Editoriale

Startup, affare di Stati

Il nuovo piano industriale di CDP, il Trattato del Quirinale, il gap tra Italia, Francia e Germania negli investimenti in startup

Pubblicato il 28 Nov 2021

In questi mesi risuona quasi a voce unica il plauso per le attività di CDP Venture Capital, per le azioni dei suoi nove fondi che a vari livelli sostengono l’ecosistema delle startup: investono, co-investono, accelerano, co-accelerano, fanno open innovation. Va tutto bene e più volte qui su Startupbusiness abbiamo dato notizia delle attività che vedono coinvolta CDP VC e del suo ruolo sia tattico sia strategico.

Preso atto di ciò vale però la pena fare qualche considerazione ulteriore soprattutto alla luce della presentazione del nuovo piano industriale 2022-2024 di Cassa Depositi e Prestiti che si articola in diversi settori di azione e in una trasformazione della sua operatività. Qui ci si riferisce a CDP e non solo a CDP VC e si parla di 65 miliardi di euro per il triennio che nei piani attiveranno ulteriori 128 miliardi di euro di investimenti. Si parla di quattro aree di intervento: cambiamento climatico, crescita inclusiva, sostegno alle filiere produttive, innovazione e digitalizzazione, si parla di operatività che si svilupperà su tre pilastri: analisi settoriale, advisory e assistenza tecnica, funzione di Istituto Promozionale di Sviluppo. Si parla poi di una maggiore attenzione ai principi ESG per i criteri di selettività dei progetti da sostenere, del fatto che il portafoglio equity sarà composto sia da investimenti stabili di natura strategia, sia da interventi di scopo a carattere rotativo e che sul fronte dell’immobiliare si punterà su rigenerazione urbana, social, senior e student housing. Insomma tanta roba e tanta ambizione, tanto che i più scettici temono una sorta di ritorno di una struttura come fu l’IRI, l’Istituto di ricostruzione industriale che fece bene nel dopoguerra ma che poi diventò un carrozzone tentacolare e fu smantellato nel 2002, è molto difficile che CDP diventi una sorta di IRI 2.0 in chiave digitale-ambientale-innovativa, sia perché CDP, in particolare CDP VC, è dotata di persone con competenze molto raffinate e dotate di quella mentalità che non è figlia della più tradizionale impostazione statale, ma certamente più aderente al modo di vedere il mondo orientato alla vera creazione di valore finanziario e non, e alla concretizzazione dell’innovazione.

C’è però un ma: se l’azione di CDP VC, e qui parliamo specificatamente dei fondi dedicati all’ecosistema startup, è fondamentale per accrescere i fondi disponibili e tentare così di compiere qualche passo nell’avvicinarsi ai numeri delle altri grandi economie europee, Francia e Germania in testa, come vedremo più avanti, è anche vero che il vero grande e importante risultato che questa azione di genesi pubblica dovrebbe perseguire è dare slancio agli investimenti privati e favorire in modo deciso e preciso l’attrazione degli investimenti dall’estero. In pratica ciò che dovrebbe succedere è che CDP VC non venga più vista, come accade oggi, come l’unica alternativa possibile per dare ossigeno all’ecosistema, ma si faccia essa stessa vanto di essere perno non tanto della distribuzione di capitali pubblici, quanto di essere garante di un ecosistema efficiente capace di attrarre capitali terzi. Il vero momento di svolta si avrà quando le startup e i fondi potranno trovare più facilmente capitali anche senza dovere ricorrere al soggetto pubblico il quale, pur considerando tutta la sua volontà e la capacità, è comunque vincolato da procedure che lo rendono meno agile rispetto ai privati, che, proprio perché si tratta di denari dei contribuenti, richiede modalità operative che allungano i tempi di erogazione e si sa che per una startup anche qualche mese di attesa tra il momento in cui gli viene accordato l’investimento e il momento in cui arrivano effettivamente i soldi, rischia di fare la differenza tra la vita e la morte, tra il successo e il fallimento. E soprattutto, tale set di vincoli, rischia di rivelarsi poco efficace nel raggiungimento degli obiettivi a medio e lungo termine, ovvero far fare all’ecosistema il salto dimensionale e colmare il gap con le economie simili alla nostra.

Non andiamo a vedere i numeri dei Paesi considerati i grandi campioni mondiali degli investimenti in capitale di rischio, sarebbe un confronto impietoso, prendiamo però le due economie che all’interno della UE sono più simili, quantomeno per dimensione, alla nostra: Francia e Germania.

In Germania abbiamo visto i dati relativi al primo semestre 2021 che ha registrato investimenti per 7,6 miliardi di euro , gli annunci che prevedono iniezione di capitale nell’ordine di 20 miliardi di euro  e i più recenti dati rilevati da Pitchbook in cui si mette in luce il crescente interesse da parte degli investitori internazionali e il raggiungimento di quota 11,3 miliardi di euro investiti nei primi tre trimestri del 2021 con una crescita superiore al 70% rispetto all’anno precedente, tutti indicatori che denotano come l’ecosistema è in forte sviluppo e si appresta a chiudere l’anno con un valore 15 volte quello previsto per l’Italia. Un abisso.

La Francia viaggia anch’essa nell’ordine della decina di miliardi di euro, anche oltralpe i finanziamenti pubblici hanno giocato un ruolo chiave e i risultati ottenuti dicono che il ruolo del pubblico quando è efficiente, strategico e quando non si sostituisce al privato, è foriero di risultati importanti. Sulle startup Francia e Italia sono vicine, già oggi sono numerosi i casi di partnership e di investimenti cross-frontalieri ma anche qui si può fare molto di più soprattutto nell’ottica di coltivare una visione di respiro europeo altrimenti sarà impossibile essere competitivi sulla scena globale. Per questo motivo registriamo con interesse il fatto che all’interno del Trattato del Quirinale che Francia e Italia hanno firmato il 26 novembre 2021 per stabilire una più forte relazione e collaborazione, siano stati inseriti anche specifici articoli relativi proprio al sostegno delle startup (articolo 5 su cooperazione economica, industriale e digitale), al sostegno dello sviluppo delle opportunità della space-economy (articolo 7) e dell’innovazione (articolo 8 su istruzione e formazione, ricerca e innovazione).

(Photo by Renata Rodrigues on Unsplash, Photo by Tim Hüfner on Unsplash , Photo by Daniel Roe on Unsplash)

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