Translated avrà successo, noi faremo un disastro”. Invece quello che abbiamo scoperto è che tra acquisto e ristrutturazione abbiamo speso circa un milione di euro, e ci renderà già quest’anno il 6% netto di profitti. Quindi non solo abbiamo buttato via la modalità normale di approvvigionamento energetico trovandone una green, ma è un investimento che porta profitto. E questo per me era totalmente inaspettato.

Certo ci sono dei rischi in Italia per puntare sull’idrogeno, ma perché non farlo?

Premetto che la mia risposta farà innervosire diverse persone perché un po’ fuori dal coro. Per noi l’idrogeno non ha alcun interesse nel futuro perché non ha il potenziale di fare il bene. Guardiamo all’idrogeno verde, l’unico a non produrre CO2, e proviamo a simulare un sistema: mettiamo un pannello solare con il quale prendiamo l’energia, facciamo elettrolisi – uno dei processi più inefficienti che c’è – per usare l’energia che servirà a spaccare in due l’atomo e ricavare l’idrogeno. Ora dobbiamo utilizzare ulteriormente energia per comprimere l’idrogeno a una pressione altissima per farlo liquido. Poi utilizziamo un altro po’ di energia per trasportarlo, dopodiché nella macchina o oggetto dove dobbiamo produrre energia ricombiniamo l’idrogeno e l’ossigeno. Ora, dall’energia che abbiamo utilizzato fino a quella che finirà per esempio per muovere la ruota di una macchina, ne abbiamo persa una quantità mostruosa. Invece se prendi un pannello solare e ci ricarichi una macchina al litio ti porti a casa due o tre volte l’efficienza di energia. Inoltre l’idrogeno verde non ha il potenziale di miglioramento, cioè il processo di elettrolisi non potrà essere migliorato in efficienza di un ordine di grandezza, al contrario, invece, sulle batterie nei prossimi vent’anni si potranno fare super condensatori, strutture al grafene che riescono a stoccare l’energia in modo superiore.

L’unico motivo per il quale la Commissione europea vuole l’idrogeno e perché i vari governi lo impongono è per un enorme conflitto di interessi: loro possiedono le nazionalizzate petrolifere che col processo di elettrificazione salterebbero per aria e i governi perderebbero miliardi e miliardi di dividendi pubblici. Quindi per loro l’idrogeno è il modo migliore per riutilizzare le infrastrutture che abbiamo. Per esempio la logistica di distribuzione del carburante: invece che fare petrolio produrrebbe idrogeno. Dobbiamo essere intellettualmente onesti. E invece la settimana scorsa in Commissione sono riusciti a dire che il gas è un’energia green.

Un’azienda che sfida la tecnologia. Translated e l’Ocean Globe Race

Nel 2023 si celebrerà il 50° anniversario della storica Whitbread race. Nella Ocean Globe Race 2023 parteciperà anche Translated. Per rispecchiare la sua prima edizione (1973) nella competizione non saranno previste l’uso di apparecchiature di navigazione o software per le previsioni del tempo, eliminando quasi del tutto la tecnologia dalla gara. Cosa ha spinto Translated a gareggiare? Potrebbe sembrare ambigua la scelta di partecipare a una gara “magra” di tecnologia per una società innovativa?

