Startupper's Swing/Fabrizio Ferreri/URList

Pubblicato il 20 Feb 2012

 

 

 

“Mi sembra ci sia vicinanza e contatto tra l’espressione artistica e il fare startup. Credo che alla base ci sia l’urgenza, quasi la necessità di creare”.

 

 

 

 

 

 

Fabrizio Ferreri, catanese, formazione umanistica e manageriale, praticamente un imprenditore filosofo, appassionato di internet, sport, no-profit.

Finora è riuscito a far convergere tutto in due startup che si sono fatte notare, URList e We Sport for Social.

 

“Startup”, “startupparo”: se mi avessero chiesto il significato di queste parole qualche anno fa probabilmente non avrei saputo rispondere.

Sono partito da lontano, con altri interessi e altre aspettative, ma se oggi mi ritrovo ad occuparmi di startup credo sia proprio per aver seguito una traiettoria tutt’altro che lineare, fatta di svolte e ripensamenti, errori e improvvise accelerazioni.

Sono nato a Catania, città di cui porto il segno in una sorta di innata voglia di fare e di proporre. Ho alle spalle studi di filosofia a Pisa, Berlino e Edimburgo, e un dottorato in storia della logica a Milano. Mi sarebbe piaciuto insegnare e dedicarmi alla ricerca, ma ad un certo punto ho capito che quel tipo di realizzazione solo in parte combaciava con le mie aspirazioni.

Prima significativa virata: frequento un master in ambito economico e precisamente – per restare almeno nella stessa sfera di valori degli studi iniziali – in management di imprese sociali presso la SDA Bocconi di Milano. E’ il primo importante contatto con il  mondo dell’impresa. Da una prospettiva peraltro molto interessante e in pieno fermento: l’azienda no-profit.

Queste due-tre tappe, così apparentemente diverse, hanno però un punto in comune, che voglio sottolineare perché credo sia una componente cruciale dello startupparo: il desiderio, la spinta a creare.

Non credo si scelga di lanciarsi in “una startup” per mero calcolo economicoanche perché si tratta di una strada impervia semplicemente come opzione di lavoro tra le altre perché lavorare in una startup “è più bello e gratificante”. Credo invece che alla base ci sia l’urgenza, quasi la necessità di creare.

Da questo punto di vista mi sembra ci sia vicinanza e contatto tra il mondo dell’arte, dell’espressione artistica in generale e il “fare startup”. Ma questo è un altro discorso.  

Dopo il master, per un attimo (beh un paio d’annetti) sono caduto nuovamente nel mondo della ricerca, occupandomi però non più di quidditas, bocardo e altri temi astrali, ma di sociologia ed economia “sociale”.

Infine (e finalmente), il “Lavoro”, intendo quello dove non è richiesta unicamente una prestazione intellettuale, ma un ventaglio molto più ampio di qualità e attitudini. Mi sono occupato di programmazione e controllo in ambito no-profit e ho svolto attività di consulenza.  

E questo è l’ “ante”. Perché ho voluto ripercorrerlo? Non certo perché sia esemplare o un modello da seguire. Semplicemente perché nella mia vicenda è stata proprio questa erranza di luoghi ed esperienze diverse a caricarmi della forza necessaria – e ce ne vuole tanta – per “dare avvio”, “iniziare”, letteralmente per “fare startup”.

 

Il resto è storia più attuale. Ma ritorno di nuovo ai miei primi studi: nell’avvicinarmi al “mondo startup” ho infatti proceduto un po’ per “prove ed errori”, secondo il ricorrente claim popperiano dell’epistemologia contemporanea, richiamato qualche giorno fa da Nicola Mattina nel suo blog. 

Dopo i primi timidi tentativi, falliti perché il gruppo di lavoro non si trovava caratterialmente seppur fosse composto da persone di qualità, sono stati decisivi alcuni incontri.

E questo è un altro punto che sottolineerei: la dimensione umana è fondamentale anche nella costruzione del rapporto professionale. E tanto più lo è nel caso di startup in cui, almeno inizialmente, a prevalere è una sorta di dimensione “domestica” che imposta i rapporti tra le persone in modo molto “familiare”proprio nel senso letterale del richiamo alla “famiglia”.

Il primo incontro significativo è stato con Alberto GranzottoDa qui è partita la mia esperienza con URList, di cui sono cofounder e COO. URList è una web app per creare e condividere liste di link che si muove tra la content curation e il social bookmarking. Ognuno di noi, mi riferisco al gruppo di URList, ha investito moltissimo in questa startup, basti pensare che ci siamo licenziati tutti dai nostri precedenti lavori per poterci dedicare a tempo pieno al progetto. Coraggio, fiducia, volontà di rischiare: sono ingredienti indispensabili per potersi lanciare nel mondo delle startup. E oggi anche l’intero ecosistema imprenditoriale ed economico italiano sembra maggiormente pronto rispetto al passato a valorizzare questo tipo di scelta, come è provato dal supporto per noi fondamentale che abbiamo subito ricevuto da Enlabsincubatore romano di startup – e più recentemente dal PoliMi.

Nel frattempo, spinto dalla mia passione per lo sport, ho fondato un’Associazione, Sportiamo – lo sport che unisce, e anche in questo caso è stato importante aver conosciuto i ragazzi di We-Sport, con cui abbiamo avviato il progetto We-Sport for social, piattaforma di incontro fra sportivi rivolta a categorie svantaggiate con l’obiettivo di garantire accesso all’attività sportiva anche ai soggetti che versano in condizioni di svantaggio. In partnership con We-Sport, e proprio per presentare il progetto We-Sport for Social, abbiamo partecipato a SMAU 2011, classificandoci terzi nella sezione “Percorsi dell’Innovazione” dedicata alle più promettenti startup innovative italiane.

Cito questo risultato non tanto per quanto per rimarcare l’importanza, in un ambito ancora in fieri come il mondo startupparo italiano, del costruire e fare network. Fare rete non nel bieco senso tornacontistico, che al più risultati nell’immediato e solo per , ma come volontà lungimirante di mettere in piedi solide relazioni di scambio, di dialogo, di reciproca fertilizzazione, a beneficio dell’intero sistema. In tal senso network come StartupBusiness, lo stesso “Percorsi dell’Innovazione”, e iniziative come Innovaction Lab, gli Startup Weekend, i diversi incubatori e acceleratori d’impresa, ecc., svolgono la funzione indispensabileche l’imprenditore dovrebbe assecondare con la propria presenza, dando il proprio contributo, in altre parole “partecipando”di dare consistenza ad un settore ancora troppo frammentato, abitato da realtà tra di loro spesso isolate.

E da ultimo, con una vecchia amicizia del liceo, che nel frattempo ha fondato a Catania la società Cubosys, proprio per il puro e semplice desiderio di lavorare insieme, abbiamo iniziato a realizzare un’app per Facebook, Plusres, applicazione che funziona come discovery engine all’interno della gran mole di informazione che transita e si deposita in Facebook. 

In definitiva la vita da startupparo, almeno in questa fase, è vita da precario. Ma non me ne pento. Nella precarietà si può sperimentare, esplorare, creare, sbagliare. E poterlo fare è una fortuna.

 

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