Startup, alla ricerca dell’equilibrio tra crescita e resilienza

Pubblicato il 31 Lug 2020

Giacomo Mele, administration and management control di Fitprime (azienda di cui abbiamo scritto qui ) analizza per i lettori di Startupbusiness i dati pubblicati dal rapporto The Global Startup Ecosystem Report 2020 di Startup Genome e dallo studio intitolato L’impatto dell’emergenza Covid-19 sulle startup e sull’ecosistema dell’innovazione in Italia realizzato da VC Hub Italia e EY. 

Negli ultimi mesi il Covid-19 ha mutato e trasformato anche l’ecosistema delle startup. Difatti, dati provenienti da diverse indagini hanno evidenziato come l’apparato di tali aziende sia stato profondamente colpito.

Lo studio di Startup Genome – The Global Startup Ecosystem Report 2020 (GSER2020) – pubblicato a giugno, ha già fornito una panoramica assai disarmante nell’analisi di questi ecosistemi su scala mondiale: dopo il lockdown il 40% delle startup sarebbero nella cosiddetta red zone, vale a dire avere tre mesi o meno di liquidità, e quindi di vita. I dati sembrerebbero davvero preoccupanti, nel periodo di emergenza infatti lo studio rileva che: oltre il 60% delle startup avrebbe licenziato o ridotto i dipendenti o gli stipendi; circa il 31% avrebbe ridotto i posti di lavoro in ricerca e sviluppo e il 32% di tagli dei lavori nel Product Software, esempio i software engineer; il 71% delle startup avrebbe ridotto le proprie spese mediamente del 22%.

Stando allo studio, ciò che può balzare agli occhi, qualora i medesimi siano italici, risiede proprio nell’elenco dei Paesi presi in analisi: l’Italia non solo non compare fra gli ecosistemi migliori per le startup, ma è assente pure nella lista dei 30 inseguitori (Ranking 2020: Top 30 + Runners-up), ovvero gli ecosistemi in rapida crescita.

Addirittura, nella Top 100 Emerging Ecosystem Rankings l’Italia ha i seguenti punteggi: Milano si posiziona tra il 21° e il 30° posto (con voti: 5 per la performance, 10 per il funding, 2 per il market reach e 8 per la voce talent) e Roma tra il 71° e il 80° posto (con voti: 1 per la perfomance, 5 per il funding, 4 per il market reach e 2 per il talent).

Fare chiarezza sulla situazione italiana è ciò che vuole fare lo studio realizzato a luglio da EY e VC Hub Italia – L’impatto dell’emergenza Covid-19 sulle startup e sull’ecosistema dell’innovazione in Italia.

La ricerca ha coinvolto startup che operano prevalentemente sul mercato italiano (68%) e sia le aziende sia gli investitori sono riconducibili alle aree maggiormente colpite dalla pandemia (soprattutto la Lombardia). Da precisare ulteriormente che il 62% delle startup coinvolte è nata negli ultimi 5 anni.

Ma ecco i dati: il 58% ha aumentato il personale; il 32% ha registrato un aumento della domanda; il 27% ha registrato una crescita dei ricavi. Da aggiungere che il 62% delle realtà coinvolte nell’indagine ha lavorato in smart working senza compromettere la produttività.

Detto ciò, anche nello studio di EY e VC Hub Italia, come anche in quello di Startup Genome, la principale problematica connessa all’emergenza sanitaria Covid-19 sembrerebbe essere nel calo della domanda: il 68% delle startup ha dichiarato di aver subito una riduzione della domanda; il 25% una diminuzione superiore al 50%.

E allora come ci si è attrezzati? Il 55% delle startup ha dovuto ricorrere alla cassa integrazione; il 54% si sta preparando con la ricerca di finanziamenti per ripartire; a causa del lockdown solo il 5%, però, ha interrotto l’attività; una startup su tre delle intervistate ha dichiarato di aver dovuto interrompere e/o ritardare il round d’investimento.

Stando quindi a questi dati: le startup italiane sembrerebbero veramente essere resilienti. A confermarlo è l’ulteriore risposta che tali aziende coinvolte nell’indagine hanno conferito. Per ripartire le startup e i VC intervistati stanno principalmente: ricercando nuovi finanziamenti, sviluppando nuovi business plan e ridefinendo le proprie priorità.

Insomma non ci si arrende. I dati dell’indagine di EY e VC Hub Italia mostrano come la volontà degli imprenditori di tenere duro anche nel contesto dell’attuale situazione sia decisamente spiccata.

È però il confronto tra i dati delle due ricerche che ci porta a cercare le differenze tra gli ecosistemi considerati più maturi del nostro e lo stato delle startup italiane, La resilienza delle startup italiane può essere riconducibile al fatto che esse devono spesso fare i conti con capitali ridotti e con un respiro internazionale, quindi con un’apertura limitata ai mercati globali, avendo quindi una crescita più lenta rispetto a quelle estere.

Lenta, ma, nello scenario di un’emergenza come quella dettata dal Covid-19, evidentemente più sana da sostenere. Resta quindi aperta la domanda: davvero bisogna valorizzare e puntare su quei fattori che ancora oggi limitano la crescita strutturale e internazionale delle startup italiane che però paiono essere stati tanto decisivi, quindi positivi, nel fronteggiare una pandemia così come mostra la ricerca di EY e VC Hub Italia? Oppure nonostante ciò è opportuno continuare a lavorare per fare crescere l’ecosistema italiano e portarlo a livelli più vicini a quelli considerati dallo studio di Startup Genome anche se ciò significherebbe esporsi maggiormente nel caso di una nuova emergenza come quella che ci ha colpito in questi mesi? Forse, come sempre, la risposta sta nel mezzo: in un’ottica di sviluppo a lungo termine è fondamentale che il nostro ecosistema cresca in modo esponenziale e che le startup siano sempre più capaci di svilupparsi a livello internazionale, ciò però va fatto tenendo a mente le lezioni imparate durante le difficili fasi che hanno caratterizzato l’economia in questi mesi conservando quella capacità di resilienza (come avevamo descritto coniando il termine Coviding di cui abbiamo scritto qui, ndr) che può avere ragion d’essere anche se le dimensioni dell’ecosistema e delle startup sono maggiori rispetto a quelle attuali.

Photo by Dennis Kummer on Unsplash

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