Con questa regata vogliamo ribadire i valori in cui crediamo. Translated fa intelligenza artificiale per sostenere gli umani, a favore dei traduttori professionisti, e non per rimpiazzarli, e dal lontano 1999, dove in quegli anni parlare di AI era irrisorio. Poi è arrivato l’hype dell’intelligenza artificiale e tutti quanti hanno incominciato a vederla come la panacea per risolvere qualsiasi tipo di problema. Noi invece abbiamo capito che c’è un’opportunità molto più grande nel supportare gli esseri umani piuttosto che nel cercare di sostituirli con la tecnologia. L’industria della traduzione vale 50 miliardi di dollari: se rendi i traduttori il 20% più veloci, più creativi e bravi nel fare il loro lavoro, hai creato un valore di 10 miliardi; i traduttori automatici (Google Traslate, Amazon ecc…) totalmente fatturano 250 milioni. C’è quindi più potenziale ad aiutare gli umani che sostituirli. È la centralità dell’umano che permette all’economia di andare avanti. Noi abbiamo questo motto che è “We believe in humans”, ovvero senza le macchine possiamo andare avanti, ma senza gli umani no. Allora in un mondo che punta all’intelligenza artificiale davanti a tutto, noi, con questa iniziativa, vogliamo ricordare che tra gli umani e le macchine togliamo le macchine: andiamo a fare il giro del mondo senza tecnologia, e noi ci riusciamo. Oggi dubito che le macchine lo possano fare allo stesso modo.

Tutte queste iniziative come rispecchiano la cultura aziendale e quindi i valori e vision di Translated? Come sceglierete i candidati e qual è quello ideale per Translated?

Abbiamo scelto la vela proprio per i motivi ambientali ed ecosostenibili: di certo non avremmo fatto una gara automobilistica. Una barca l’abbiamo in Italia e una a San Francisco. A San Francisco facciamo il training con Paul Cayard che allena parte dei nostri clienti e partner selezionati per la regata, e anche qui in Italia stiamo facendo selezione.

Io non sono mai salito su una barca a vela. Questa regata l’abbiamo scelta anche perché chi l’ha vinta nella prima edizione è passato alla storia: l’imbarcazione era la Sayula II, governata da un gruppo di messicani nuovi alla vela, eppure hanno battuto la marina francese e inglese. Noi cerchiamo persone che prima di tutto abbiano un grande cuore, capaci di dare agli altri più di quanto gli viene richiesto e che abbiano una grandissima resilienza. Delle 35 persone che faranno parte dell’equipaggio totale, tre sono professionisti, gli altri saranno persone comuni, appassionati di vela, inesperti che magari hanno un grande spirito d’avventura.

L’innovazione in Italia

Sei mesi fa il Presidente della Repubblica di Francia Emmanuel Macron nell’evento VivaTech ha dichiarato “La Francia vuole investire altri 10 miliardi in startup e PMI innovative”. Vuole essere la Startup Nation d’Europa. Nella prima metà del 2021 l’Europa ha superato gli Usa come ecosistema innovativo emergente e i finanziamenti di VC in tutto il mondo sono saliti del 95% a 288 miliardi di dollari. Ma l’Italia continua a non crescere. I dati OCSE dicono che l’Italia ha un punteggio buono in materia di regolamentazione del mercato dei beni, avendo apportato miglioramenti significativi al regime previsto per le imprese startup. Ma ci sono ancora aziende online dinamiche, per esempio proprio Airbnb o Uber, che si trovano a dover rallentare la loro produttività per l’ostacolo delle normative italiane, le quali in questi casi prevedono l’obbligo per i conducenti di fare ritorno in un luogo specifico o per i proprietari delle case in affitto di attenersi a procedure complicate. Perché l’Italia non riesce ad avere i numeri e fare come la Francia? Qual è il problema italiano?

Francia, Germania e Spagna hanno come costo di produzione di unicorni metà dell’Italia, quindi sono macchine più efficienti, a parità di soldi, nel creare successo tecnologico. L’Inghilterra è tre volte l’Italia. Gli Usa mostruosamente di più. Nel momento in cui noi avremo una macchina che produce valore allora avrà senso metterci i soldi: a oggi, l’Italia è una macchina inefficiente perché è come se partisse già in negativo. Nel passato il tasso di investimento in VC è stato scarso, ma se guardi i nuovi unicorni il tasso necessario di capitale per unicorno è migliorato. Io non sento la pressione fortissima che lo Stato metta capitali nel VC ora, perché se lo fa ho paura che quei soldi vengano bruciati e quando poi veramente serviranno, mancheranno. Detto ciò, io ho zero zero zero spaccato fiducia che l’Europa e i politici italiani comprendano qualcosa di innovazione. Il loro modo di ragionare è totalmente disallineato con la modalità di creazione di valore attraverso la tecnologia. Nessuno in Europa crede che potremmo diventare un’Europa migliore grazie alla tecnologia, mentre gli americani sì. Tutte le cose che l’Europa ha fatto in quella direzione sono tutte cose di protezione del cittadino da rischi potenziali dalla tecnologia. Zero attività fatte per cercare di creare un ecosistema tecnologico più forte nel futuro. Prima dei soldi nel VC servono quelli nella ricerca, perché se non hai le persone per fare le cose, ma come le fai? Un esempio è la cookie law, una legge sbagliatissima: ha creato 20-30 miliardi di costi nell’ecosistema nel modificare tutti i siti web per metterci un banner, con la totale incapacità di discriminare il tracciamento positivo da quello negativo. E il nuovo regolamento dell’intelligenza artificiale su cui stanno lavorando al Parlamento europeo è l’ennesima prova e la nuova cookie law, però stavolta “drogata con steroidi”.

Airbnb, Uber e Youtube non nascono in Europa perché sembrano delle violazioni della legge all’inizio. In Europa sono state ostacolate a priori, negli Usa no: nessun imprenditore avrebbe avuto il coraggio di investire per fare tali aziende in Europa. L’innovazione nasce perché è deregolamentata: la regolamentazione è l’opposto dell’innovazione. E sono passati già vent’anni.

Nel tuo libro “Il nuovo Principe: perché e come fare startup” citi dei personaggi cui dovremmo fare riferimento come modelli, per esempio Bill Gates, Steve Jobs e Elon Musk, affermando che “gli individui che hanno maggior successo sono anomali”.  In Italia, ci sono di questi individui? Cosa serve in Italia per avere un modello di imprenditore digitale?

Credo che il talento al mondo sia distribuito equamente sul pianeta, ma le opportunità no. In Italia serve che la persona con talento abbia successo e dimostri nell’ecosistema locale che sia possibile. Il problema è il resto della società che non crede che sia possibile. Quando ci sarà tale persona, tutte la seguiranno.

L’ultimo capitolo, quello su tuo nonno, mi ha fatto molto riflettere, lasciandomi una grande emozione: uno dei pochi soldati italiani tornati dalla Campagna di Russia grazie al salvataggio di una famiglia del posto. In questa parte del libro parli della felicità, che si ottiene da un “lavoro ben fatto”, come ti diceva tuo nonno: qual è a oggi il tuo lavoro che reputi “ben fatto”?

Io ho preso a cuore il problema della traduzione. Quando parlo del “lavoro ben fatto” intendo non cedere alle tentazioni di fare profitti facili, per cercare di compiere il lavoro fatto bene. Per esempio: con la tecnologia della traduzione effettivamente puoi dire “facciamo un traduttore automatico che ci risolve il problema della traduzione”, quindi tecniche di breve termine per monetizzare un pochettino. Ma la lingua è un qualcosa che ha bisogno di tantissimo tempo e deve lavorare in simbiosi tra umani e macchine per creare un percorso ecosostenibile. L’idea di lavoro ben fatto è quello di creare degli strumenti a servizio di altre persone che possano a loro volta creare del valore con quello che tu hai creato: una catena di creazione del valore. Per me è la lingua, il linguaggio: l’evoluzione dell’uomo è stata data dalla sua cooperazione e comprensione. Quindi da quando abbiamo sviluppato il linguaggio complesso ci siamo evoluti rispetto alle altre specie in maniera molto rapida. Oggi il limite ancora esistente è che l’interazione e la comprensione l’abbiamo localmente. Se riusciamo a permettere a tutti sul pianeta di cooperare allora tutto è possibile: climate change, vita extraplanetaria, tutto è possibile. Quindi il lavoro ben fatto per me è creare strumenti per le altre persone che le aiutino a cooperare tra loro, perché solo cooperando i problemi saranno molto più facili da risolvere per tutti.

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