MIT Bootcamp, lesson learned: il fattore umano

Pubblicato il 20 Mag 2016

Si chiude con questo quarto ed ultimo articolo la mini serie “MIT Bootcamp Diaries” dove Rachel Hentsch Spadafora, business developer di useit, ci racconta la sua esperienza al MIT Global Entrepreneurship Bootcamp.

– La MIT Bootcamp Experience: il Human Factor come l’inizio di un cammino verso infinite possibilità

Come narravo nel primo episodio dei “MIT Bootcamp Diaries”, quindici mesi fa mi iscrivevo quasi per gioco ad un corso online del MIT, chiamato Entrepreneurship 101. Micro-evento individuale, al limite dell’impercettibile, che con ogni mio successivo collegamento online ha man mano intensificato il mio impegno, finendo per generare l’impulso travolgente che mi ha proiettata verso vertiginosi nuovi orizzonti: letteralmente fino all’altra parte del mondo. Da Roma a Seoul, per una settimana indimenticabile in mezzo ad altri 73 prescelti di 36 diverse nazionalità, per lavorare in gruppi formati ad hoc alla costruzione accelerata di un’impresa: con degli sconosciuti, partendo da zero, attraverso la primary market research, fino a livello pitch, in meno di una settimana.

WHITEPAPER
Cosa si può chiedere a ChatGPT? Scarica la guida 2023: consigli per l’uso, esempi ed opinioni

Abbiamo conosciuto la frizzante città di Seoul (sharing city), gustato i suoi saporiti cibi, vissuto la giustapposizione tra antichi templi e moderni grattacieli, esplorato intensamente il suo ecosistema imprenditoriale. Abbiamo osservato le infinite opportunità locali e globali create ed alimentate da una pubblica amministrazione fortemente sostenitrice dell’innovazione e dello sharing, come percorso ottimale verso un futuro migliore. Abbiamo seguito ed ascoltato docenti ed oratori d’eccezione provenienti da tutti i continenti del globo, che ci hanno insegnato quello che solitamente si impara in due anni di business school.

2016 MIT Global Entrepreneurship Bootcamp: Seoul

Vedo nitidamente i principali fattori chiave che vanno a comporre l’unicità dell’esperienza MIT Bootcamp nel suo complessivo:

1) L’abilitatore tecnologia: l’utilizzo di internet come punto di partenza del tutto, in quanto strumento di diffusione, di decentralizzazione e di democratizzazione dell’istruzione—una mission ormai possibile, potente, e soprattutto eticamente nobile.

2) La componente location: abbiamo avuto la fortuna di essere i cavea per la prima edizione del MIT Bootcamp “on the road” (anziché “on campus” al MIT come era finora avvenuto), fatto che ha sicuramente ampliato le nostre percezioni del mondo come realtà globale sopratutto in termini di visione imprenditoriale futura.

3) L’apporto pratico-didattico di docenti e relatori: non solo ci hanno nutriti con un fittissimo programma imprenditoriale, ci hanno inoltre trasmesso (attraverso parole e azioni) come serietà e divertimento possono sposarsi fruttuosamente e alimentarsi a vicenda, nelle giuste proporzioni e nel giusto ordine.

Vorrei però soffermarmi ora, in questo ultimo episodio della serie “MITBootcamp Diaries”, sull’aspetto che secondo me costituisce la value proposition più profonda di questa esperienza e che sottende tutti gli altri aspetti: l’alchimia di squadra nello specifico, il fattore umano in generale.

Fireside Chat with Bill Aulet 2

La tecnologia da sola rimarrebbe solo un potenziale strumento latente, se nessuno avesse ideato la mission di applicarne le potenzialità al servizio di una causa maggiore. Il fatto interessante è proprio questo: che chi oggi conduce e porta avanti il progetto Bootcamp sono gli “Alumni” MIT e Bootcampers delle edizioni passate. La forza creatrice trasmessa è tale da forgiare non solo nuovi imprenditori in senso ampio, ma anche i futuri leader di questa stessa iniziativa, perché in fondo e per dirla tutta, il Bootcamp altro non è che una startup germogliata in seno al MIT per volere di chi ha beneficiato dei frutti di un’istruzione eccezionale, e che desidera condividere e diffondere questa ricchezza con il resto del mondo rendendola più aperta ed accessibile.

