MyFoody, dai biscotti alla startup

Pubblicato il 20 Mag 2015

“MyFoody nasce da un pacchetto di biscotti”.

Esordisce così Francesco Giberti, CEO e co-fondatore di MyFoody, piattaforma web che permette al consumatore di acquistare prodotti a rischio spreco a un prezzo ridotto, prenotandoli online e recandosi per il ritiro e il pagamento nei punti vendita più vicini a lui.

“Tutto è nato da una casualità: un giorno, mentre mi trovavo in Belgio ed ero impegnato nella stesura della tesi di laurea, ero uscito per andare ad acquistare qualcosa da mangiare e avevo comprato un pacchetto di biscotti biologici. Solo dopo averli aperti, però, mi ero accorto che erano vicinissimi alla data di scadenza e io li avevo comunque pagati a prezzo pieno. Da lì una domanda spontanea: perché devo pagare a prezzo pieno un prodotto che sta per scadere?

Mi sono incuriosito e ho iniziato a informarmi riguardo la questione legata alle eccedenze alimentari e cominciavo a capire che si trattava non solo di un argomento complesso, ma anche di un problema in quel momento senza soluzione.”

founder di myfoody
I fondatori di MyFoody

Francesco, da una semplice domanda come sei arrivato alla costituzione di un progetto che vuole dare una risposta concreta a quel quesito che ti eri posto?

“Dopo le prime ricerche ho iniziato a condividere le mie idee con alcuni amici, che successivamente sono diventati miei soci e miei colleghi. Abbiamo strutturato il team (composto da due giuristi, un economista, un architetto, uno sviluppatore e una figura commerciale), ci siamo costituiti come startup innovativa a vocazione sociale e abbiamo iniziato a dare vita da subito alla piattaforma online in cui i supermercati hanno la possibilità di caricare i loro prodotti a rischio spreco a prezzi scontati. Nel 2014, complici anche le vincite di alcuni bandi e alcuni riconoscimenti, abbiamo iniziato a lavorare a pieno regime a questo progetto.

In particolare, abbiamo vinto il bando Food Waste Reduction finanziato dalla Fondazione Unicoop Firenze e abbiamo partecipato a un programma di accelerazione presso l’Impact Hub di Firenze. Inoltre, abbiamo ottenuto anche la vittoria del bando CHEST (a livello europeo), per l’innovazione sociale, ricevendo un finanziamento a fondo perduto, che ci ha permesso di coprire gran parte delle spese legate allo sviluppo della piattaforma.

Infine, un altro aspetto importante, in ambito Expo, è collegato alla vincita del bando Alimenta2Talent, indetto dal Comune di Milano e dal Parco Tecnologico Padano di Lodi.

Oggi, nel momento del lancio, ci troviamo con una serie di punti vendita che hanno aderito al nostro progetto e con importanti collaborazioni che stanno per partire (una con un’Università europea, per quanto riguarda le ricerche di mercato).”

Quali sono le modalità con cui avverrà il lancio e quante sono le realtà che verranno coinvolte nella prima fase di test?

“Per il lancio abbiamo preso in considerazione Milano e abbiamo coinvolto dodici punti vendita della città, con i quali effettueremo subito una fase di beta testing (il sito, però, a partire dal 20 maggio sarà comunque aperto anche agli utenti). I primi test e i primi mesi, inoltre, ci consentiranno di iniziare a comprendere se il nostro modello di business (che si basa da un lato sulla percentuale sul venduto e dall’altro su una fee annuale di utilizzo del servizio) può veramente essere valido. Una volta effettuato il test con questi primi negozi il servizio non rimarrà concentrato su Milano, ma si estenderà a tutto il territorio nazionale.

Credo sia importante sottolineare, però, che l’obiettivo principale, al quale stiamo lavorando in questi giorni, è il coinvolgimento la GDO (Grande distribuzione organizzata).”

Se l’obiettivo principale è il coinvolgimento della GDO si intuisce che le realtà che fanno parte della grande distribuzione organizzata non hanno ancora trovato un modo per rispondere alla problematica delle eccedenze alimentari…

“La GDO recupera una piccolissima parte delle proprie eccedenze alimentari a fini solidali (pari all’8,5%). Il 91,5% invece è la percentuale relativa agli sprechi (e stiamo parlando di cibo ancora perfettamente commestibile). Il recupero quindi è legato a numero molto bassi e per ora ci si limita a recuperare il minimo indispensabile.

La nostra idea, quindi, si inserisce in questa dinamica: se la maggior parte delle eccedenze non si riescono a recuperare a fini solidali proviamo a stimolarli con un progetto che possa dare loro anche un incentivo economico.”

Quali sono i valori – sotto diversi aspetti – che crea il vostro progetto, sia per le aziende che per i consumatori?

“Si tratta prima di tutto di un progetto di innovazione sociale perché parte da un problema sociale, ovvero quello degli sprechi alimentari, e crea diverse tipologie di valore: valore economico per l’azienda e per il consumatore, valore sociale e ambientale (riducendo gli sprechi, infatti, si riducono le emissioni di CO 2). Consideriamo, ad esempio, che per smaltire un chilo di cibo si emettono quattro chili di CO 2.

Le cifre sono chiare e sono il riflesso di un problema da non sottovalutare: in Italia, ogni anno, si sprecano 277.000 tonnellate di cibo.”

Cosa succede, però, a quei prodotti che non vengono consumati entro un certo periodo e che fanno parte di realtà che collaborano con MyFoody?

“Con il nostro progetto vogliamo fare in modo che i prodotti che non vengono consumati entro un momento stabilito della loro vita possano essere segnalati alle associazioni no profit. A questo punto questo passaggio risulterebbe molto più semplice, senza dover impiegare ulteriori risorse”

Abbiamo parlato di un finanziamento a fondo perduto ottenuto grazie alla vincita di un bando: avete ricevuto altri investimenti o siete nella fase di autofinanziamento?

“Finora siamo andati avanti sulle nostre gambe e ci siamo autofinanziati.

Da adesso in poi, però, per poter sviluppare l’applicazione al meglio e per poter proseguire con il nostro progetto di espansione è necessario l’investimento da parte di qualche investitore. Solo così, infatti, avremo il carburante per crescere velocemente.”

State già prevedendo un passo in Europa nei prossimi mesi o per il momento le vostre forze sono concentrate sul mercato italiano?

“Molto dipenderà dagli investimenti. Inizialmente ci concentreremo principalmente sul mercato italiano, poiché per quanto riguarda la distribuzione alimentare il mercato del nostro Paese è molto interessante: si contano, infatti, 26mila punti vendita e quindi il bacino di utenza è ottimo per poter partire.

Non nego, però, che all’estero l’interesse nei confronti di MyFoody è alto, soprattutto nel Nord Europa: abbiamo stretto una collaborazione anche con l’Università di Maastricht, che ci aiuterà nello sviluppo di ricerche di mercato in previsione dell’internazionalizzazione del nostro progetto.”

Quali competitor avete individuato, sia in Italia che all’estero?

“In Italia ci sono diverse startup che provano a ridurre il fenomeno degli sprechi ed è presente Last Minute Sotto Casa (di Torino, di cui abbiamo parlato qui, ndr), che si è specializzata nel recupero delle eccedenze alimentari per quanto riguarda i venditori al dettaglio (panettieri, botteghe).

All’estero, invece, c’è qualcosa di molto interessante, maggiormente vicino al nostro focus: in Germania, ad esempio, c’è una startup che recupera eccedenze alimentari a livello di supermercati basandosi solo sui prodotti che possiedono la tecnologia del codice a barre innovativo (un codice a barre che contiene alcune informazioni importanti per recuperare prodotti, come la data di scadenza). Loro sono stati tra i primi a entrare in questo mercato e sono sicuramente una realtà importante da studiare per comprendere come muoversi e quali sono i prossimi passi da fare.”

Infine, diamo uno sguardo ai vostri obiettivi futuri.

“L’obiettivo principale, sul quale ci stiamo concentrando in questa fase iniziale, è trovare un finanziatore e al momento siamo in contatto con due investitori italiani e con un investitore statunitense. Potrebbero nascere degli sviluppi interessanti e stiamo lavorando perché accada qualcosa.

Il secondo punto sul quale siamo concentrati è la ricerca di una catena della GDO che voglia aderire al progetto, perché solo in questo modo si possono raggiungere dei volumi veramente interessanti, rendendo MyFoody uno strumento utile per risolvere un problema concreto.”

di Jessica Malfatto

(photo credits)

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