Perchè le startup hanno bisogno di mentor, prima ancora che di investitori

Pubblicato il 18 Mar 2020

Mentore: il primo di cui si ha notizia, e che ha dato il suo nome a un’intera categoria, è un personaggio dell’Odissea, un amico di Ulisse a cui l’eroe, in partenza per la guerra di Troia, affida suo figlio Telemaco affinché ne abbia cura e lo prepari al trono.

In questa scena epica, c’è già tutta la spiegazione di quello che ancora oggi può rappresentare il mentor per una startup: qualcuno che prepara l’imprenditore per il successo, così come l’amico di Ulisse preparava Telemaco a diventare Re.

Ne è convinta anche UniCredit che con la piattaforma di Open Innovation  UniCredit Start Lab,  accoglie le realtà giovanili più innovative sul panorama nazionale, offrendo loro un percorso di formazione manageriale e uno di  mentorship con professionisti – anche internazionali – di altissimo livello.

Il mentor non è quindi una persona che ‘spiana’ la strada, non è uno che ti raccomanda, non è uno che ti facilita le cose; bensì qualcuno che ti mostra cose che tu ancora non vedi, anche se ti disturbano, che ti aiuta a farti le giuste domande, a focalizzare il tuo business, a tradurre idee in azione; che ti aiuta a  entrare in contesto e stabilire relazioni. E’ il setaccio attraverso il quale passare il tuo sogno e vedere cosa rimane sul retino a sberluccicare.

Un grande impegno, una grande responsabilità per chi assolve il ruolo; e sicuramente fondamentale nel quadro di un ecosistema dell’innovazione, perché accelera la messa a punto di nuove imprese, riduce il rischio di fallimento, aumenta le possibilità di successo, mettendo a disposizione dell’imprenditore ‘mentee’ tutto il bagaglio di competenze e di esperienza del mentor stesso.

Bill Campbell lo fu per Steve Jobs, che a sua volta lo fu per Mark Zuckerberg; Warren Buffet lo è stato per Bill Gates; Freddie Laker lo è stato per Richard Branson; Eric Schmidt lo è stato per Larry Page and Sergey Brin. Tutti i più grandi uomini di successo dello show-tech-biz dichiarano di aver avuto un mentor fondamentale nella propria vita. In Italia il mentoring, sebbene come concetto abbia radici antiche, è poco diffuso, sebbene stia cominciando a entrare nelle aziende. E soprattutto a entrare nel mondo startup, in cui, come l’esperienza in altri contesti geografici insegna, le analisi dimostrano che gli startupper che hanno trovato un mentor hanno maggiori probabilità di successo.

In sostanza è un trasferimento di know-how, ma empatico, cioè calato e compreso nella specifica realtà di una startup e di un team di imprenditori, spesso giovani e inesperti.

Non è un caso che tutti i migliori programmi di supporto e accelerazione di startup a livello mondiale, così come i programmi di formazione imprenditoriale, comprendano un piano di mentoring.

Abbiamo cercato di capire di più sull’argomento e sui diversi stili di mentorship parlando con tre mentor del programma di accelerazione UniCredit Start Lab che nelle sue prime 6 edizioni accompagnato oltre 300 startup e PMI innovative italiane verso percorsi di crescita: Antonia Verna (Portolano-Cavallo), Danilo Mazzara (Accenture) e Paolo Carassini (Toyota).

Stili di mentorship

Il mentor specialista

Il mentor è una guida, ma non può essere un tuttologo. La startup ha spesso bisogno di più mentor, perché ha necessità di confrontarsi con chi ha più esperienza in un determinato settore. Quindi può essere un consulente, un altro imprenditore, un manager, dipende dalle esigenze della startup. In generale, il mentor serve un po’ ad aprire la mente e a fornire delle indicazioni su come procedere rispetto alla soluzione di un problema pratico sulla base delle sue competenze e della sua esperienza.”

Così inquadra la figura del mentor Antonia Verna,  avvocato e partner di Portolano Cavallo Studio Legale, specializzata in operazioni di mergers & acquisitions, private equity e joint venture, startup ed operazioni di venture capital. E’ anche Vice Presidente dell’European Women Lawyers Association.

Un background che impronta la sua esperienza di mentor. ‘Gli imprenditori che arrivano da me spesso si presentano già con delle specifiche richieste ‘legal’, ma quasi sempre si verifica che dal nostro confronto emergano altre problematiche che non avevano pensato o avevano sottovalutato. Questo non significa che il mentor debba ‘servire’ una soluzione: è colui che attraverso le sue conoscenze specifiche può illuminare un pezzo del percorso della startup, ma è poi l’imprenditore che lo deve percorrere.

A volte le startup sono giovani e ingenue, pensano tutte moltissimo al fundraising, a trovare gli investitori e credono che il mentor li possa aiutare in questo. In realtà, nel loro progetto ci sono spesso delle criticità che da soli non hanno visto, anche per mancanza di competenze specifiche. A volte mi dicono ‘ma io non ho bisogno di un mentor legale’, poi invece si scopre che è proprio quello di cui hanno necessità. Identificare problemi, capire le possibili soluzioni, come muoversi, fornire contatti, sono tutte attività tipiche di un mentor, così come io lo interpreto, un aiuto incredibile per una startup, ma non solo per loro.

“La mentorship è sottovalutata in Italia, io credo che sia un fondamentale trait d’union tra i diversi player per far funzionare l’ecosistema. Gli stessi investitori a volte hanno bisogno dei mentor per individuare e capire le startup. E’ un lavoro impegnativo, di responsabilità, ma che se fatto bene porta i suoi risultati. Se fatto con coscienza, passione, etica, si rende un servizio alla comunità, ma bisogna essere disposti a dare”.

Il mentor Kaizen

‘La prima cosa che dico agli imprenditori che incontro è: non esiste una formula magica che si chiama startup. E’ vero che abbiamo una legislazione che giustamente aiuta la costituzione di impresa innovativa, ma certamente non basta questo. Avere un’idea, essere nel registro imprese innovative, e spaccarsi la testa sulle quote societarie, non vuol dire nulla, l’azienda è ancora tutta da fare. Dovete lasciare tutto questo, scendere dalla nuvoletta ed entrare in un percorso lavorativo vero.

Così parla Paolo Carassini, Direttore Generale di Toyota Material Handling Italia, carriera nel management del settore Automotive e Logistica negli ultimi 20 anni e prima nel food. Un uomo sicuramente ‘ di prodotto’ e ‘di azienda’, pragmatico, con particolare propensione alla gestione del cambiamento e al project management.

‘Mi rendo conto di essere un mentor severo, interpreto il mio ruolo come il ponte tra il sogno di chi fa startup e la dura realtà lavorativa di tutti i giorni con la quale ci dobbiamo scontrare. Cerco di aiutare la startup a diventare azienda, a tradurre l’idea di business in attività vera, cioè un prodotto o servizio che più di qualcuno compra, e come organizzarsi per arrivare a questo risultato.

Nel mondo startup il tasso di mortalità delle aziende è molto alto perché spesso le startup hanno difficoltà a tradurre idee anche belle, di valore, in qualcosa di concreto, viene a mancare la cosiddetta execution. La mia missione come mentor è quella di far capire agli imprenditori come ritornare coi piedi per terra, muoversi in un mondo piuttosto complesso e impegnativo e tradurre la loro energia positiva in vera attività.

Le mie parole d’ordine sono motivation and dedication: non esiste una magia, ma duro lavoro, passione e continuità, miglioramento di giorno in giorno, con metodo Kaizen direbbero i giapponesi, serve un’ottima focalizzazione sul core business, sul prodotto, questo è l’unico approccio in grado di garantire eccellenza nei risultati e creazione di valore. E’ nella comprensione di questo approccio che porto il mio contributo alle startup, ed è qualcosa che mi dà molta soddisfazione, perché mi permette di condividere e rendere utile per altri tante cose che ho imparato nella mia carriera.”

Il mentor strategico

Danilo Mazzara è Principal Director di Accenture Strategy, collabora con diverse Istituzioni per accelerare ed incubare nuove imprese nei settori Digitale e Scienze della Vita; in Accenture è anche responsabile di gestire le relazioni con l’ecosistema dell’innovazione e promuovere le attività di Open Innovation. Insomma, le startup sono il suo pane quotidiano, e il rapporto che crea con le stesse è piuttosto bidirezionale.

“Dal mio punto di vista, ci sono tre importanti tipologie di contributo che il mentor può portare alla startup, definibili come: rilevanza, complementarietà e capitale relazionale.

La rilevanza riguarda aiutare la startup a capire il reale valore di quello che fa. Una startup può avere un’idea geniale che si pensa risolva un problema, ma quanto è grande questo problema o che valore c’è associato al problema che risolvono, spesso non sono in grado di coglierlo.

Nel mio caso specifico, considerato che io arrivo dal mondo della consulenza, quello che faccio è aiutare la startup a capire proprio questo e nel caso di startup tecnologiche a capire se hanno individuato il mercato corretto per la loro soluzione, o invece questa possa sbloccare maggiore valore in un altro mercato.

Un altro contributo che può dare il mentor riguarda la complementarietà delle competenze interne del team, spesso le compagini societarie sono ridotte ai fondatori e mancano determinate skill, magari quelle di business, o quelle commerciali. In questi casi la mentorship può aiutare a individuare le competenze mancanti e, temporaneamente, a colmarle.

Infine, il capitale relazionale. Noi italiani lo sappiamo meglio di tutti quanto vale il capitale relazionale. Il mentor può aiutare una startup a raggiungere persone, le introduce e le sponsorizza presso una serie di soggetti che difficilmente raggiungerebbe da sola, e l’ aiuta così a farsi conoscere, stringere partnership, acquisire clienti o entrare nel radar di un investitore.

C’è anche un ultimo aspetto che ci tengo moltissimo a segnalare: anche noi mentor ci portiamo a casa qualcosa dalle startup. Collaborare con queste realtà ci aiuta a colmare alcuni gap, ad arricchirci costantemente, a rimanere sempre aggiornati sulle frontiere tecnologiche, inoltre crea anche una condivisione del sapere e una contaminazione generazionale che non è sicuramente da sottovalutare. La mentorship fa bene alle startup, ma anche ai mentor e all’ecosistema’.

Il programma di mentorship di UniCredit Star Lab

Ricordiamo che la mentorship è una parte molto importante del programma di accelerazione UniCredit Start Lab, che ha selezionato un bacino di circa 100 professionisti di alto profilo – consulenti aziendali, imprenditori e manager, professionisti di studi legali e commercialisti – che offrono alle oltre 40 startup accelerate ogni anno un supporto qualificato mettendo a disposizione le proprie competenze specialistiche e il proprio network di relazioni.

Le startup che accedono al programma di accelerazione UniCredit Start Lab avranno uno o più mentor dedicati in base alle proprie necessità e saranno da questi seguiti con incontri periodici in almeno quattro momenti durante il periodo di accelerazione.

La Call 2020 di UniCredit Start Lab è ancora aperta, qui tutte le informazioni e le modalità di partecipazione.

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