Uno dei segreti del successo della MIT community è che sanno sottolineare e saldare insieme le quattro “H” fondamentali: “Head, Hands, Heart, and Home” (cervello, mani, cuore e famiglia), creando attraverso la diversità un senso profondo di appartenenza che scavalca le geografie, le culture e le differenze per farci attingere alle radici della condivisione a 360 gradi.

Prendiamo l’esempio della team formation. Come è possibile aspettarsi che 74 persone che non si sono mai incontrate prima di quel giorno possano formare in meno di 24 ore delle squadre da 5 o 6 persone? E che dovranno inoltre trascorrere i prossimi 5 giorni a generare con questi sconosciuti delle sinergie efficaci per portare a frutto un progetto ancora tutto da ideare? E’ qui che si è rivelato magicamente potente il mix tra l’accurata selezione dei candidati secondo 5 criteri di valutazione

* progetti d’eccellenza

* visione di lungo termine

* contributo alla comunità

* capacità analitiche

* potenzialità imprenditoriale

ed i tool fornitici dal programma per la composizione delle squadre. Ognuno di noi, in seguito ad un dettagliato questionario online svolto nei giorni precedenti il nostro arrivo a Seoul, ha ricevuto nel welcome pack personale (oltre al programma e alla felpa nera MIT brandizzata con logo dell’università) una profilazione personalizzata del proprio temperamento, utile a capire non solo se stessi ma anche le caratteristiche di ipotetici partner di squadra e come andare a comporre un gruppo equilibrato in termini di apporti ed attitudini. Questo documento (chiamato l’H4Profile perché profila i soggetti secondo quattro tipologie che sono l’Hustler, l’Hacker, l’Hipster e l’Hatcher a seconda che si sia più prevalentemente predisposti verso strategia, sviluppo del prodotto, styling o execution) è stato sviluppato dagli Australiani Suzy Roden and Bill Kirkley per consentire la rapida formazione di squadre innovative. Questo strumento è stato utilissimo a verificare ed ancorare le nostre scelte finali, a valle di sessioni preliminari chiamate mixer, che ci hanno consentito di avviare la reciproca conoscenza. Risultato? La mia squadra, detta anche Team #4, che contava oltre a me (che sono italo-svizzera-cinese), un’Australiana, un Cinese-americano, un Argentino, un Libanese ed un Cinese-australiano ha registrato grazie a questo tool un’ottima performance sia a livello di intesa interpersonale che a livello di prestazioni progettuali.

team formation

Naturalmente tensioni, conflitti e dissapori hanno fatto parte del nostro percorso: sarebbe disonesto negarlo. Quando si lavora gomito a gomito per oltre 18 ore giornaliere con estranei che diventano come una seconda famiglia, prima o poi affiorano le divergenze: e si litiga, come in una famiglia. Ogni squadra ha attraversato la propria crisi, sia progettuale che umana: chi il primo giorno, chi il secondo, chi addirittura la penultima notte prima di Demo Day. Lacrime, disperazione, notti in bianco. Ma tutti ce l’abbiamo fatta, fino in fondo, a portare a termine la missione finale.

Nessuna delle 73 persone che ho conosciute a Seoul vi è arrivata per caso o per errore, ogni partecipante aveva un suo perché da scoprire: dal ragazzo siriano che nonostante le difficoltà per ottenere il visto non ha demorso impiegando tre tentativi da 48 ore ciascuno per conseguire il documento necessario al viaggio; al giovane Coreano di 17 anni, ancora liceale; allo studente indiano che ha ottenuto il suo attuale lavoro presso Microsoft grazie ai 3 corsi e certificati conseguiti sulla piattaforma online; al fondatore di un’università online gratuita per rifugiati; al giovane cardio-chirurgo britannico che lavora per rendere gratuita e open-source la diagnostica; dalla laureata di Harvard all’uomo che non aveva mai terminato il college; dalla ragazza scappata di casa quando era ancora adolescente e che nell’arco di pochi anni si è reinventata CEO di due imprese, alla madre di famiglia che palleggia famiglia, lavoro e aspirazioni imprenditoriali. Tutti e ciascuno ha sfidato e vinto a modo proprio gli ostacoli geografici, culturali e finanziari per rendere possibile il proprio sogno. Unici tre comuni denominatori che ci accomunavano fin dalla partenza: grinta, determinazione e voglia di imparare.

Il bello di tutto ciò, poi, è che non finisce qui. Il MIT ci assegna dei mentori che ci accompagnano virtualmente ed in remoto con sessioni Skype mensili fino a questa estate (per chi non ha la fortuna di essere nei pressi di Cambridge, Massachusetts dove l’infrastruttura e tutte le facilities sono teoricamente a nostra disposizione fino a fine giugno). Non finisce qui perché ad agosto prossimo, ci sarà a Boston la riunione dei Bootcampers delle tre passate edizioni, nonché l’avvio del quarto Bootcamp (stavolta sul MIT campus). Ma soprattutto, non finisce qui perché gli effetti dell’amicizia e del networking continuano a propagarsi lungo le onde del web, attraverso relazioni che essendo nate dal virtuale non sono da esso inibite, e continuano quindi a crescere a dismisura in barba a distanza e fusi orari, attingendo sempre più alle reciproche competenze, proseguendo le sinergie avviate e creandone delle nuove. Di conseguenza, molti dei progetti iniziati a Seoul continuano a svilupparsi ed evolversi, e molto probabilmente diverranno presto delle startup di successo.

Mi sento realmente di poter dire che, tutto sommato, l’avventura è appena iniziata.

Alcune informazioni utili: Il prossimo MIT Global Entrepreneurship Bootcamp si terrà dal 7 al 12 agosto 2016 al MIT, Cambridge, Massachusetts. Inoltra da qui la tua domanda di partecipazione entro il 1° giugno 2016. Leggi l’Insider’s Guide to Startup Bootcamps and Accelerators, redatto dalla mia fellow-Bootcamper Janice Omadeke per The Huffington Post, per scoprire tutte le dritte per ottimizzare la tua prossima esperienza di Bootcamp.

(Si ringrazia la Camera di Commercio di Terni che grazie al suo patrocinio e contributo ha reso possibile la mia partecipazione al MIT Global Entrepreneurship Bootcamp.)

Contributor: Rachel Hentsch Spadafora

rachel hentsch
Rachel Hentsch Spadafora, 45 anni, è architetto con Lauree conseguite alla University of Cambridge e a l’Università La Sapienza di Roma con un’esperienza lavorativa molto variegata che spazia dalla progettazione architettonica e la direzione di cantiere, all’interpretariato e PR in ambito appalti, alla partecipazione come protagonista di Donnavventura. E’ stata selezionata tra oltre 850 canditati dal MIT per il Global Entrepreneurship Bootcamp di Seoul 2016. Dal oltre 2 anni lavora alla startup italiana useit in qualità di Business Developer. Parla correntemente inglese, italiano, francese, tedesco e mandarino. Sposata da 24 anni e madre di 5 figli, ha sempre amato sfidare i luoghi comuni per cimentarsi in imprese “impossibili”. E’ motociclista appassionata nonché Campionessa Regionale Lazio 2015 di enduro.

LIVE STREAMING 20 marzo
Industry4.0 360SummIT: l'innovazione come leva contro l'incertezza. Ti aspettiamo online!

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati